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 2025  giugno 27 Venerdì calendario

Il Pride a Budapest nonostante il divieto: sfida finale a Orban

Il premier ungherese Viktor Orbán torna in patria travolto dall’ennesimo scandalo. Due settimane prima del vertice Nato che ha appena deciso il 5% per la difesa, l’autocrate aveva annunciato una “privatizzazione” dell’industria militare. Ovviamente, senza gare né appalti. E il sito investigativo VSquare ha scoperto che il cruciale settore andrà in mano a uomini vicinissimi a Orbán. In un momento di aumento esponenziale di spesa per la difesa in tutta la Ue, i proventi non andranno alle esangui casse dello Stato, ma al cerchio magico del premier.
Orbán, però, è preoccupato per un altro motivo. Il Pride di Budapest è alle porte e il bando messo alla parata ha acceso il faro dell’Europa sulla giornata di domani. Comunque vada, il divieto si annuncia già come un fallimento, un “lose-lose”, per il leader di Fidesz, costretto da mesi a rincorrere nei sondaggi l’astro nascente dell’opposizione, Peter Magyar. Negli ultimi sondaggi la distanza è diventata schiacciante: il leader di Tisza lo stacca di dieci punti: 38% contro 28. E per la prima volta in quindici anni di autocrazia cleptocratica, di politiche prone alla Cina e alla Russia, l’Ungheria vede una chance reale che alle prossime elezioni politiche qualcuno possa finalmente mandare a casa Orbán.
Sulla sua pagina Facebook, il carismatico Magyar ha avviato già un countdown dei giorni che mancano alle elezioni del prossimo aprile. Certo, per non perdere un 25% di elettori che ha già strappato a Fidesz e che sono contrari al Pride, l’oppositore di Orbán si è ben guardato dallo schierarsi a favore o contro la manifestazione. Gira l’Ungheria mangiando goulash e sventolando bandiere ungheresi per conquistare il cruciale consenso nelle aree rurali. Funziona: proprio nelle campagne i consensi per Magyar sono schizzati in un solo anno dal 18 al 38%. Per non parlare dei giovani: tra gli under 40, secondo un sondaggio pubblicato dal settimanale Hdv, il 58% voterebbe per Magyar. Solo il 16-17% per Orbán.
Il premier è a un bivio: reprimere la manifestazione o lasciarla svolgere senza incidenti. In entrambi i casi, rischia l’impopolarità. Domani nella capitale sul Danubio sono attese 35mila persone e almeno 70 europarlamentari. A Berlino, a una recente iniziativa del Disruption Network Lab, Peter Adamik della “Libera Ambasciata Ungherese” ha rivelato di aver organizzato tre bus che partiranno per Budapest dalla Germania. «La stragrande maggioranza sono tedeschi. E tutti vogliono esserci per dare un segnale a Orbán, per fermare la deriva autoritaria», ci racconta l’attivista magiaro davanti a un caffè. Iniziative simili sono partite in tutta Europa. Tra le presenze internazionali, oltre alla ministra spagnola dell’Eguaglianza, Ana Redondo Garcia, una delle più rilevanti sarà quella della segretaria del Pd, Elly Schlein. Dopo mesi di silenzio assordante, persino la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen è riuscita a postare ieri su Instagram un breve video di solidarietà. A Budapest, nonostante la riluttanza di von der Leyen, ci sarà la Commissaria all’Eguaglianza Hadja Lahbib.
Un’altra star dell’opposizione è il nume tutelare del corteo, il sindaco di Budapest Gergely Karancsony, l’uomo che ha sfidato il divieto della polizia e le minacce di arresto da parte del governo annunciando che «il Pride si farà e a organizzarlo sarà il Comune». Un escamotage per rendere superflua l’autorizzazione dell’esecutivo. Ma non è chiaro se sarà sufficiente per scongiurare manganellate, lacrimogeni e multe che potrebbero sfiorare i 500 euro. La legge anti Pride prevede anche l’impiego del riconoscimento facciale, tanto per completare il quadro della repressione orwelliana. E Orbán ha mandato un avviso a tutte le ambasciate per ricordare che anche gli stranieri rischiano fino a un anno di carcere. “Esistono leggi chiare, chiunque nonrispetti le regole partecipa a un evento proibito dalla legge. Consiglio a tutti di rispettare le leggi”, per chi non le rispetta “ci saranno conseguenze legali, ma non dovrebbero raggiungere il livello di violenza fisica”.