Il Messaggero, 27 giugno 2025
Migranti, anche Berlino sposa la linea dura: sprint sul modello Albania
La Germania imbocca la “via italiana” sul dossier migrazione. E, nella saletta protocollare della delegazione tricolore all’Europa Building di Bruxelles, la premier Giorgia Meloni aggiunge un posto a tavola per accogliere il cancelliere tedesco Friedrich Merz nel club dei leader favorevoli alla linea della fermezza in fatto di flussi e sostenitori della sperimentazione delle “soluzioni innovative” tra cui rientrano gli hub di rimpatrio fuori dal territorio dell’Unione e il “modello” Albania. All’abituale appuntamento a colazione che ormai da un anno raggruppa una dozzina di Paesi prima dell’inizio formale del vertice, invitati dal trio Italia-Danimarca-Paesi Bassi, stavolta s’è fatto vedere pure Merz, al suo debutto a un summit Ue. Con lui, i capi di governo di Austria, Belgio, Cipro, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia e Ungheria: una lista che porta il numero totale degli Stati partecipanti alle riunioni informali sulle “soluzioni innovative” alla quota magica di 14: per la prima volta più della metà aritmetica dei 27 Paesi Ue. Un dato simbolico, ma anche politico, che non è passato inosservato.
LA STRETTA
Insieme alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, presenza costante a questi incontri e che alla migrazione dedica un resoconto prima di ogni summit, i 14 leader hanno fatto il punto sull’aumento delle partenze dalla Libia dei giorni scorsi e sulle iniziative presentate dall’esecutivo Ue negli ultimi mesi, adesso alla prova dei negoziati interni in Parlamento e Consiglio. Il filo rosso è la volontà di imprimere una stretta ancora più decisa all’agenda sulla migrazione: un nuovo regolamento sui rimpatri e la possibilità di ampliare la definizione giuridica di Paesi terzi sicuri, cioè quelli in cui deportare le persone migranti dopo averne dichiarato inammissibile la domanda d’asilo. Von der Leyen ha poi annunciato la convocazione, per il 10 dicembre, di un nuovo vertice della coalizione globale contro il traffico di migranti. Nel suo intervento, Meloni ha, invece, evocato un altro filone di lavoro, e cioè i possibili seguiti della lettera congiunta che, promossa da Italia e Danimarca, un mese fa aveva messo insieme le firme di altri 7 Stati Ue. Tutti uniti per chiedere una reinterpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte dei giudici della Corte di Strasburgo (che non è organismo Ue ma del Consiglio d’Europa), in modo da consentire ai governi espulsioni più facili degli irregolari.
Dal 1° luglio sarà la Danimarca della premier socialista anomala Mette Frederiksen a presiedere per sei mesi il Consiglio Ue, e a tenere la barra dritta sui dossier migratori. A segnalare che il clima è cambiato, anche i paragrafi delle conclusioni a tema migrazione passano senza colpo ferire. Lontani i giorni in cui il testo veniva preso in ostaggio dai veti incrociati. La linea dura, adesso, mette d’accordo tutti. Anzi, per qualcuno è persino troppo poco. Il solito Viktor Orbán, il “signor no” dei vertici europei, arrivando a Bruxelles ha invitato i colleghi a «ribellarsi» visto che nonostante «le cento discussioni su come cambiare le cose, nulla cambia e gli arrivi proseguono».
In maniera più pragmatica, ci ha pensato il Partito popolare europeo – la formazione di maggioranza relativa nell’Eurocamera e quella che esprime von der Leyen e la metà dei commissari Ue – a indicare la strada. Più intese con i Paesi del Mediterraneo per frenare le partenze, e avanti con la stretta in corso su rimpatri e trasferimenti negli hub fuori dall’Ue, si legge nel documento politico adottato poco prima del via al summit. Ma «dobbiamo sviluppare velocemente ulteriori misure per ridurre gli arrivi», rilanciano i popolari.