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 2025  giugno 27 Venerdì calendario

Studio e lavoro: l’aspetto economico conta

Fare il medico o il magistrato per essere utili agli altri o per il prestigio sociale legato a queste professioni? No, grazie. La motivazione, per gli studenti delle scuole superiori, che conta di più è il fattore economico. Seguito a breve distanza dalla possibilità di tenere in equilibrio vita privata e professionale. Elis, ente non profit di formazione e consorzio di oltre 130 grandi gruppi e pmi attivi nel nostro Paese, ha chiesto a 1337 ragazzi tra i 14 e i 18 anni iscritti a 51 scuole superiori quali motivazioni contino di più nella scelta dello studio e del lavoro. Cinque le possibili opzioni con una classifica che vede al primo posto i guadagni futuri messi al primo posto dal 31,712% dei giovani.
Un dato per certi versi sconcertante, che va letto alla luce delle difficoltà che molti ragazzi vivono in famiglia in un periodo storico in cui il valore reale delle retribuzioni è in caduta libera. La paura di non avere abbastanza soldi per comprare una casa o vivere in maniera dignitosa è molto diffusa tra i giovanissimi. C’è da dire però che molte altre analisi sul lavoro giovanile evidenzino come i “valori” siano uno dei binari che li guida, una volta diplomati o laureati, nella scelta dell’azienda presso cui lavorare: dal business vero e proprio, con un occhio di riguardo ai temi della sostenibilità ambientale e sociali, ai modelli organizzativi e di inclusione adottati. Certo l’importanza attribuita ai “soldi” e non alla passione per qualcosa, e alla possibilità di farli in maniera rapida e senza troppa fatica, è una trappola legata alle distorsioni del digitale sulla quale è necessario fare una formazione adeguata in famiglia e a scuola. Per il presidente di Elis, Pietro Cum si tratta di «un approccio molto pragmatico alla realtà» e di una giusta preoccupazione per l’aspetto economico che non deve però mettere in secondo piano la scoperta della propria vocazione professionale..
Distanziata di pochissimo la “conciliazione”, indicata dal 30,6%. Altro concetto che probabilmente è frutto dell’esperienza appresa come figli: non si può vivere per lavorare, come ha fatto la generazione dei baby boomers, anche perché dalla pandemia in poi lo smartworking ha smantellato l’obbligo della presenza e spostato l’ago della bilancia sui risultati ottenuti. Al terzo posto, ma in posizione distaccata, l’opportunità di far carriera che viene indicata dal 23,8% degli intervistati. Essere utili agli altri con il proprio lavoro è un desiderio che ha appena l’8,1%, mentre in ultima posizione troviamo il prestigio sociale legato alla professione con il 5,78% delle preferenze.

Il sondaggio è stato condotto nell’ambito del progetto Role model, realizzato in collaborazione con Valore D, iniziativa che ha visto il coinvolgimento diretto di 108 professioniste di grandi realtà del calibro di Generali Italia, Fincantieri, Rai Way, Almaviva, Terna, Campari. Tra gli obiettivi la promozione della parità di genere in alcuni ambiti che vedono ancora una preponderante presenza maschile.