Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 27 Venerdì calendario

Piccole sale cinematografiche a rischio «Film troppo presto sulle piattaforme tv»

I grandi film al cinema continuano a performare bene, «lo scorso anno ci sono stati i casi del film della Cortellesi “C’è ancora domani” o del sequel di “Inside Out”: a essere, però, penalizzati al botteghino sono i titoli minori. Questi ultimi, che prima incassavano cifre come 20 milioni, oggi ne fanno solo 7-8 milioni, e un film piccolo che prima faceva 1 milione, oggi ne fa 400-500 mila» ha spiegato il presidente dell’Unione Esercenti Cinematografici in Italia (Ueci), Manuele Ilari ragionando dello stato di salute delle sale cinematografiche in Italia. Se ne contano circa 3.500 all’interno di circa 1.300 cinema, dove lavorano 90mila addetti. Il 30% degli esercenti cinematografici è rappresentata dall’Ueci, associazione di categoria costituita da una rete di sale di proiezione medio-piccole che abbraccia l’intera penisola, con una programmazione selezionata per soddisfare le aspettative di intrattenimento e fruizione culturale.
La crisi causata dalla pandemia ha accelerato la chiusura di una serie di sale in giro per l’Italia e la cifra simbolica dei 100 milioni di ingressi al cinema che sembrava vicina nel 2019 con 97 milioni raggiunti oggi è lontana. Secondo gli ultimi dati del 2024, rispetto a 5 anni fa mancano all’appello ancora quasi 30 milioni di ingressi: lo scorso anno le sale dei cinema italiani hanno totalizzato solo 70 milioni di presenze. I numeri degli ingressi in sala si riflettono anche sugli incassi delle sale cinematografiche, passate dagli oltre 635 milioni di euro a 493, una differenza in negativo di oltre il 29%.

Farne solo una questione economica è riduttivo: i cinema medio-piccoli, estesi su tutto territorio, in modo capillare, garantiscono un presidio culturale, secondo il presidente dell’Ueci, ricordando che la stessa associazione di categoria che rappresenta «vuole essere portavoce di un cinema che non è solo intrattenimento, ma anche presidio della vita culturale e sociale nei centri urbani in tutte le regioni».
«L’esistenza dei nostri cinema in molti Comuni promuove la socialità – ha continuato Ilari -: vicino a un cinema, si trovano spesso bar e ristoranti che restano aperti fino a tarda notte, contribuendo al dinamismo e alla sicurezza della zona». Citato anche l’esempio del cinema Madison a Roma, in via Chiabrera, quartiere che in passato fu la base della banda della Magliana, «possiamo affermare di aver in qualche modo contribuito alla riqualificazione di questo quartiere, oggi divenuto centrale per la presenza dell’Università di Roma Tre». Dall’essere presidi culturali sul territorio, a cui non rinunciare alla sostenibilità del settore cinematografico italiano che va ritrovata. Ma come? Secondo il presidente di Ueci bisogna abbassare i costi di noleggio dei film (specialmente per le produzioni italiane finanziate dallo Stato), «che possono arrivare al 50% dell’incasso del box office», regolamentare l’apertura delle arene estive e soprattutto «dobbiamo uscire da una situazione di Far West legislativo», a partire dalla regolamentazione sulle finestre di sfruttamento cinematografico, ossia quel periodo di tempo in cui un film è disponibile per la visione solo al cinema. «Dopo il Covid, le finestre di sfruttamento cinematografico, sono state praticamente azzerate a livello internazionale, riducendosi a 30-45 giorni dall’uscita in sala. Questa mancanza di regolamentazione, assente da quando una legge simile fu abrogata nel 1998, permette alle piattaforme di agire senza limitazioni» ha continuato a spiegare Ilari.

Di fatto, ciò comporta una diminuzione dell’incasso al botteghino per le sale e al tempo stesso il pubblico viene disincentivato dall’andare al cinema, perché gli stessi film vengono pubblicizzati come disponibili a breve in televisione o su piattaforme streaming. «La nostra proposta al governo è quella di adottare un modello virtuoso come quello francese, dove l’uscita in televisione avviene dopo 15 mesi dall’uscita in sala per chi ha sottoscritto accordi quadro con obblighi di investimento, e dopo 17 mesi per tutti gli altri. In Francia, possiamo osservare che questo sistema triplica gli ingressi al cinema rispetto all’Italia».