Avvenire, 27 giugno 2025
Amnistia, Sánchez incassa il «sì»
L’amnistia per il “procés” è ora legge pienamente legittima. Con sei voti favorevoli e quattro contrari, la Corte costituzionale spagnola ha confermato la validità della norma approvata nel 2024 che cancella reati e condanne legate al movimento secessionista catalano, compresi quelli emersi in seguito al referendum non autorizzato di indipendenza dell’ottobre 2017. Respinto quasi per intero, quindi, il ricorso del Partito popolare, che l’aveva definita «inaccettabile».
La Corte riconosce però una violazione del principio di uguaglianza nella disparità di trattamento tra atti pro e contro l’indipendenza. Una decisione storica e divisiva, arrivata in un momento di grave difficoltà per il Partito socialista. Per il premier Pedro Sánchez è «una magnifica notizia per la convivenza», utile a chiudere «una crisi che non avrebbe mai dovuto uscire dal terreno politico».
La legge era stata il punto chiave del patto con i partiti indipendentisti che gli hanno garantito il terzo mandato. Ma la sentenza, più che rafforzare il governo, serve oggi a Sánchez per portare avanti, come nel suo stile, il proprio contrattacco nel momento in cui uno scandalo di corruzione ha coinvolto vari vertici socialisti. La magistratura non ha aperto fascicoli diretti sul premier ma rapporti dell’entourage presidenziale, tra cui attuale ministro della Giustizia, Félix Bolaños, con imprenditori oggi sotto inchiesta, sono un duro colpo per il governo. Sánchez sta cercando di recuperare.
Il 5 luglio annuncerà una riorganizzazione interna del partito e il 9 presenterà un pacchetto di riforme anticorruzione. Anche sul fronte estero, l’ultimo grande leader socialista rimasto in Europa cerca di capitalizzare il momento. Lo scontro con Donald Trump, che ha accusato Madrid di «premiare i separatisti», gli ha permesso di rilanciare l’immagine di un leader che difende la soluzione politica ai conflitti interni e si oppone apertamente alle derive populiste. Dall’altra parte gli permette di rafforzare la tenuta della maggioranza in crisi. È in questo quadro che la sentenza della Corte assume un valore politico superiore al suo contenuto giuridico.
E divide anche il fronte socialista: l’ex premier Felipe González l’ha definita «un atto di corruzione politica» e ha annunciato che non voterà più per il Psoe.
Intanto, resta aperto, insieme ad altri ricorsi su cui la Corte dovrà pronunciarsi, il caso di Carles Puigdemont, ex presidente catalano in esilio a Bruxelles.
Il suo nome è diventato simbolo del braccio di ferro tra Madrid e Barcellona. Per ora, la giustizia spagnola non gli ha concesso l’amnistia, sostenendo che uno dei reati di cui è accusato – la malversazione di fondi pubblici – non rientrerebbe tra quelli coperti dalla norma. È atteso per il 15 luglio anche il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulle questioni preliminari sollevate dai magistrati spagnoli. La ferita del “procés” fatica a chiudersi.