Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 27 Venerdì calendario

Tigrai, la nuova arma si chiama «carestia»

In tutto il Tigrai gli sfollati sono scesi in piazza per protestare contro il governo centrale e la comunità internazionale perché sono alla fame. Da quasi cinque anni la gran parte di questo popolo “senza voce” ha perso tutto e subisce danni e beffe. Sono dovuti fuggire dalle loro case a causa di una guerra civile cruenta e a due anni e mezzo dalla firma dell’accordo di pace di Pretoria che garantiva il rientro nelle zone di origine, 700mila tigrini – il 10% circa della popolazione del martoriato Stato regionale etiope – vivono ancora in tende e rifugi. In più, i tagli a Usaid decisi da Donald Trump hanno colpito in particolare gli aiuti umanitari ai Paesi africani e l’Etiopia è il Paese più danneggiato. Una situazione segnalata con ripetuti allarmi umanitari dalle Nazioni Unite già a marzo. Il budget Onu per il 2025 è stato ridotto di un quarto, in più gli sfollati sospettano con molte ragioni che le condizioni di vita inaccettabili in cui si trovano siano frutto anche di scelte politiche dell’amministrazione federale guidata da Abiy Ahmed a seguito del conflitto che continua a contrapporlo al partito guida della regione, il Tplf, attualmente riavvicinatosi all’Eritrea che, dopo l’alleanza stretta durante la guerra tigrina, ha nuovamente raffreddato i rapporti con Addis Abeba. Altra doccia gelata, la decisione del Programma alimentare mondiale – che distribuisce gli aiuti alimentari – di chiudere l’ufficio a Shire, nella parte orientale della regione settentrionale etiope, per problemi di bilancio. Così, dal 18 al 20 giugno 2025 gli sfollati interni hanno tenuto manifestazioni per ora pacifiche nel capoluogo Macallè e nelle principali città tigrine chiedendo un ritorno urgente nelle case e sollecitando le autorità con lo slogan «Non passiamo la quinta stagione delle piogge in tenda». Secondo i media regionali, le manifestazioni, le seconde in sei mesi, sono state organizzata dalla Tsilal Western Tigray Civil Society per attirare l’attenzione sul dramma dei residenti colpiti dal conflitto e a sollecitare il governo federale e la comunità internazionale, principali esecutori dell’accordo di pace, a garantire il ritorno a casa.
«Le persone sfollate da anni – spiega la giornalista e attivista per i diritti umani Batseba Seifu – sono allo stremo, continuano a sopportare condizioni terribili peggiorate dai tagli agli aiuti di Usaid. Il risultato è il ritorno della fame e la mancanza di cure mediche. Le donne di ogni età dopo aver subito stupri etnici sono le più esposte, vivono in uno stato di insicurezza continua nei campi».
Anche l’ufficio regionale della salute conferma la gravità della situazione. «In tutta la regione – spiega Tensay, alto funzionario dell’ufficio sanitario regionale –, la vita è quotidiana è molto più dura, ma per gli sfollati è diventata insopportabile soprattutto per le fasce vulnerabili. Oggi c’è il forte rischio di aumento della mortalità materno infantile e della malnutrizione acuta per i bambini sotto i5 anni».
Haleka Gebreselassie è uno sfollato del Welkait, l‘area occidentale fertile e ricca di vene aurifere, occupata dalle forze regionali Amhara nel 2020.
«Vivo in un rifugio a Macallè da cinque anni – racconta al telefono – con la mia famiglia. Ho due bambine e le razioni alimentari sono state dimezzati, non riesco più a dare loro da mangiare. Vogliamo tornare a casa dopo cinque anni a coltivare le nostre terre». Sabato 21 giugno c’è stato l’ennesimo segnale di riavvicinamento il Tplf all’Eritrea di Isayas Afewerki nonostante il coinvolgimento delle truppe asmarine nella guerra civile e le accuse di massacri di civili, stupri etnici e saccheggi. Dopo che il presidente del Tplf Debretsien ha dichiarato di voler vivere in pace con il popolo eritreo, decine di famiglie sfollate dalla città sul confine di Zalambessa, parzialmente occupata dagli eritrei, sono tornate a casa per qualche ora grazie alla riapertura temporanea della frontiera chiusa dal 2020 ufficialmente grazie agli anziani dei villaggi. Per questo, dicono i leader tigrini il governo di Abiy ha più volte bloccato e ritardato l’invio degli aiuti e in Tigrai la situazione ora è molto difficile.