repubblica.it, 26 giugno 2025
Marco Missiroli: “Io, il sesso e la mia prima volta”
Partiamo proprio dalla sua prima volta…
“In ritardo: avevo vent’anni, due mesi e tre giorni. In un appartamento in piazza dell’Unità, a Bologna, la tv era su MTV, c’erano gli Aerosmith che suonavano Jaded su Total request live. Erano le due e mezza di un sabato pomeriggio, e i miei coinquilini mi avevano lasciato la casa libera apposta: ero l’unico che non lo aveva ancora fatto”.
È un ricordo molto specifico.
“Perché per me c’è un prima e un dopo. Quel giorno è uno spartiacque. Il prima di Cristo e il dopo Cristo”.
Perché lo fece in ritardo rispetto ai coetanei?
“Sì. Il mio sviluppo fisico è avvenuto in ritardo, per cui per molti anni mi sono vergognato del mio corpo. Ero magrolino, gracile. E in un posto come Rimini, dove sono nato e cresciuto, avere un fisico del genere era difficile – è una città in cui il corpo è molto esposto, da aprile a ottobre è così. I miei amici al mare si mostravano con scioltezza, io tenevo indosso la maglietta. La vergogna ha portato a una distanza dal femminile che, a sua volta, ha portato a fare in ritardo alcune esperienze”.
Insomma il senso di vergogna erano più forte.
“La vergogna del corpo per me è un tema importante. Nella vita, nei miei libri. Deriva dall’adolescenza a Rimini. In estate iniziava il processo al mio corpo. La spiaggia era il tribunale. Quel pomeriggio a Bologna, quando lo feci per la prima volta, segna la mia liberazione – la fine del processo”.
Considerata l’attesa, come andò?
“Pensai: è la prima volta che la sintesi supera l’ipotesi. L’avevo immaginato tante, tantissime volte, il sesso, e me lo ero sempre figurato magnifico, ma mai avrei pensato potesse essere meglio della mia fantasia”.
Dopo?
“Andò come prevede il principio di Archimede. Tanto più è pesante quello che metti nella vasca e tanta più acqua uscirà. Il segreto che mi ero portato dentro, la mia sessualità, il mio eros era molto grande, pesante, per cui fuoriuscì tutto. Neanche una psiche ben addomesticata, com’era la mia, riuscì a contenere il desiderio che si slatentizzò. Funziona come per i reduci di guerra, pure se si tratta di casi ben diversi: non avendo avuto cibo, e la possibilità di mangiare per tanto tempo, quando finalmente possono sfamarsi non hanno la capacità di fermarsi o regolarsi, ne vogliono ancora e ancora”.
Ne voleva ancora?
“Sì, ma molta di quell’energia la incanalai nella scrittura di alcuni romanzi, per fortuna. Una scrittura muscolare e sospingente in cui convogliai gran parte di quella vitalità. Li scrissi quando ebbi la sensazione che la chiusura sessuale stesse tornando, che mi stessi nuovamente accartocciando in me stesso – come da adolescente. Parlo di Atti osceni in luogo privato e Bianco. Rappresentano la rinascita. Sono romanzi che hanno una grandissima carica erotica, ma di verso opposto: il primo è espressione del sé, il secondo è violenza”.
Scusi, e Fedeltà?
“È un romanzo di protesta. Protesta contro qualcosa che non ero ancora riuscito a fare mio, cucirmi addosso”.
Torniamo indietro, adesso. Ricorda le prime pulsioni sessuali? Il periodo in cui il suo desiderio era, in effetti, un segreto?
“Arrivarono verso i cinque anni, e arrivarono nel sonno: mi svegliavo con degli strascichi di quel che avevo sognato. Fu allora che iniziò l’esplorazione, ma si trattò di un processo lento, con la masturbazione, poi, a tredici anni. Lo ricordo bene, quel periodo. Ricordo soprattutto l’odore degli accappatoi appesi accanto a me nel bagno in cui lo facevo: sapone di Marsiglia. Il profumo del sapone di Marsiglia mi riporta, ancora oggi, a quei pomeriggi dell’adolescenza, a quel bagno di casa dei miei, a quelle emozioni nuove”.
Con chi ne parlò, poi? A chi rivelò il suo segreto?
“All’inizio mi limitai ad ascoltare gli altri, i miei coetanei. I primi confronti furono con gli amici, insomma. In terza media”.
Che conversazioni erano?
“Banali, da tredicenni. Hai già i peli lì?, per te funziona così?, a me non capita ancora, questo, a te sì?”.
Nessuna vergogna, quindi, in questo caso.
“La vergogna per il corpo c’era, certo che c’era. In quel periodo dopo il basket non facevo la doccia in palestra, lo ricordo bene; avrei potuto usare il costume, ma chi lo faceva veniva preso in giro. Ancora oggi, dopo un allenamento in palestra, quando devo cambiarmi lì lo faccio molto velocemente e con dei movimenti che, me ne rendo, sono impacciati. Però la doccia la faccio negli spogliatoi, adesso. Per me è una conquista”.
La vergogna è rimasta.
“Per certe cose, sì. La vergogna è rimasta”.
Ha trovato delle vie di compensazione?
“Mi prendo cura di me stesso in altri modi, do attenzione all’estetica per strade traverse. I vestiti, gli orologi. Mi piacciono le cose belle, le guardo, le osservo, le faccio mie. Apprezzo molto l’estetica. E vale anche per il corpo dell’uomo. Per me il maschio non è da omettere: se ha un bel corpo io lo guardo. Pettorali, braccia, gambe allenate non sono cose a cui non do conto. Solo, non lo faccio con una carica erotica. Capita che in girò per Milano dica a mia moglie guarda che bello, quello”.
Fantasie omosessuali?
“No, mai”.
La pornografia?
“L’ho scoperta lavorando in edicola, intorno ai quindici anni. Ci ho lavorato per 11anni, e l’angolo con quel genere di riviste era sempre ben fornito. Quei giornaletti, però, lasciavano il tempo che trovavano. Avevano una forma di staticità che non mi piaceva”.
Cotte adolescenziali?
“Sabrina Salerno. Avrei fatto qualsiasi cosa per conoscerla”.
Missiroli, la vergogna del corpo è rimasta, dunque, ma la sessualità, oggi, per lei è ancora un segreto? Un luogo intimo e privato che sente di dover preservare?
“Lo è ancora, sì. A quarantacinque anni ti aspetteresti di avere delle briglie, di essere instradato e capace di una gestione della sessualità matura, ma io sento ancora di avere la vecchia energia – un’energia ragazzina, molto giovane. In tal senso, sono un uomo anacronistico. Per cui, sì: per me è ancora un segreto”.