Il Messaggero, 26 giugno 2025
Libere professioni la carica anti-divario
Avvocato, notaio, medico. C’è un motivo se la declinazione al maschile, per queste professioni, è ancora quella più utilizzata. E la ragione sta nei numeri: tra i liberi professionisti, gli uomini sono ancora la maggioranza. Ma le cose, anche se lentamente, stanno cambiando: guardando alle nuove generazioni, la differenza di iscritti si riduce fino ad appiattirsi. Resta, però, un divario significativo legato al reddito, che cresce con l’avanzare dell’età: le donne continuano a guadagnare meno dei loro colleghi. A fotografare il fenomeno è il XIV rapporto sulla previdenza realizzato da Adepp, l’associazione degli enti previdenziali privati. Ne fanno parte 18 casse di previdenza private e privatizzate, che rappresentano oltre 1 milione e 600mila professionisti ordinistici. Avvocati e notai, appunto, ma anche commercialisti, giornalisti, psicologi, farmacisti e infermieri. Professioni in cui la quota femminile è sempre più presente.
LA FEMMINILIZZAZIONE
Dal 2007 al 2023, infatti, il numero di iscritte alle Casse di previdenza ha avuto una crescita costante. Le donne sono passate dal 30 per cento al 41 per cento in 17 anni. Un andamento che non si riscontra, con la stessa velocità, nelle altre categorie lavorative. E se analizzato per fasce d’età, il trend è ancora più evidente: tra gli over 70, le donne sono solo il 14,1 per cento, ma diventano il 28,5 per cento nella fascia 60-70 e il 36 per cento tra i 50 e i 60 anni. La differenza si azzera nella fascia d’età 40-50, ma se si considerano gli under 30, le donne sorpassano gli uomini: 54,2 per centro di professioniste donne contro il 45,8 per cento di professionisti uomini. E se è naturale aspettarsi che i nuovi iscritti siano più giovani, è interessante notare che le nuove iscrizioni tra le donne avvengono a un’età media più bassa: 32 anni l’età media delle nuove professioniste, 34 quella dei professionisti. In sintesi, la presenza femminile nelle libere professioni è ormai del tutto sdoganata. E le donne, anche grazie a risultati migliori negli studi, arrivano prima degli uomini nel mondo del lavoro. Ma questo vantaggio non si accompagna a carriere più remunerative, anzi. Già al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro, il reddito delle professioniste under 30 è circa il 20 per cento in meno dei colleghi uomini. E con il passare del tempo, il quadro diventa sempre più cupo.
IL GAP
Come spiegare questa differenza di reddito? Ad analizzare il fenomeno è un altro report dell’Adepp dedicato, appunto, al gender pay gap. Secondo il rapporto, il fattore che incide di più è il tempo: a fronte del 59 per cento degli uomini che dedicano al lavoro più di otto ore al giorno, le donne si fermano al 40 per cento. Mentre il 33 per cento dichiara di lavorare tra le sei e le otto ore a fronte di un 25 per cento di uomini. La ragione che porta le donne a dedicare meno tempo al lavoro è legata, ancora, ai carichi familiari, che ricadono maggiormente sulle donne. Alla domanda “se hai figli, chi si occupa di loro mentre lavori”, il 66 per cento dei liberi professionisti uomini, ha dichiarato “la mia compagna”. La stessa domanda posta alle donne ha ricevuto il 17 per cento delle risposte riferite al proprio compagno. Mentre il 27 per cento delle libere professioniste ha risposto “direttamente io” (gli uomini che hanno barrato questa opzione sono solo il 9 per cento). Stessa cosa per quanto riguarda parenti non autosufficienti: alla domanda “chi se ne occupa quando lavori”, hanno risposto “direttamente io” il 31 per cento delle donne contro il 22 per cento degli uomini. Mentre l’opzione “il mio compagno/a” è stata selezionata dal 26 per cento degli uomini e solo dal 7 per cento delle donne.
LA RETRIBUZIONE
Un carico, quello della cura familiare, che è ancora più pesante per le donne del Sud, mentre le professioniste del Nord possono contare su maggiori servizi (baby sitter, asili, centri ricreativi). Infatti, la maggioranza delle professioniste italiane, sia con figli che senza, ha dichiarato che l’urgenza che andrebbe affrontata in via prioritaria per ridurre le disparità è quella legata all’area geografica. Emblematico il caso del Lazio. «Con il 52 per cento, il Lazio è la prima regione in Italia per disparità salariale tra i liberi professionisti, nonostante sia anche la regione italiana con la più alta concentrazione di professionisti: 31 ogni mille abitanti – ha commentato Eleonora Mattia, consigliera regionale Pd del Lazio – tutti i dati ci dicono che le donne, pur essendo più istruite dei colleghi maschi, rispetto a questi ultimi soffrono di più la disoccupazione, guadagno di meno e sono più esposte agli infortuni sul lavoro. Per intervenire in questo quadro allarmante, bisogna dare piena attuazione e risorse adeguate alle leggi regionali sulla parità salariale e occupazione femminile di qualità, e piena applicazione alla legge sul sistema d’istruzione integrato 0-6 anni».
Ma a incidere sulla produzione del reddito è anche l’aspetto anagrafico: se è normale che al momento dell’iscrizione la differenza di reddito con i colleghi uomini sia bassa, diventa più sostanziale quando, con la maturità professionale, aumenta anche la possibilità di guadagno. Il dato complessivo, riferito al 2023, fa registrare una differenza di reddito pari a circa il 47 per cento. Un divario significativo che si spiega in parte con la maggiore concentrazione delle donne nelle fasce di età più giovani, ma che aumenta considerevolmente già nella fascia d’età tra i 30 e i 40 anni. Se appena immessi nel lavoro gli under 30 uomini guadagnano il 5 per cento in più delle donne, tra i 30 e i 40 anni il divario diventa già del 25 per cento. Una differenza che aumenta ancora di più nella fascia 40-50 anni (con un distacco di 40 punti percentuali) fino a toccare il massimo tra i 50 e i 60 anni (45 punti percentuali di differenza).
C’è poi un altro fattore, legato alle libere professioni in cui la presenza femminile è maggiore. Ambiti come la biologia e l’infermieristica sono più scelti dalle donne, ma sono anche quelli che, tra gli ordini professionali, garantiscono un reddito minore rispetto ad altre professioni più remunerative come i periti industriali. In questo settore, che registra redditi molto alti, le donne sono solo il 2 per cento. E lo stesso vale per altre professioni tecniche in cui la presenza femminile è ancora circoscritta. Per Tiziana Stallone, biologa, presidente della Cassa biologi (Enpab) e vice presidente vicario di Adepp con delega al welfare, «se il fenomeno della femminilizzazione delle professioni è positivo, il gender gap legato al reddito è ancora troppo evidente. Bisogna fare di più in termini di welfare, ma anche in termini di empowerment femminile, perché le donne non si arrendano». In questa direzione, le Casse si stanno impegnando anche per tutelare le donne vittima di violenza. La Cassa Dottori Commercialisti ha approvato una misura assistenziale a favore delle commercialiste vittime di violenza di genere: un contributo economico, con un fondo complessivo di 200mila euro, che sarà disposto in base al singolo caso e al contesto di riferimento.