Avvenire, 26 giugno 2025
Prezzi, tasse e debito Nel Kenya in bilico vittime nelle proteste
Un Paese ad alto rischio default, un governo che fatica a tenere in equilibrio i conti, una popolazione che vede aumentare imposte e costo della vita senza avere servizi di base come sanità e istruzione. È la trappola del debito in cui sono stritolate le vite di milioni di persone nel Sud del mondo e che vede nel Kenya, economia fino a qualche anno fa fiore all’occhiello del Corno d’Africa, un nuovo clamoroso caso, al centro di tensioni e manifestazioni di piazza. A un anno esatto dalle proteste guidate dalla Gen-Z, che videro la morte di 60 persone, con altre 20 “disperse”, in tutte le principali città del Paese – da Nairobi a Eldoret, da Nakuru a Mombasa – si è assistito ieri a nuovi scontri violenti e a una chiusura pressoché totale di attività commerciali e servizi di trasporto, mentre migliaia di persone chiedevano giustizia, riforme e la fine della brutalità della polizia, ancora sotto accusa per la repressione di 12 mesi fa.
Le violenze maggiori della giornata – che ha visto otto vittime e 400 feriti, di cui 83 gravi – si sono verificate nell’area della capitale, dove i manifestanti hanno cercato di marciare verso la residenza presidenziale e il Parlamento, entrambi transennati con filo spinato e presidiati da agenti armati. Gas lacrimogeni e proiettili veri sono stati usati per disperdere la folla che scandiva slogan contro il governo e il presidente William Ruto, che non era in città: «Ruto deve andarsene», «Basta». Le associazioni per i diritti umani hanno condannato la violenza della polizia, mentre a Kisii i dimostranti hanno chiesto che il 25 giugno venga dichiarato giorno festivo in memoria delle vittime, in gran parte giovani, delle proteste contro la legge finanziaria dello scorso anno. Il governo si è limitato a dirsi pronto a collaborare e a dare sostegno alle famiglie delle vittime.
L’autorità per le comunicazioni keniana ha ordinato a tutte le tv di interrompere la copertura in diretta delle proteste, sospendendo le trasmissioni di alcune emittenti che hanno violato l’ordine.
La rabbia per l’uso della forza da parte degli agenti non accenna a placarsi, rinfocolata anche nei giorni scorsi dalla morte di un blogger mentre era sotto custodia della polizia. Il malcontento generale ha però molto a che fare con la situazione economica difficile di un Paese che deve utilizzare quasi il 60% delle sue entrate per ripagare un debito da 80 miliardi di dollari. Si tratta di un problema comune in tutta l’Africa, dove molti Paesi spendono di più per il pagamento degli interessi che per la sanità o l’istruzione. Tenere in ordine i conti, in questo contesto, diventa fondamentale, mentre Banca Mondiale vede il Kenya ad alto rischio default. Le opzioni governative per ottenere nuove entrate sono limitate, considerando che il 40 per cento dei 52 milioni di keniani vive in povertà, che la disoccupazione giovanile supera il 25 per cento e che l’83 per cento della popolazione è occupata nella cosiddetta economia informale. L’aumento delle tasse e lo stop a molti sussidi erano stati alla base delle manifestazioni di un anno fa a Nairobi. Successivamente, il governo aveva ritirato le misure più impopolari e anche nei giorni scorsi ha annunciato, nella nuova finanziaria, che non introdurrà ulteriori tasse.
I manifestanti, però, sottolineano l’arrivo di molte imposte indirette, le nuove accise su zucchero, alcol e plastica, l’aumento del 15-20% delle commissioni governative per i trasferimenti di denaro e per i servizi di dati telefonici e Internet, l’abolizione di alcune esenzioni per i pensionati, il raddoppio dell’imposta sugli utili delle imprese e sulle importazioni. I lavoratori dipendenti, inoltre, lamentano ingenti nuove detrazioni dirette a contribuire a coprire il costo dei nuovi fondi per l’edilizia popolare e l’assicurazione sanitaria, con gli stipendi medi mensili pari a 350 dollari che hanno visto gli importi netti ridursi di circa il 10%.
La crisi economica del Paese ha fatto scendere il valore dello scellino rispetto al dollaro, con un conseguente aumento del costo delle importazioni. Sei mesi fa, mille scellini (7,73 dollari) bastavano per olio da cucina, farina, riso e zucchero, sottolineano i manifestanti, ora la stessa cifra è sufficiente solo per l’acquisto di zucchero e farina.
Il governo ha discusso in questi mesi con il Fondo Monetario Internazionale di un nuovo pacchetto di prestiti, ma il Fmi – che ha in corso proprio in questi giorni una missione tecnica nel Paese – chiede ulteriori garanzie su tagli alla spesa e aumento delle entrate. Il presidente Ruto è destinato a restare sulla graticola e nel mirino di una piazza che continua a invocare il cambiamento.