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 2025  giugno 25 Mercoledì calendario

Caro estinto

Nelle sale delle banche private di Zurigo e nei salotti dei fiscalisti di Ginevra, il timore ha preso la forma di una cifra: 50%. È l’aliquota che un’iniziativa popolare promossa dai Giovani Socialisti propone di applicare su eredità e donazioni oltre i 50 milioni di franchi. Il referendum che scuote la Svizzera, fissato per il 30 novembre, ha già iniziato a modificare comportamenti – e indirizzi di residenza – di molti miliardari. Una nuova Brexit, si mormora, per una patrimoniale che può creare più danni che benefici.
La proposta introdurrebbe un’imposta federale senza esenzioni, nemmeno per coniugi o figli. Una rottura con il sistema attuale, basato su tassazione cantonale blanda e una reputazione costruita sulla stabilità.
I promotori dicono che la misura finanzierà politiche climatiche. Gli oppositori parlano di rischio esistenziale per l’economia. «Il solo fatto che se ne discuta crea instabilità», ha detto Frédéric Rochat, socio della banca Lombard Odier. Alcune famiglie avrebbero già scelto di trasferirsi. Un banchiere zurighese racconta di un cliente spostato nel Liechtenstein non tanto per paura della tassa, quanto per l’incertezza che aleggia. Anche in caso di bocciatura, il timore è che il dibattito torni. E per chi gestisce patrimoni ultramilionari, la prevedibilità è un bene cruciale. Secondo Georgia Fotiou, fiscalista dello studio Staiger Law, «il danno reputazionale è stato già fatto». La Svizzera, rifugio sicuro durante le crisi globali, rischia di perdere terreno mentre concorrenti come Italia, Grecia o Dubai affinano regimi favorevoli. «Il tempismo è stato pessimo – ha detto al Financial Times – molti che pensavano di lasciare il Regno Unito dopo il giro di vite sui non domiciliati hanno scelto altri Paesi».
Non è difficile capire perché. L’Italia offre un regime da 100.000 euro l’anno per i nuovi residenti benestanti. Dubai e Hong Kong non tassano le successioni. Persino all’interno della Confederazione, la nuova tassa federale si sommerebbe a quelle cantonali, già contenute. Il rischio è una perdita di competitività per un paese che ha costruito la propria fortuna sulla gestione patrimoniale globale. Peter Spuhler, imprenditore ed ex politico, è stato netto: «Questa proposta è un disastro per la Svizzera». I suoi eredi, ha dichiarato, rischierebbero un’imposta fino a 2 miliardi di franchi. Una cifra che renderebbe una successione aziendale un problema di sopravvivenza.
Ma ciò che davvero inquieta il settore bancario è la reazione dei clienti internazionali. Yamin Fouzi, esperto di pianificazione patrimoniale, avverte: «Molti scelgono la Svizzera per la prevedibilità. Anche solo parlare di tasse punitive li spinge a guardare altrove». Per alcuni, è una questione di principio: se oggi il bersaglio sono patrimoni sopra i 50 milioni, domani potrebbero esserlo famiglie con eredità molto meno clamorose.Il paradosso è che la proposta ha, secondo la maggior parte degli osservatori, poche possibilità di passare. I sondaggi lo indicano chiaramente, e la storia lo conferma: ogni tentativo analogo è stato bocciato a larga maggioranza. Philippe A. May, ceo della società di consulenza EC Holdings, ha definito l’iniziativa «estremista» e «fuori dagli standard svizzeri». E aggiunge: «Ha zero possibilità di essere approvata».
Eppure, l’effetto sul clima di fiducia è reale. Alcuni consulenti parlano di una «breccia nel muro»: ora che il tabù è stato infranto, è probabile che simili proposte tornino ciclicamente, come già accade in altri Paesi europei. Le autorità federali hanno reagito con fermezza: governo, Consiglio nazionale e Consiglio degli Stati raccomandano di respingerla. Ma in Svizzera la democrazia diretta non conosce scorciatoie. L’iniziativa dovrà essere approvata da una doppia maggioranza. Dei votanti e dei cantoni. Obiettivo difficile, ma non impossibile. Per questo, molti sperano in una bocciatura netta. «Solo una sconfitta schiacciante potrà chiudere la questione per vent’anni», fa notare Rochat. Una vittoria risicata del no, al contrario, potrebbe lasciare aperto il fronte dell’instabilità. Nel mezzo dell’incertezza, la Svizzera continua ad attrarre capitali. «Stiamo assistendo a forti afflussi, soprattutto dagli Stati Uniti», evidenzia un alto dirigente di banca privata elvetica. L’instabilità politica americana ha spinto molte famiglie a diversificare la geografia dei propri patrimoni. Secondo Christian Kälin, presidente di Henley & Partners, i grandi patrimoni restano razionali: «Chi ha davvero molti soldi sa che introdurre una tassa simile sarà sempre difficile. C’è cautela, ma non una fuga».
Forse è così. Ma resta il fatto che qualcosa è cambiato. La Svizzera, patria della neutralità e della prevedibilità, si trova costretta a difendere questi valori anche sul piano fiscale. E se anche a novembre la proposta sarà respinta, il messaggio è già arrivato. I miliardari, più attenti alle sfumature che alle leggi scritte, hanno cominciato a scrutare nuovi orizzonti. —