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 2025  giugno 25 Mercoledì calendario

I vandali dell’arte: turisti. Tele strappate, sculture rotte

Alle Gallerie degli Uffizi di Firenze, nel desiderio di imitare la posa del ritratto di Ferdinando dei Medici del Nicoletto, per farsi scattare una foto, un visitatore italiano si avvicina troppo al quadro e, indietreggiando, urta il distanziatore di sicurezza e squarcia la preziosa tela del 1690. E ancora, a Verona, a Palazzo Maffei, un’opera dell’artista torinese Nicola Bolla, intitolata Sedia di Van Gogh, una sedia dalla struttura sottile e rivestita da centinaia di cristalli Swarovski, viene gravemente danneggiata da un uomo che voleva farsi immortalare mentre vi poggiava le sue terga.
Sono vicende accadute realmente, nemmeno troppo indietro nel tempo, rispettivamente sabato 21 e giovedì 12 giugno, nonostante siano tanto grottesche da sembrare degne di un film comico. E in effetti, rammemorano con una certa aderenza crudele alcuni passaggi de Le vacanze intelligenti – il terzo pannello del film di caricature a episodi Dove vai in vacanza del 1978 – in cui Alberto Sordi e Anna Longhi passano dall’assistere a un concerto al visitare la Biennale di Venezia. Al concerto, che prevede un tacet in partitura (battute, cioè, in cui non deve essere suonata nessuna nota), interrompono il religioso e voluto silenzio, interrogando i vicini di posto. E proprio alla rassegna lagunare, dopo aver calpestato come se nulla fosse opere ambientali e inciampato contro sculture a terra, la signora Augusta Proietti (il personaggio di Longhi), verace fruttarola romana, vede una sedia sotto una palma e, non capendo si tratti di una delicata installazione concettuale, ci si siede. Spaparanzata nel suo vestito a fiori, mentre consuma una bibita ghiacciata, si offre inconsapevole così ai visitatori della Biennale che la scambiano per un tableau vivant (e c’è addirittura qualcuno che vorrebbe comprarla per svariati milioni di lire).
Il problema dei coniugi Proietti, nel film interpretato e diretto da Sordi, era culturale, di comprensione dell’arte, cioè di scolarizzazione. Ma i molti esempi di danneggiamento di opere da parte di inadeguati visitatori che vogliono scattarsi selfie e attuano inadeguati comportamenti o, per usare le parole di Simone Verde (direttore degli Uffizi) “incompatibili con il rispetto del patrimonio culturale” è più profondo. Ha, cioè, un’origine diversa.
Basti pensare al turista austriaco a Possagno che nel settembre 2022 ha rotto due dita del piede della Paolina Borghese del Canova per immortalarsi adagiato accanto alla scultura. All’uomo che, nell’estate del 2021, si è arrampicato sul basamento della statua che ritrae Diana Cacciatrice per scattarsi una foto faccia a faccia con la dea. E ancora, alla ragazza a Firenze che, nel luglio 2024, di notte si è arrampicata sul piedistallo della Fontana del Bacco per baciarlo. Infine, ancora più a ritroso, al ragazzo che, nel 2014, per scattare un ricordo irripetibile saltò in braccio al Fauno Barberini alla Gypsoteca di Brera, spezzandole una gamba.
Accantonando gli attivisti dei movimenti ecologisti, o come vengono definiti assai crassamente gli “ecovandali”, non perché spesso non causino anche loro danni alle opere – benché delle volte i loro sit-in siano esclusivamente simbolici poiché rivolti a opere sotto teca e ben protette – ma perché mossi da un’emergenza che almeno è reale, la moda del “selfie con opera d’arte” è altro affare, e ha ragioni che non confinano solo con una mancata scolarizzazione all’arte, quanto piuttosto con una cattiva educazione allo sguardo verso l’arte.
Inquinati, come si è, da una tendenza di iper-rappresentazione del sé, si fa fatica a comprendere che l’arte accade senza di noi, o come sosteneva il poeta Rainer Maria Rilke, è “autonoma”, e che non esiste un altro modo di farla nostra se non guardandola. La posizione del guardare è sublime da sé, e soprattutto si legittima in sé, senza un’appropriazione invadente. Chi entra in un museo e non è appagato dal guardare ma vuole imporre la propria presenza nell’opera d’arte, non sa guardare, e quindi non sa apprezzare, perché impone l’identificazione come misura della bellezza. È sbagliato doversi sentire, per l’attimo di uno scatto o di una mossa, protagonista del quadro o della scultura per goderne. Quando il grande critico John Berger in Sul guardare afferma che ogni incontro con l’opera d’arte è un “momento vissuto” non intendeva che, cadendo in quella perigliosa trappola di senso secondo cui l’arte è vera solo se diventa anche un po’ “mia”, bisogna immedesimarsi e riferirla a se stessi. Perché oltre a essere sbagliata concettualmente, è un’attitudine limitativa nell’esperienza con l’arte. Limita soprattutto i sentimenti di cui possiamo essere capaci davanti all’arte. Restare fuori dalla creazione altrui, dall’arte di qualcuno che non siamo noi, equivale a una forma di compassione più grande da quella verso noi stessi, infinita, che è la compassione per il mondo. Ma forse, ed è questo il più allarmante e doloroso rivelatore dei nostri mala tempora, più dei danni alle opere, non siamo più interessati né disposti a sentire le cose del mondo.