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 2025  giugno 24 Martedì calendario

Ritorno alla montagna

Del vivere in montagna, gli italiani apprezzano soprattutto l’aria pulita (67%), il contatto con la natura (65%), la tranquillità e la possibilità di godere del silenzio (50%) e il poter essere lontani dalla confusione cittadina (40%). La città invece è troppo affollata e troppo cara, tante periferie sono fonte di degrado e anche di emarginazione, come un tempo potevano essere le zone di montagna, che invece dal Covid in poi stanno ritrovando appeal.
Analizzando i dati dell’ultimo quinquennio, quello compreso tra il 2019 ed il 2023, il nuovo Rapporto Montagne Italia 2025 realizzato dall’Uncem, l’Unione delle comunità montane, si scopre che soprattutto Alpi e l’Appennino settentrionale tornano a popolarsi in quella che viene definita «la stagione del risveglio». E così se il rapporto precedente, quello del 2017, segnalava che gli stranieri avevano «salvato la montagna» e tante filiere produttive, a partire dall’agricoltura, in quello che viene presentato oggi a Roma (riassunto in un poderoso volume di 785 pagine edito da Rubettino) si scopre che gli italiani vedono nella montagna nuove opportunità.
Anche perché nel frattempo questa montagna – 3.471 comuni che in tutto che coprono il 48,8% del territorio nazionale ospitando 8 milioni 900.529 abitanti (il 14,7% della popolazione nazionale) – è cambiata tanto. Ad esempio sono migliorati i servizi, grazie al Pnrr sono stati realizzati tanti nuovi asili, ed in molte zone sono migliorati i trasporti, che rendono tanti territori molto più raggiungibili, e poi finalmente è arrivata la banda ultralarga per Internet, che fino a 10 anni fa era un problema, per cui si può agevolmente telelavorare o telestudiare.
Tra il 2022 ed il 2023, dopo che la pandemia da Covid-19 è stata arrestata e sconfitta, secondo il nuovo «Rapporto montagne» il saldo tra i movimenti della popolazione in ingresso e in uscita dalla montagna non solo torna a essere positivo ma assume anche dimensioni assai più significative di quanto non si sia registrato nei momenti migliori del passato. Si registrano infatti quasi 100 mila ingressi oltre le uscite, dato che corrisponde a più del 12 per mille della popolazione.
Certo, i problemi non mancano e la ripresa investe il Paese in modo diseguale, segnala lo studio: sono 250 su 387 le comunità territoriali che si collocano in territorio positivo; di queste 136 lo fanno con valori decisamente significativi che vanno oltre il 20 per mille. A guidare questa graduatoria ci sono l’Emilia Romagna col 46,7 per mille, quindi Toscana (37), Liguria (32,16), Piemonte (26,4) e Trentino Alto Adige (21,9). Di contro la Calabria perde il 21,9, la Basilicata il 18,3 e la Sicilia il 15 per mille, a conferma di una frattura sempre rilevante tra il Mezzogiorno e le altre regioni. «La discontinuità più forte col passato è tuttavia determinata dalla composizione del flusso migratorio riguardo alla cittadinanza – sottolinea il Rapporto -. Non solo la popolazione italiana della montagna presenta (novità assoluta) un saldo positivo tra ingressi e uscite, ma questo, forte di quasi 64 mila unità, sopravanza nettamente quello della cittadinanza straniera che con meno di 36 mila unità quasi si dimezza rispetto ai valori del quinquennio precedente».
«Bisogna uscire dagli stereotipi e la parola spopolamento rischia di diventare un mantra sulle cose non fatte – commenta il presidente dell’Uncem, Marco Bussone -. Sono anni che viviamo una crisi demografica però non possiamo continuare a chiamare spopolamento una cosa che spopolamento non è più. O meglio ci sono dei segnali di inversione e questi segnali vanno colti dalla politica. Nei prossimi giorni andrà in aula la legge del ministro Calderoli sulla montagna, è un segnale importante: questa legge va riempita di contenuti e di investimenti».
Come? «Bisogna investire ancora molto sul fronte scolastico e su quello sanitario – risponde Bussone -. E soprattutto bisogna mettere in campo strategie di territorio anziché di campanile, come ad esempio con le green community, progetti che oggi coinvolgono ben 200 diversi territori e 1.300 comuni o con le politiche per la aree interne e poi anche le Regioni devono fare la loro parte, come ad esempio ha fatto il Piemonte negli ultimi 15 anni è stata tra le Regioni più virtuose in Italia sulle politiche per le aree montane in termini di investimenti e di opportunità». —