Robinson, 22 giugno 2025
Quella ragazza chiamata Italia
È appena tornata a Roma, dopo essere stata esposta con grande successo allo splendido Museo Sinebrychoff di Helsinki, una delle più grandi opere d’arte-simbolo della storia della città eterna: tanto bella e importante quanto sconosciuta ai più e poco ricordata anche dalla storiografia ufficiale. Si tratta di un grande dipinto su tela di Valentin de Boulogne, che ha in effetti una vicenda singolare. Il quadro fu commissionato dal cardinale Francesco Barberini al geniale e scapestrato pittore francese, residente già da tempo a Roma e seguace – seppur non esclusivo – della scuola caravaggesca. Quando Valentin giunse a Roma, Caravaggio era appena scomparso, anche se il suo influsso continuava a dominare l’ambiente artistico.
L’antico biografo dei pittori attivi in quel tempo, Giovanni Baglione, racconta tutto nella “Vita di Valentino francese”, inclusa nelle sue Vite de’ pittori, scultori et architetti, edite nel 1642, dieci anni dopo la morte di Valentin, avvenuta nel 1632 a soli trentanove anni. Baglione narra: «Fece diversi quadri per vari personaggi et in particolare per Francesco cardinale Barberino, nepote del nostro sommo pontefice Urbano VIII e vicecancelliere disanta Chiesa. Operò tra li altri un quadro assai grande, dentrovi Roma col Tevere e il Teverone fiumi, molto ben dipinto; e si vede appeso ne’ muri di una stanza nel palagio della Cancelleria Apostolica». Il cardinale dovette rimanerne molto soddisfatto, tanto che subito dopo (siamo nel 1628-29) commissionò a Valentin addirittura una pala d’altare per San Pietro da collocare nella Tribuna ( oggi ai Musei Vaticani) raffigurante ilMartirio dei Santi Processo e Martiniano: un soggetto insolito, ma comunque un dipinto bellissimo e gagliardo.
Il dipinto che oggi alcuni chiamano Allegoria di Roma, e altri – discostandosi dal Baglione –Allegoria d’Italia, identificando i due fiumi non come il Tevere e l’Aniene ( il Teverone di Baglione) ma come il Tevere e l’Arno, in omaggio all’origine toscana della famiglia Barberini, resterà sempre il suo capolavoro: opera degna, complessa e di straordinaria bellezza.
Il grande dipinto di Valentin non dovette restare a lungo nel Palazzo della Cancelleria a Roma. Ben presto se ne persero le tracce, finché riemerse in una memorabile vendita all’asta del 1899. In quell’occasione, il celebre studioso e collezionista Wolfgang Helbig se lo aggiudicò per festeggiare i suoi sessant’anni, probabilmente ignorando che si trattasse proprio del quadro descritto da Baglione. Ne intuì tuttavia l’altissimo valore e la commovente bellezza, portandolo nella sua residenza romana: il meraviglioso Villino Lante sul Gianicolo, che si diceva fosse stato progettato da Raffaello Sanzio o da uno dei suoi sommi allievi, come Giulio Romano, e da questi decorato con superbi affreschi, in parte ancora conservati.
Era – ed è – un luogo incantevole, circondato da un giardino ormai scomparso, sede di una raffinata cultura e di continua meraviglia, dove Helbig aveva stabilito la sua roccaforte. E una vera roccaforte è anche il quadro di Valentin. Helbig morì nel 1915. Passarono diversi anni prima che, grazie a una cospicua donazione del grande imprenditore, editore e mecenate finlandese Amos Anderson, il villino con tutti i suoi arredi – tra cui il dipinto di Valentin – divenisse nel 1954 proprietà dell’appena fondato Institutum Romanum Finlandiae, che vi si insediò e tuttora vi svolge una magnifica e intensa attività culturale.
Solo nel 1959, nuovi studi e rinvenimenti documentari permisero di attribuire nuovamente a Valentin de Boulogne la paternità dell’opera. Negli ultimi anni, il Villino Lante è stato sottoposto a un accurato restauro e il dipinto di Valentin è stato esposto per qualche tempo a Helsinki, dove, grazie all’iniziativa dell’Ambasciata d’Italia in Finlandia, è stato possibile rendere adeguato omaggio a un simile capolavoro. Valentin si ispirò alle possenti statue fluviali che si possono ammirare a Roma, in particolare in Campidoglio. Per la figura diRoma utilizzò anche un modello classico: l’immagine di Minerva-Atena che, armata di tutto punto, nasce trionfante dalla testa di Zeus-Giove, emblema dell’unione imprescindibile tra la potenza militare e la filosofia, intesa come dominio e amore di ogni aspetto del sapere e del creare. Insomma, per celebrare la gloria di Roma (in realtà la gloria del papa Urbano VIII Barberini, da poco salito al trono pontificio), Valentin dipinse immagini emblematiche di statue antiche, infondendo loro vita con un’intensità sicuramente derivata dalla poetica caravaggesca, ma spingendosi ben oltre quella, seppur eccelsa, lezione. Minerva nasce direttamente dalla testa di Giove, dunque è una bambina e tale appare la deliziosa fanciulla che occupa la scena. Sullo scudo reca le armi papali e intorno a lei si aggirano, appena visibili, numerose piccole api, simbolo della laboriosa famiglia Barberini, ascesa ai vertici del potere. L’immagine, però, non è statica né solenne: la statua si sta muovendo, e il mantello maestoso che la avvolge si gonfia al vento che la sospinge avanti. È visibilmente sorpresa, quasi intimidita, e infatti lancia sguardi intorno a sé come per capire cosa stia accadendo.
La statua del Tevere, meravigliosa, con i due gemelli tra i bambini più amabili mai visti nella pittura dopo il Correggio, osserva esterrefatta e intimorita la Minerva che avanza verso di loro, camminando sopra i frutti eruttati dalla cornucopia. L’altro fiume, invece, si sottrae allo sguardo, immerso nell’ombra.
Gian Lorenzo Bernini, una ventina d’anni dopo, si sarebbe probabilmente ispirato a questo modo di concepire le statue fluviali progettando la celebre Fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona. E, negli anni Ottanta dell’Ottocento, il grande scultore francese Frédéric-Auguste Bartholdi ripropose – mutatis mutandis – il modello del connazionale Valentin nella sua celeberrima Statua della Libertà (più precisamente La Libertà che illumina il mondo), al centro della baia di Manhattan, dove la dolce fanciulla del quadro barberiniano divenne la solenne matrona che accoglie, ma intimorisce ancora un poco.
Valentin, si sa, beveva troppo e amava sregolatamente la bella vita. Baglione racconta: «Era nella stagione calda dell’estate e Valentino, andato a diporto co’ suoi compagni in un luogo, avendo preso grande tabacco (sì come era suo costume) e con quelli soverchiamente bevendo vino, s’infiammo di modo, che non poteva vivere dal grand’ardore che egli sentiva». Così si gettò nella vasca della fontana del Babbuino e, «pensando di acquistarvi ristoro, vi trovò la morte».