Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 23 Lunedì calendario

Intervista ad Alan Sorrenti

n certi momenti ho vissuto Figli delle stelle come un peso. A volte vorresti fare altro, nei periodi di cambiamento può succedere. Ma alla fine mi ha sempre gratificato».
Alan Sorrenti, 74 anni, vive un’eterna giovinezza. All’inizio degli anni 70 è stato uno dei protagonisti della scena prog italiana. Poi con Figli delle stelle, Tu sei l’unica donna per me, Non so che dareiè entrato nell’immaginario collettivo della nostra canzone. Dal 2022, con l’album Oltre la zona sicura,ha ripreso un’intensa attività live e il dj e produttore Pekka ha recuperato e remixato un suo brano del 1980, Magico… di notte.
Lei è figlio di un napoletano e di una gallese, ha conosciuto la musica internazionale da Cesarini, negozio di dischi al Vomero, quartiere di Napoli. Come è arrivato ai suoi primi album molto sperimentali?
«All’epoca il Vomero era una specie di Radio Londra, la grande attenzione alla scena internazionale ha favorito il mio percorso. Il fotografo Umberto Tedesco mi fece conoscere il folk, il prog, mi fece scoprire Tim Buckley: nel suo laboratorio transitava gente che tornava da Londra con idee inedite. Il produttore Michelangelo Romano fece avere alcune cose, che avevo realizzato con la chitarra, a Paolo Giaccio, l’inventore diPer voi giovani,che le trasmise in radio. Ci fu una forte risposta, c’era un pubblico, era in atto un cambiamento. Pensai a un album».
Poi arrivò Tony Esposito.
«Mio padre aveva un negozio di stufe, utilizzammo il deposito e lì, grazie al passaparola, comparve Tony Esposito. Dopo un po’ conoscemmo Corrado Bacchelli, era stato il produttore dei Nomadi, di Guccini, fu colpito dalla mia musica fuori schema e mi trovò il contatto con la Emi. Incisi Aria, il mio primo album».
Due dischi sperimentali, “Aria” e “Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto”, il successo della versione pop di “Dicitencello vuje”. Arrivò in classifica e i fan del progressive la accusarono di tradimento. Nel ‘74 lo stigma era difficile da gestire.
«Tutto fu dettato da un desiderio di ricerca. Il prog stava cambiando, era una fede ma venne politicizzato, manipolato. C’è chi mi dice che quei primi dischi gli hanno cambiato la vita. È questo il senso della musica».
In quel periodo incontrò Battiato.
«In un negozio di strumenti musicali a Roma, l’unico che vendesse un synth come quello dei Pink Floyd. Scambiammo poche battute, lo conoscevo poco».
Qualche anno dopo la citò con sarcasmo in “Bandiera bianca”. Vi siete mai chiariti?
«In realtà no. Quando mi chiedevano di quella citazione rispondevo che per capire le mie scelte avrebbe dovuto stare nelle mie scarpe».
Un viaggio in Africa, la scoperta dei ritmi, gli Stati Uniti e il nuovo Sorrenti di “Figli delle stelle”.
«L’America mi restituì la fiducia in me stesso, Los Angeles mi aveva folgorato. Stavo scrivendo un pezzo un po’ brasiliano, Heaven : il produttore Jay Graydon la trasformò con una lettura stellare, luminosa. Fu un punto di arrivo perme che sentivo questa appartenenza al cosmo. Il testo lo scrissi in Italia, in campagna, quella frase mi fu quasi bisbigliata all’orecchio: era la mia coscienza musicale».
Il senso della canzone è più profondo di come fu percepito.
«All’epoca viaggiavo di continuo e mi sentivo dentro questo mondo incui ci si lascia e ci si prende senza controllo. Credo che i giovani che amano il pezzo si identifichino nei figli delle stelle di allora, sono più a contatto con quell’aspetto cosmico».
Mercoledì sarà in concerto a Serravalle per la Milano Pride Week. Lei è ormai un simbolo della comunità Lgtbq+.
«Non mi sorprende, i primi figli delle stelle erano i ragazzi della comunità gay, una generazione che stava emergendo».
Il successo la spinse a qualche esagerazione. Entrò al Festivalbar in Rolls Royce.
«C’è un momento in cui ti senti una star e pensi di poter fare tutto. Pretesi di far aprire le porte dell’Arena di Verona per entrare in Rolls, una mania di grandezza che mi colse solo in quel periodo».
Nell’80 rappresentò l’Italia all’Eurovision con “Non so che darei” ma disse che non si sentiva italiano.
«Vivevo in America, il brano era americano, mi veniva difficile identificarmi con l’Italia. Col tempo ho capito quanto siano importanti le radici».
Poi è arrivato il buddismo e ha cambiato tutto.
«L’energia a un certo punto si esaurisce, hai bisogno degli altri per creare valore. L’aver sposato cause in modo non corretto mi stava portando alla deriva. Il buddismo mi ha aiutato a cercare la mia forza, l’illuminazione era la stessa di Figli delle stelle ma questa mi ha fatto orbitare con gli altri. Vorrei raccontarla: scriverò un libro e probabilmente farò un film ispirato alla mia vita. Potrebbe diventare la storia di una generazione».