Specchio, 22 giugno 2025
"L’amore è rivoluzionario Contro l’orrore di questi tempi dobbiamo rimettere l’essere umano al centro"
Diodato dice di provare rabbia quando si guarda intorno, e di motivi ne ha davvero in quantità. Quella rabbia la sfoga con l’arte, con la sua musica e la sublima con l’amore che, è ancora il Diodato pensiero, è rivoluzionario. Lo mette nelle canzoni e nella vita di ogni giorno anche quando conduce una battaglia, come aveva fatto per i lavoratori del mondo dello spettacolo fermi senza tutele durante la pandemia, e come fa da anni per la sua Taranto alle prese con l’acciaieria più grande d’Europa. Anche quest’estate il cantautore sarà in tour. Si parte il 27 giugno da Trento, mentre il 28 ci sarà la tappa all’Anfiteatro Romano di Susa.
Diodato, cosa significa per lei stare su un palco?
«Sul piano umano un momento di sperimentazione. Se prima era una sfida con me stesso e un vincere il disagio di mettersi a nudo su un palco, con il passare degli anni è diventato un momento di scambio con il pubblico, con chi viene a emozionarsi. Creare un mondo che esiste solo in quel momento lì è la cosa che oggi più mi interessa. Il concerto per me è un’occasione per incontrare altri esseri umani».
Lo spazio aperto dà o toglie relativamente a questo aspetto?
«Il teatro ti permette di entrare in un’altra dimensione. Allo spazio aperto ti devi adattare, il teatro lo puoi plasmare. Ma anche l’adattarsi è una sfida stimolante, percepire tutte le vibrazioni di quei posti e vibrare con esse. A volte mi capita di cambiare la scaletta e l’attitudine perché con i luoghi è giusto suonarci».
E stare in studio di registrazione le piace?
«Non molto, perché in tutto quello che faccio sono pigro alla partenza, poi una volta che ci sono dentro mi sento a mio agio. Anche perché mi sono circondato di persone con le quali mi piace lavorare. Mi piacciono le esperienze da fare insieme, magari chiudersi tutti insieme in una villa per una settimana. Quando arriviamo alla fine mi sale invece l’ansia della perfezione, sapere che una volta conclusa, non potrai più toccare la canzone. All’inizio ero quasi maniacale, poi ho imparato a lasciare un po’ andare».
Il suo impegno politico e civile c’è sempre stato, perché proprio adesso ha sentito l’esigenza di esplicitarlo come nel brano “Non ci credo più”?
«Oggi forse rispetto al passato c’è più rabbia. Magari conta l’età o il periodo storico in cui viviamo, anni molto faticosi, di guerre… Il fatto che per me invece è un bel periodo mi fa vivere ancora peggio ciò che vedo. Andare in tour, conoscere tante persone, vivere in armonia mi porta ad essere ferito ancora di più da ciò che vedo. Ti viene ancora più voglia di raccontare con sincerità le sensazioni che provi, il dissenso, la rabbia. Come puoi rimanere in silenzio? È l’amore che mi porta a scrivere una canzone come “Non ci credo più” perché voglio che tutta la mia vita sia guidata da quel sentimento. Sto facendo un percorso artistico molto chiaro, evidente e comprensibile. Il mio è un viaggio».
"Non ci credo più” è il manifesto di quel viaggio?
«È un gioco per dire ciò in cui credo: che ognuno di noi abbia un valore, che ogni essere umano sia importante e possa influire sulla società. E non serve essere artisti o avere un grande megafono, si può avere un impatto con le scelte che facciamo ogni giorno. Dobbiamo esserne consapevoli, anche perché c’è una narrazione che spinge nella direzione opposta. Ed è un sistema che collega tutti i drammi del mondo, da quelli ecologici ed economici alle guerre: esiste una volontà di farci sentire impotenti e farci rinunciare al nostro ruolo. Dobbiamo recuperare la consapevolezza che possiamo fare tanto e che valiamo tanto, soprattutto quando siamo uniti».
Con il progetto nato a seguito del singolo Un Atto di Rivoluzione, che l’ha portato a visitare tre associazioni (Blitz a Palermo, il centro Mammut a Scampia e la Casa delle Agriculture in Salento), ha saputo trovare la bellezza di quegli atti rivoluzionari.
«L’uomo nei momenti di difficoltà riesce a fare le cose più potenti. In questi mesi, davanti al genocidio di un popolo, alle guerre, alle crisi economiche, alle devastazioni, mi sono detto che dovevo cercare un altro tipo di narrazione. Che mostrasse il bello, la forza di persone che si sono rimboccate le maniche e hanno provato a cambiare luoghi e situazioni in cui vivevano. Sono andato in quelle periferie che le nostre teste hanno isolato e rappresentato come posti di delinquenza ed emarginazione e ho conosciuto delle persone che ci hanno fatto vedere che si può fare davvero tanto, soprattutto se ci mettiamo tutti insieme».
Vorrei tornare un attimo alla sua musica chiamando però in causa la sua vita privata. La sua compagna, la fotografa Lorena Dini, è brasiliana, la frequentazione con quel mondo sta portando o porterà nella sua produzione sonorità nuove?
«La musica mi ha sempre affascinato tutta, ho iniziato ascoltando tanta musica italiana e poi britpop e britrock però contemporaneamente suonavo il violino e perciò sentivo musica classica. Sono un amante della musica elettronica e della techno, mi piace andare ai festival e ballare. Ovviamente quando incontri musica importante come quella brasiliana non puoi che esserne affascinato. E io voglio essere contaminato da tutto quello che ascolto. Ovviamente poi tu devi trovare la tua coniugazione, perché io non potrò mai essere un cantautore brasiliano... però le sensazioni che provi, anche a livello ritmico, possono contaminarti in maniera interessante. Io torno spesso sul concetto del viaggio, perché penso che sia così l’esistenza tutta, e lo stesso vale per la musica: quando siamo in viaggio veniamo contaminati da ciò che viviamo e vediamo, anche involontariamente. E quando torniamo siamo altri rispetto a quando siamo partiti. Mi affascina molto e spero di diventare sempre altro».
Lorena ha conosciuto prima le sue canzoni o lei?
«Ci siamo incontrati a una cena all’ambasciata italiana a San Paolo, durante la quale ho però anche suonato qualcosa. Non sapeva chi fossi. Poi è venuta a dei concerti che ho fatto in Brasile. All’inizio non è che parlassimo molto, perciò possiamo dire che prima mi ha conosciuto attraverso le mie canzoni e solo dopo ci siamo conosciuti umanamente».
Cos’è che una ragazza che viveva dall’altra parte del mondo, un’artista, una fotografa, una persona che quindi ha un occhio particolare sulla realtà, ha portato nella vita di Antonio Diodato?
«L’amore è sempre una bellissima rivoluzione alla quale si deve partecipare, che riporta sempre una grande energia vitale e che ridefinisce tutti confini della tua vita. A volte abbatte anche tante barriere».
Chiudo con una domanda ricorrente: oggi Diodato è nel posto giusto?
«Penso di sì. E spero che la risposta sia sempre quella, perché significa che sono in movimento. Un movimento non per forza fisico, ma anche interiore».