Corriere della Sera, 22 giugno 2025
I 1.100 italiani sul fronte iracheno. Una parte trasferita in Kuwait
Non un ritiro dalle missioni internazionali in Iraq, ma un riposizionamento di una parte del personale italiano nello stesso teatro operativo in attesa, e nella speranza, che la guerra fra Israele e Iran finisca, o quantomeno che si arrivi a breve a una solida tregua. E comunque con l’intenzione di tornare al più presto, appena le condizioni di sicurezza lo consentiranno. È questo il motivo per cui un’aliquota di nostri militari è stata trasferita nelle ultime ore da Baghdad in Kuwait, nella base aerea «Castra Praetoria» di Ali al-Salem, dove da anni si trova l’«Italian national contingent command air task force» nell’ambito di «Prima Parthica», la stessa operazione portata avanti dai nostri militari sia nella capitale irachena, sia nel presidio di Erbil, come anche in quello avanzato di Benaslawa, dove c’è il «Kurdistan training center», il centro di addestramento con istruttori italiani delle forze di sicurezza Zaravani (la polizia militare curda) e dei soldati peshmerga. Proprio ieri il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che il trasferimento è legato di un’iniziativa «per motivi di sicurezza: si tratta – ha aggiunto – di un reparto di carabinieri che si trovava nei pressi dell’aeroporto» di Baghdad.
In tutti i casi, si sottolinea in ambienti vicini alla Difesa, è stata una decisione dettata dalla prudenza, pensando proprio alla sicurezza dei militari in un momento carico di tensione nel quadrante mediorientale, che non cambia il quadro operativo, e che è stata adottata in occasioni analoghe: ad esempio proprio in Iraq nel 2020, quando una base americana a Baghdad fu presa di mira con lanci di mortai insieme con altre due colpite da missili partiti dall’Iran. All’epoca, come oggi, lo spostamento dei militari italiani riguardò piccoli nuclei in quel momento impegnati nell’addestramento delle forze locali.
Adesso si parla di «esigenze di maggiore operatività», con il numero di militari che tuttavia rimarrà invariato, sempre circa 1.100 uomini, comprendendo quelli dislocati sia a Erbil sia in Kuwait. Una presenza significativa, riconosciuta a livello internazionale, che a oggi ha consentito di addestrare 48mila peshmerga e poliziotti iracheni, 3mila agenti e 2mila militari curdi, seguiti dagli istruttori italiani nel corso delle missioni irachene iniziate nel 2014 con quella Nato «Inherent Resolve» per contrastare il terrorismo islamico e quindi con «Prima Parthica» (dal nome di una delle legioni istituite da Settimio Severo, imperatore romano nato in Libia) quattro anni più tardi per bloccare l’espansione dell’Isis e addestrare le forze armate locali. Sempre in Iraq, il personale italiano prende parte al «Baghdad Diplomatic support center», ed è presente con la «Task Force 44», composta dalle forze speciali, insieme con la «Mobile training team» (Mtt) dei carabinieri, la «Joint multimodal operations unit» e partecipa all’«European union advisory mission Iraq».
L’attività italiana nel Paese, insieme con le forze armate di nazioni alleate, è coordinata come le altre missioni all’estero dal Covi, il Comando operativo di vertice interforze, e non si limita alle azioni militari ma promuove anche la cooperazione con la popolazione e le istituzioni locali, l’assistenza sanitaria e quella di protezione civile, oltre all’insegnamento delle tecniche di sminamento e bonifica del terreno. Al momento comunque il trasferimento di personale riguarda solo l’Iraq per il Kuwait. Le missioni sul teatro mediorientale rimangono invariate. Quella Unifil in Libano – anch’essa interessata in passato da un riposizionamento di personale impegnato nella Mibil (per l’addestramento delle forze locali), sempre per motivi di sicurezza – vedrà a breve il cambio al comando con la nomina del generale di divisione Diodato Abagnara.