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 2025  giugno 22 Domenica calendario

Intervista a Fabio Testi

Camicia sgargiante, “un regalo dei miei figli, ne approfitto, in questo contesto ci sta” ride Fabio Testi, ospite al festival Filming Italy. Seduto al fresco di un patio, è pronto per un bilancio di vita e carriera.
Che ragazzino era? Quando è diventato così alto, così possente?
“A quindici anni ero già fatto così. Nuotavo nella squadra di Peschiera del Garda, dove sono nato. Ho sempre praticato sport: tuffi, calcio, judo, nuoto nel lago… All’epoca c’erano pochi altri divertimenti. Crescere in un ambiente molto sportivo, grazie a Dio, mi ha formato”.
Mai pensato di fare agonismo?
“Sì, ho partecipato a qualche gara di nuoto, su lunghe distanze. Ma sempre con spirito sportivo, senza ambizioni particolari”.
Si considera una persona competitiva?
"Abbastanza, ma non troppo. Mi piace partecipare, ma se so di non poter vincere, preferisco non farlo”.
Quando è arrivato il cinema nella sua vita?
"A Peschiera del Garda stavano girando un film di pirati: avevano costruito dei vascelli d’epoca e io, che avevo 14 o 15 anni, feci una partecipazione. Furono le prime battute davanti a una macchina da presa. Da comparsa sono passato alla figurazione speciale, poi ho conosciuto un gruppo di acrobati e stuntmen romani. Ero già allenato, quindi mi sono unito a loro. Facevamo scene d’azione, arrembaggi… Per uno studente era il paradiso. Seguendo un film venni a Roma, per girare gli interni”.
Dove giravate?
“Negli studi De Paolis: I pirati della costa. Per un ragazzo di un paesino di pescatori come me fu un’esperienza incredibile. Intanto mi ero diplomato geometra, avevo anche cominciato Architettura, e stavo per partire per un incarico tecnico, un oleodotto in Africa: Ghana, Zambia, Kenya, Tanganica. Non avevo nessuna intenzione di fare cinema, assolutamente”.
E cos’è successo poi?
“Stavano girando dei caroselli della Coca-cola. Feci una caduta da un pennone, c’erano trenta centimetri di neve. Johnny Dorelli era il protagonista. Il produttore mi disse: “Il suo contratto è scaduto, il prossimo lo fai tu”. Io: non mi interessa, sto per partire per l’Africa. Avevo tutto pronto: passaporto, vaccinazioni. Ma lui insisteva. Allora gli sparai una cifra: quella che avrei guadagnato in due anni in Africa. Una settimana dopo mi richiama: “Va bene Fabio, accettiamo”.
Ha chiesto consiglio ai genitori?
“Riunione di famiglia. Mio padre, mio zio, tutti lì a discutere. Mio zio, il più anziano, disse: “Facciamo come De Gasperi: intanto portiamo a casa i soldi e poi vediamo”.
E poi?
“Ho iniziato con i Caroselli, proseguivo a far l’acrobata. Poi un produttore disse “il prossimo film lo fai da protagonista”. Quanto mi date? Perché l’acrobata chiede i soldi a seconda del rischio. E io chiesi di fare tutte le cadute per farmele pagare a parte. Sono morto in dodici personaggi diversi, nella stessa giornata, con barbe e travestimenti: cadendo da cavallo, dal tetto, da tutto. Quando il film uscì, lo vidi con gli amici, mi incoraggiarono. Così mi iscrissi all’Accademia, venne De Sica a farci l’esame. Mi prese a benvolere e mi volle ne Il giardino dei Finzi Contini. Ho iniziato a lavorare, ho fatto 103 film”.
Che ricordo ha del set con De Sica?
"Il film più facile della mia vita. De Sica ti metteva sotto la macchina da presa, si sedeva sulla sua sedia e interpretava tutti i personaggi: il bambino, la vecchia… Tu dovevi solo imitarlo. De Sica, da attore, amava davvero gli attori”.
Cosa pensa che avesse visto in lei?
“C’era stata una lite tra lui e Bassani, l’autore del libro, non mi voleva. Andarono persino in causa. Lui voleva un personaggio con gli occhiali, intellettuale. Feci quattro provini. Ma De Sica cercava un uomo di cui lei potesse innamorarsi davvero perché aveva capito che col cinema si scrive in un altro modo, non con la macchina da scrivere. Poi fecero pace, quando arrivò l’Oscar. È stato un padre artistico, mi volevano bene, lui e il fratello”.
Il film più avventuroso, anche in senso rocambolesco?
“Addio fratello crudele, di Patroni Griffi. Una tragedia shakespeariana. Durissima. C’erano scene tremende. Vittorio Storaro alla fotografia, Mario Ceroli alla scenografia. Un film che non ebbe successo: la produzione fallì, le banche lo sequestrarono. Ma mi segnò profondamente. Per dieci giorni sognai le scene. Quando arriva il cattivo che mi portava il cuore della sorella uccisa, ancora gocciolante, avvolto in un velo... Ce l’ho impresso nella memoria. Una grandissima esperienza, comunque”.
Il suo rapporto con la politica? Si è anche candidato.
"All’epoca mi vedevo con Berlusconi, eravamo amici, voleva che diventassi il presentatore delle sue trasmissioni, risposi che ero un cinematografaro. Mi piaceva la sua spontaneità, la sportività. E fu allora che mi candidai, ma non faceva per me. Oggi per me la politica è sensibilizzare il mondo su quel che succede a Gaza, sono stato il primo a fare un cartello con scritto “fermate le morti dei bambini”, alla scorsa Mostra di Venezia”.
Lei è sempre stato sotto i riflettori. Gli incontri che le sono rimasti, le donne che ha amato?
“Ho solo avuto la fortuna di essere la persona giusta al momento giusto. Io ero sul set con le donne più belle del mondo. Mi hanno arricchito umanamente, le ho amate tutte. Ho fatto tante follie. Ho affittato un aeroplano, un 737 per andare da Ursula Andress perché c’erano mille contrattempi e non riuscivo a partire. Io in cabina coi piloti, ostriche e champagne. Arrivo a Ibiza e litigo con Ursula, mi dice “se hai affittato un aereo significa che avevi bisogno di farti perdonare qualcosa”.
Dove vi eravate incontrati?
“Sul set in Canada, per L’ultima chance. Un paesino sperduto nella neve, giravamo chiusi in albergo, e poi il lago gelato, la motoslitta. Lei stava con Ryan O’Neal, venne sul set a trovarla, una tragedia, una storia contorta. Io mi sono subito tolto dalla competizione. Ma finito il film a Roma abbiamo continuato la nostra storia, durata tre anni”.
La donna che l’ha fatta soffrire di più?
"La mia prima ex moglie e la sua avvocata in carriera, cattivissima. Per 22 anni mi ha tenuto in tribunale. Avevo tre figli con lei, mi ha condizionato il rapporto con loro. Ma ora ho un rapporto bellissimo con lei, e i ragazzi sono con me, nella mia azienda sul lago di Garda, tranne uno che è a Londra. Ho una tartufaia, vivo fuori dai riflettori”.
Il momento difficile della carriera?
“Quando la mia vita era un tribunale quotidiano. Una volta, stavo lavorando al Sistina, due signore mi entrano in camerino prima di andare in scena e mi consegnano una denuncia, sempre per i problemi della separazione. Se fossi stato sereno avrei fatto più cose, ma per vent’anni ho avuto i capitali bloccati, ho dovuto lavorare per recuperare i soldi. In passato il mio agente mi organizzava, con una modella venuta da Parigi, finti servizi fotografici per immortalare “tradimenti” per far pace con mia moglie e finire sui giornali: “Il pubblico non ti vuole a fare il contadino, sei un simbolo di fascino”. Mia moglie lo sapeva, ma poi quelle cose sono arrivate in tribunale”.
Il momento più bello?
“La festa per gli Oscar per Il giardino dei Finzi Contini, la feci a Napoli dove girato Camorra con Squitieri. Devo la mia carriere a tre registi napoletani meravigliosi, De Sica, Squitieri e Patroni Griffi. Napoli e Verona, c’è antagonismo ma anche amore. Ringrazio il talento napoletano”.
Il debutto alla scorsa Berlinale con “Riflessi su un diamante morto”?
“Avrei voluto portarlo a Venezia, non lo hanno voluto: non dico in concorso, ma neanche in bacheca. È stata una bella soddisfazione essere preso a Berlino. Due registi pazzeschi, prima mi hanno interrogato su tutti i miei film.. E sul set mi chiedevano di pensare alle emozioni delle scene di quei film, senza dialoghi”.
Rimpianti per offerte rifiutate?
“Mi avevano chiesto di fare il conduttore in Rai, a Domenica In. Dopo Gianni Boncompagni ed Edwige Fenech, lo avevano chiesto a me. Ho rifiutato, mi sentivo troppo legato al cinema. Forse avrei dovuto prendere quel treno, ma va bene così”.
Con Franco Nero, qui con lei al Filming Italy Sardegna, siete amici?
“Sì. Appoggia anche la causa di Gaza, siamo sodali. Quando io ho iniziato lui era già famoso, quando abbiamo fatto I guappi c’è stata un po’ di competizione, mi ricordo quanto collirio metteva su quegli occhi stupendi. Ma io non ho mai avuto complessi, non ho mai avuto paura di non essere scelto, sono stato scelto anche contro la mia volontà”.
Hollywood?
“Il mio accento veronese si sente anche in inglese. Una volta mi avevano proposto un’operazione alla lingua, per migliorare la pronuncia: far toccare il palato col muscolo della lingua. Non l’ho fatta. Peccato, perché dopo i sette anni certi suoni non li impari più. E l’accento resta. Ho sempre interpretato personaggi europei o sudamericani. Una volta, in un western, mi sono anche doppiato da solo in inglese. All’inizio dicevo: “Sono arrivato da poco dal continente”. Così giustificavano l’accento. Ma non sempre puoi farlo”.
Con Sergio Leone com’è andata?
“Dovevo fare C’era una volta il West. C’era la banda di Henry Fonda, poi quella di Bronson, e ci voleva un”belloccio”. Avevo già fatto il contratto, avevamo girato i provini. Ma poi, in proiezione, capirono che ero troppo protagonista, fuori tono rispetto al film. Hanno eliminato il personaggio. Io avevo già firmato, ma non potevo mettermi contro Leone, che era un dio. Sono rimasto sul set come stuntman. Truccato, facevo l’acrobata a cavallo. Ho conosciuto tutti, ed è stata comunque un’esperienza”.
Il ricordo più buffo?
“A teatro, Se devi dire una bugia dilla grossa, Garinei e Giovannini, Paola Quattrini, Gianfranco Jannuzzo e Anna Falchi. Dietro le quinte ne succedevano di tutti i colori. Alla fine non riusciamo a smettere di ridere. A un certo punto c’era una scena in cui aprivo una porta e trovavo nuda Anna Falchi. E una sera lei si mette nuda per davvero, il pubblico non la vede, io sì. Mi blocco e poi inizia la ridarella. Avrei voluto più commedie, ma al cinema mi volevano drammatico. Mi sono rifatto a teatro”.
Si è pentito di aver partecipato ai reality?
“Feci la prima edizione dell’Isola dei famosi. Pensavo fosse una gara di sopravvivenza: tutto falso, era solo di gossip. Ma l’ho voluto fare per vedere da vicino come funzionano quei meccanismi. E sa cosa mi fa piacere? Quando gli uomini mi fermano per strada e mi dicono: “Fabio, sei un uomo vero, dici cose giuste, non ti sei mai fatto influenzare”. Ecco, questa è la soddisfazione più grande. Non mi sono mai piegato alle stronzate, alle cose leggere o a quelle contro i miei principi. Per me l’attore è un lavoro come un altro. E lo dico sempre: cinquantun per cento l’uomo, quarantanove il lavoro. Non mi lascio alienare dalla professione”.
Progetti?
“Un film sugli alieni e un tour che porto avanti da due anni in cui leggo poesie d’amore di vari autori, da Neruda a Prevert a Merini, accompagnato da musicisti e ballerini. In questo mondo che innalza solo muri di odio, dobbiamo parlare d’amore”.