La Stampa, 21 giugno 2025
Micaela Ramazzotti: “Ho ritrovato la bussola, i figli mi insegnano a tirare fuori la forza”
Un anno fa, proprio in questi giorni, Micaela Ramazzotti era nell’occhio del ciclone. La lite violenta in un ristorante romano con l’ex-marito Paolo Virzì, sotto gli occhi della figlia di lui, Ottavia, e del compagno dell’attrice e regista, Claudio Pallitto, era stata appena servita su un piatto d’argento a social, siti, mass media. Oggi la tempesta è lontana, e Ramazzotti (presidente della giuria del Filming Italy Sardegna Festival, incaricata di giudicare i corti) sfoggia una nuova serenità: «Ho ritrovato la bussola – sorride –, ce l’ho qui, sempre in tasca». Con lei, tra Cagliari e Santa Margherita di Pula, ci sono il figlio Jacopo e l’uomo che ama, il trainer con cui adesso, senza remore, accetta di farsi fotografare, baci compresi, perché, finalmente, non c’è più niente da spiegare: «Come mi sento? In pace». Le fatiche di un trasloco finito da poco, in una casa sull’Aventino, lasciano spazio alle consapevolezze raggiunte: «L’importante è spostare lo sguardo da sé stessi, se ci riesci, hai già fatto un grande passo avanti».
Si dichiara pacificata. Cioè?
«Sono più connessa con il mio cuore, sto meglio, c’è la libertà, c’è l’amore, ci sono tanti elementi che si combinano insieme e che, a un certo punto, producono un risultato di equilibrio. Fra questi c’è anche la forza».
Prima non ce l’aveva?
«No, c’è sempre stata, ma era nascosta, forse ero intimorita, avevo paura di tirarla fuori, mi sentivo insicura. Adesso non è più così, temo di meno il mondo e le persone. E credo che questo derivi anche dalla crescita, dai passaggi che ho attraversato, dai nodi che ho dovuto sciogliere».
Essere famosi comporta un’attenzione, esasperata e forse esasperante, da parte dei media. Come l’ha vissuta?
«Ne ho sentito il peso. Ma ho reagito, mi sono concentrata sulla tutela dei miei figli, che è sempre stata la mia prima preoccupazione. Purtroppo accadono certe cose, per fortuna poi passano, e si volta pagina».
In cosa si sente diversa rispetto all’epoca dei suoi esordi?
«Caspita, questo è il domandone... Sicuramente sono più coraggiosa di allora, soprattutto nella vita. Mentre nel lavoro no, il coraggio ce l’ho sempre avuto, sono stata determinata fin dall’inizio. Prima, però, vivevo molto nell’ansia, a un certo punto ho capito che potevo provare a tenerla a bada e che, cosi facendo, potevo liberarmene. L’ansia si scatena quando non c’è la conoscenza, e così vengono fuori le paranoie, che adesso non ho più».
C’è stato un incontro cruciale nella sua esistenza?
«Quello con i figli. Li ammiro molto, sono un grande esempio, riescono a muoversi in quest’universo così folle, e lo fanno con autentica audacia. Credo molto nelle nuove generazioni, raccomando sempre “non mollate, cercate di capire il prima possibile quale volete che sia la rotta delle vostre vite, che cosa veramente vi piacerà fare in futuro”».
I ragazzi oggi sono immersi nei social. Che cosa ne pensa?
«Penso che hanno sempre in mano strumenti che li fanno regredire, guardano il mondo sullo schermo dei loro cellulari. Quando giravo il mio film Felicità, agli stagisti che erano sul set per imparare, continuavo a ripetere “alzate gli occhi, non guardate solo il telefonino, siate svegli, non vi fidate di quel piccolo schermo. Non amo i social. Penso che mi tolgano pezzi di vita, mi impediscano di respirare, di osservare quello che ho intorno, di comunicare. Fosse per me li farei sparire... E invece i nostri figli vivono tutti sui social, fino a un certo punto si riesce a controllarli, poi non è più possibile, allora è importante far capire loro che devono divertirsi, che gli amici devono averli sul serio, in carne e ossa. Soprattutto durante l’adolescenza le amicizie possono essere la salvezza».
Lei ha avuto amiche vere, importanti?
«Sì, anche se è successo che un’amica, la mia migliore amica di quegli anni, mi abbia distrutto una gamba, ho ancora una grossa cicatrice. Eravamo sul motorino, ci stavamo spostando da Axa a Ostia, io stavo dietro, non c’era ancora il casco obbligatorio, lei prese in pieno una macchina. Con il mio ginocchio. Sono finita in ospedale, non raccontò a nessuno com’era andata davvero, e non mi è mai venuta a trovare. Mi sono chiesta “ma che cavolo di amica sei?”».
Ha appena interpretato nella Guerra di Elena, opera prima di Stefano Casertano, la storia di Elena Di Porto che il 16 ottobre ’43, avvisò gli abitanti del ghetto ebraico di Roma dell’imminente rastrellamento, ma non fu ascoltata. Alla fine scelse di salire anche lei sul treno per Auschwitz, da cui non tornò più. Che pensieri le ha suscitato questa vicenda?
«Ho pensato che stiamo vivendo anche oggi con la tragedia dietro l’angolo, e non ce ne accorgiamo. Andiamo avanti, facciamo progetti, ma la verità è che siamo nelle mani dei potenti a cui basta schiacciare un bottone per decidere le sorti dell’umanità. Attraversiamo un momento terribile, noi adulti siamo vaccinati, la mia preoccupazione più grande riguarda i giovani, il mondo che gli stiamo lasciando in eredità. Mi spaventa che l’AI e tanti altri strumenti finiscano per farli regredire, senza la possibilità di crescere veramente. Sono figlia degli Anni ’90, e li rimpiango».