Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 20 Venerdì calendario

Spiare il papa

Don Mattia Ferrari, il cappellano di bordo della Mare Jonio, la nave della ong Mediterranea, è una persona di spirito: scrupoloso quando lo si interroga su dettagli precisi, ma col gusto della battuta. E così, quando gli si chiede se non crede che nel “ caso Paragon ” ci sia «un grosso convitato di pietra bianco », rilancia: «Non solo un grosso convitato di pietra bianco , ma anche decine di convitati di pietra più piccoli, viola rossi ». 
Quello bianco, così smettiamo di essere criptici, è papa Francesco. Quelli viola e rossi sono i cardinali e i vescovi a lui più vicini. Il motivo per cui ne parliamo è che ci sono ormai solidi elementi per ritenere che in questa torbida faccenda di attivisti, giornalisti e preti intercettati dai servizi segreti italiani, e forse non solo da quelli, ci sia di mezzo anche un bel pezzo delle più alte gerarchie vaticane.
Don Mattia Ferrari ha 31 anni e anche il suo nome , come altri di questa organizzazione umanitaria impegnata nel salvataggio di migranti nel mare che separa l’Italia dall’Africa, è finito nelle indagini relative al caso Paragon. Oltre a lui ci sono Luca Casarini, che della ong è il fondatore, e uno dei suoi principali collaboratori, Beppe Caccia: si sa per certo che i loro dispositivi sono stati intercettati a lungo, e che dal settembre del 2024 lo sono stati tramite Graphite, lo spyware prodotto dall’azienda israeliana Paragon , appunto. Il caso di Don Mattia è invece un po’ più complesso. 
Inizialmente si credeva che fosse stato coinvolto solo indirettamente, ma non è così. Don Mattia infatti sa che anche il suo iPhone è stato oggetto di attacchi informatici promossi con ogni probabilità da un governo. Lo sa perché l’8 febbraio del 2024 ha ricevuto una segnalazione da Meta, sul suo profilo Facebook. «Se ti abbiamo mostrato questo avviso, riteniamo che un hacker sofisticato o appoggiato dal governo possa essere interessato al tuo account», c’è scritto nell’avviso. E l’8 febbraio non è una data casuale: sappiamo infatti che è il primo giorno in cui l’AISE, i servizi segreti per l’estero, attivarono il sistema di Graphite. Da quel giorno iniziarono a usarlo, insomma: e non a caso, sempre quell’8 febbraio del 2024 anche Casarini ricevette un allarme analogo sul suo smartphone.
Ma che c’entrano il papa e i cardinali, in tutto ciò? C’entrano, perché sia Don Mattia sia Casarini avevano una solida consuetudine con papa Francesco, con vari suoi collaboratori in Vaticano e con alcuni dei più importanti dirigenti della Conferenza episcopale italiana. 
Jorge Mario Bergoglio era molto sensibile al tema dei migranti: e non a caso all’inizio del 2024 aveva deciso di finanziare direttamente le attività di ricerca e di salvataggio in mare di Mediterranea. Sia Casarini sia Don Mattia erano stati stati ricevuti dal papa, e Casarini era stato addirittura incluso nella lista degli ospiti speciali per il sinodo: ha insomma partecipato, su invito diretto di Francesco, all’assemblea mondiale dei vescovi chiamati in Vaticano a discutere del futuro della Chiesa. 
«L’assemblea generale del sinodo è iniziata il 2 ottobre 2024, e nel mio smartphone, già intercettato con altri sistemi e a più riprese fin dal 2019, è stato inoculato Graphite il 5 settembre 2024», dice Casarini, facendo notare la coincidenza. «Io in quei giorni ho parlato con decine di vescovi e di cardinali, compreso l’allora cardinale Prevost, oggi Leone XIV. Di certo non sapevo che tutto quello che mi dicevo con loro, i documenti che ci inviavamo via WhatsApp o via mail, potesse essere intercettato». Non l’ha notata solo lui, questa coincidenza, se è vero che durante l’indagine condotta negli scorsi mesi dal COPASIR, il Comitato parlamentare che si occupa delle questioni che riguardano la sicurezza nazionale, almeno uno dei senatori che ne fanno parte aveva chiesto di acquisire la testimonianza del leader di Mediterranea: ma la proposta è stata subito accantonata. 
Ora, sarebbe ingenuo sostenere che l’obiettivo di chi ha infilato lo spyware nei telefoni di Don Mattia e di Casarini fosse intercettare, per loro tramite, papa Francesco o qualche importante cardinale. Ma questa vicenda dimostra una cosa solo apparentemente banale: e cioè che quando si fanno queste operazioni disinvolte (quantomeno), non si carpiscono informazioni sensibili solo sulla persona direttamente intercettata, ma anche su tutte quelle con cui questa parla o viene in contatto. 
C’è quella famosa teoria dei 6 gradi di separazione – avete presente? Ci hanno fatto anche un film , non proprio indimenticabile, ma vabbè, con Will Smith e Donald Sutherland – per cui ogni essere umano, attraverso una catena di non più di cinque intermediari, può essere collegato a qualsiasi altro essere umano sul globo terracqueo ( ops ). Ecco, nel caso di Casarini e Don Mattia i gradi di separazione da papa Francesco erano molti meno di 5. 
I servizi segreti intercettavano – e verosimilmente intercettano ancora – lo staff di Mediterranea per capire se nella loro attività di salvataggio in mare si rendessero in qualche modo complici di scafisti e trafficanti di persone: ma sono finiti quasi certamente col sentire o leggere cose dette o scritte direttamente da Bergoglio e dai suoi più fidati funzionari.
Ma questa faccenda rischia di essere ancor più imbarazzante per l’intelligence italiana e per il governo di Giorgia Meloni. Perché papa Francesco, secondo i racconti concordi di quanti parlavano con lui, nelle sue conversazioni e nelle sue mail non si limitava a considerazioni di massima sul salvataggio dei migranti, ma si addentrava in riflessioni e commenti sulle cose del mondo: parlava della crisi in Libia, dimostrando una conoscenza non banale della situazione sul campo e di alcuni leader locali, ma anche delle decisioni prese dai ministri (attuali e passati) del governo italiano, e poi spesso divagava lasciandosi andare a commenti su Russia e Ucraina o sul Medio Oriente. 
Per lui, insomma, era del tutto normale passare dal chiedere informazioni su quella certa famiglia salvata nel Mediterraneo e la cui storia lo aveva colpito, all’esprimere giudizi su Volodymyr Zelensky o su Benjamin Netanyahu. Cosa ne è, dunque, di tutte queste conversazioni orali e scritte? Sono state archiviate? Distrutte? E delle informazioni che ne sono state ricavate, cosa se ne farà? E si può escludere che i rapporti tra il governo italiano e la Santa Sede non vengano compromessi dalla notizia che i servizi segreti italiani hanno, più o meno consapevolmente, intercettato il papa anche sul suolo della città del Vaticano?