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 2025  giugno 20 Venerdì calendario

Intervista a Marco Ferradini

Non si scappa. A tutti i concerti arriva il momento Teorema, quando il pubblico canta in coro: “E sta sicuro che ti lascerà/chi è troppo amato amore non dà. E sta sicuro che ti lascerà/chi meno ama è più forte si sa”. Vita vissuta (le nonne che dicevano “fatti preda”, avevano capito tutto), quella canzone di Marco Ferradini del 1981 è diventata un classico e lui lo sa. “Per Teorema” spiega il musicista, 75 anni, “provo gratitudine, sono entrato nel cuore delle persone, mi ha dato il successo. Poi c’è lo scotto da pagare, ho fatto dodici album, passati in silenzio rispetto a questa canzone”. La canta ancora nel tour L’uva e il vino, (dal titolo dell’ultimo disco), insieme alla figlia Marta e la proporrà anche il 28 giugno alla terza edizione del Festival Musica Bella, dedicato a Gianni Bella, che si tiene a Montechiarugolo (Parma) di cui è ospite insieme a Maurizio Vandelli. Nato per valorizzare il talento dei giovani artisti, è stato ideato da Chiara Bella, figlia di Gianni (che premierà il vincitore), e da Emanuela Cortesi, vocal coach e vocalist. La conduzione e la direzione artistica sono di Riccardo Benini.
Ferradini, il rapporto con Gianni Bella nasce da lontano.
“Facevo il vocalist e nell’80% dei suoi dischi ci sono anch’io. Gianni faceva parte della Cgd, registravo per lui o per Marcella, sua sorella. È un grande talento, un artista riservato, ti mette a tuo agio e non se l’è mai tirata. Insieme, una decina di anni fa, abbiamo scritto un brano Due splendidi papà, la storia di due uomini che vengono lasciati da una donna da cui hanno un figlio e si interrogano su chi sia il padre. Un po’ Due uomini e una culla”.
Ha cantato sempre l’amore: pensa che oggi le cose siano cambiate?
“Erano canzoni fatte con l’anima, c’era un messaggio positivo, che coinvolgeva. In quelle di oggi non c’è passione, solo un’industria dietro che vuole vendere, è deprimente. Come dice Steve Jobs? Siate affamati. Noi avevamo fame, imparavamo a suonare la chitarra. I ragazzi di adesso non fanno fatica, trovano tutto pronto. Vanno su Internet, prendono la base di un altro, elettronica, e ci cantano sopra”.
Non sarà troppo pessimista?
“Non mi pare. E vogliamo parlare dell’autotune? Una roba vergognosa, come dire ai giocatori di calcio: non correte in campo, facciamo la partita finta con il joystick e via”.
Da ragazzo ha iniziato come antennista, come nasce la passione per la musica?
“Ho fatto l’antennista per sbarcare il lunario. Sono nato povero, i miei genitori erano persone umili ma grandi, innamorate della musica. Adelina, mia mamma, era casalinga. A dodici anni andò a servizio a casa dei signori. Papà, Gaetano, lavorava in un’impresa di pulizie. Da mia madre ho ereditato la voce, cristallina, bellissima; cantava le opere di Puccini, quanto era brava”
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L’hanno assecondata quando ha deciso di fare il cantautore?
“Mi hanno lasciato la libertà di realizzare me stesso, facendo grandi sacrifici. Non ho mai voluto studiare, da piccolo sono stato bullizzato da un maestro che mi trattava male, ho odiato la scuola per colpa sua. Poi ho conosciuto Paola, la sorella di Nora Orlandi, che aveva il coro. E con lei Simon Luca, un artista vero, e Alessandro Colombini, produttore di Dalla e di Venditti”.
Ha accompagnato tutti i grandi da Dalla a Cocciante da Mina a Eros Ramazzotti, Ivan Graziani, Patty Pravo, Gaber, Jannacci. Com’erano i rapporti?
"Non dovrebbe esistere gerarchia, gli americani, a differenza di noi, non se la tirano. In Italia qualcuno se la tira, ma la maggior parte delle star è gentile. Ricordo Ramazzotti, molto carino, e Cocciante. Lo incontrai in aereo e mi invitò a mangiare a casa sua, un vero signore. Come Dalla. Ho un mio motto: ‘Meno sei, più te la tiri’. I grandi sono semplici”.
Ha fatto anche il corista per Goldrake, quante sigle dei cartoni animati ha cantato?
“Tante. Tre turni al giorno: tre ore la mattina, tre il pomeriggio e tre la sera. Cantavamo per tutti, anche i jingle per la pubblicità. Ci chiamò il maestro Vince Tempera: Ufo robot, Mazinga, Tex Willer. ‘Lame rotanti, alabarda spaziale’, era la mia voce. Un bel periodo, ci divertivamo molto”.

Chi le piace tra i giovani artisti?
“Ultimo fa belle canzoni. Pierdavide Carone è bravissimo e si merita il successo”.
Cosa pensa del rap?
“Come fai a innamorarti e a fare innamorare una donna sentendo il rap?”.
Nel 1978 esordisce al Festival di Sanremo con “Quando Teresa verrà”, dedicata alla sua prima moglie. Tre anni dopo scrive “Teorema”, l’amore è finito, lei spiega che è autobiografica e che era stato lasciato. La canzone è un successo: Teresa le ha mai detto qualcosa?
(Ride) “Sì, che ero uno stronzo. In quel brano ho avuto il coraggio di dire cose che tutti pensavano e nessuno metteva sulla carta. Alla fine, la canzone ti dice che in amore devi farti desiderare. E che devi ragionare se esci sconfitto. Oggi gli uomini non gestiscono la rabbia, diventano bestie. Tutto molto triste”.
Anche allora, all’inizio, qualcuno diede una lettura negativa.
“Bisogna ascoltarla fino alla fine, fu un equivoco. Ma le donne avevano capito benissimo il senso, mettevo i dischi a Radio Popolare e le telefonate che arrivavano erano positive. ’È bella, dice la verità’. Perché il testo vale per gli uomini ma anche per voi donne, che magari non filate il bravo ragazzo e scegliete chi vi fa soffrire. Discorso semplice ma vero”.

La scrisse in un weekend con Herbert Pagani. Come andò?
“Era un grande amico, ero in crisi, soffrivo e mi offrì di partire insieme: ‘Ho affittato uno chalet in montagna a Macugnaga, andiamo a farci qualche giorno di relax’. Siamo partiti con la mia vecchia Renault per il Piemonte, ci siamo chiusi in questo chalet ai piedi del Monte Rosa, in mezzo ai boschi. Ci siamo confrontati sui sentimenti, e abbiamo scritto. In quel weekend creammo quattro canzoni, anche Teorema: Schiavo senza catene si può definire concept album”.
Perché ‘Teorema’ piace così tanto?
“La gente si rispecchia, la ascolta e pensa: parla di me. Mi criticavano ‘quello scrive d’amore’, mentre gli altri facevano le rivoluzioni; poi tornavano a casa, sentivano il disco e si mettevano a piangere. Non c’è un libretto nero, né rosso, che ti dice come comportarti in amore”.
A proposito di nero e di rosso, com’era orientato politicamente?
“Ero progressista. Sono sempre stato un hippy ambientalista, animalista, odio le autostrade che distruggono i paesaggi, penso che si possa vivere senza l’ossessione dei soldi. Vivo in Brianza, nel verde, non potrei più stare in città. C’è uno spreco enorme, il mondo è schiavo del consumismo. Tutto sbagliato. Odio il lusso, trovo sia una cosa superflua e rovini le persone. Non si godono più le cose semplici della vita”.
I suoi anni 80?
“Pieni di speranza, nonostante tutto. Era bello camminare per strada, ognuno diverso dall’altro. Non come succede oggi, che si odiano tutti. Essere diversi era una ricchezza, io portavo i capelli lunghi mi sentivo parte del movimento pacifista. Poi la politica è diventata più violenta, i partiti ci hanno marciato. Erano anche anni in cui la droga ha ucciso tanta gente”.
Si definirebbe un romantico?
“Sicuramente. Forse ero ingenuo, un sognatore. Ti rendi conto che quando ti innamori sei fragile. Se dici a una donna ‘ti amo’, scappa via, forse anche le donne vivono grandi contraddizioni, desiderano essere circondate dall’affetto ma poi si rompono le scatole. Hanno finito di lottare. La corda deve essere sempre tesa, la sicurezza non funziona”.

Ogni caso è diverso. La musica è stata terapeutica per lei?
“Sì. Noi uomini dobbiamo sempre dimostrare la forza, mai la fragilità. Con la chitarra riusciamo a esprimerla, e io ho avuto il coraggio di dire: sono questo. In Schiavo senza catene ho spiegato chi ero”.
Poi incontra Caterina, che è diventata la sua seconda moglie e da cui ha avuto Marta: per cosa la ringrazia?
“Mi ha insegnato ad amare, non ero più capace. Il suo amore mi ha disarmato, è una donna forte che c’è sempre, e ha sempre la parola giusta. Nell’ultimo album, Voglio dirti è dedicata a lei”.

Ha rimpianti?
“Avrei voluto fare un concerto con James Taylor o con Jackson Browne. Ho visto i Beatles nel 1964, quello è il mio mondo. I’m easy di Keith Carradine è la canzone che più mi rappresenta. Sono invecchiato ma sono rimasto uguale. Mi amo, sono narcisista e amo la musica. Ho detto qualche no e ho sbagliato. È andata così, mai guardarsi indietro: ‘Acqua passata non macina più’”.
Ha mai pensato di tornare a Sanremo?
“Finché c’è voce c’è speranza. Ma oggi al Festival devi essere uno che fa numeri, avere i follower, è una roba artefatta. Mi considero un artigiano che crea opere – belle, brutte – ma le confeziona amorevolmente. Fare le cose solo per apparire, non fa per me”.