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 2025  giugno 20 Venerdì calendario

«Paternità e bugie, cuore dei miei film»

Nel 1970 Gianni Amelio venne chiamato dalla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro per collaborare alla stesura del volume dedicato al cineasta al quale il festival rendeva omaggio, il giapponese Nagisa Oshima. Oggi, 55 anni dopo, il regista celebrato in questi giorni alla 61esima edizione della Mostra di Pesaro è proprio Amelio, che da La fine del gioco (1970) a Campo di battaglia (2024) ci ha interrogati su molteplici temi, mettendo sempre l’umanità al centro della narrazione e mettendosi in gioco in un cinema tanto rigoroso quanto capace di dialogare con il pubblico al quale viene chiesto però non di accomodarsi in una storia, ma di restare vigili, perché le domande sono sempre più numerose delle risposte. Il film proposti da Amelio a Pesaro sono Colpire al cuore (1982), Ladro di bambini (1992, Grand Prix a Cannes), Lamerica (1994), Così ridevano (1998, Leone d’oro a Venezia), Le chiavi di casa (2004), Il primo uomo (2011), La tenerezza (2017), Il signore delle formiche (2022) e al regista il festival dedica anche un bel volume a cura di Pedro Armocida, direttore di Pesaro, e Anton Giulio Mancino.
Amelio, cosa rapprsenta questo omaggio per lei?
«Questa Mostra di Pesaro è per me un punto di arrivo. È stato il mio primo festival, anche se non vi partecipavo da regista. Oshima mi aveva talmente impressionato che due mesi dopo, quando è venuto a Roma per presentare un suo film, Lino Miccichè ha voluto Bertolucci e me per presentarlo. Allora ho chiamato uno studente giapponese che conoscevo e mi sono fatto preparare un piccolo discorso che ho imparato a memoria, come una canzone. Oshima è rimasto senza parole. Quando poi un mio film era a Venezia e lui in giuria, diciamo che se ne è ricordato».
Ha scelto di mostrare film attraversati da temi che ricorrono in tutto il suo cinema, come la paternità, la menzogna, la guerra. Cominciamo dal primo: il suo cinema è pieno di padri.
«E io stesso lo sono diventato adottando Luan. Ho preso il testimone dal padre naturale, Ethem, di cui ero molto amico, in un momento in cui Luan aveva bisogno di un padre putativo per poter crescere. Fino ai 16 anni suo padre era stato in grado di portarlo avanti, poi non lo sarebbe più stato. Lo stesso Ethem mi ha chiesto di adottare Luan dicendomi “fino a oggi è stato figlio mio, da domani sarà il tuo”. Una richiesta che mi provocato un grande disagio, tanto che ho chiesto ai genitori di Luan di venire ad abitare da me, per non sentirmi gravato di una responsabilità più grande di me».

La riflessione sulla paternità attraversa tutti i suoi film.
«Sì, anche quando non ci sono padri e figli. Credo che il rapporto più intenso sia quello raccontato in Così ridevano, dove però si parla di due fratelli. Me ne sono reso conto solo dopo che la figura del fratello maggiore era una figura paterna. Ho dei fratelli, ma con nessuno di loro ho mai avuto quel tipo di rapporto, mentre abbiamo tutti una grande ansia di proteggere, da padri e non da fratelli. Ma quei padri che metto continuamente in scena sono sempre io perché mi è mancata questa figura. Mio padre è partito per l’Argentina quando avevo meno di due anni, allora non ho avvertito il distacco, ma quando è tornato avevo quindi anni e non è scattato tra di noi qualcosa di importante. Perché il rapporto tra padre e figlio o lo si vive o non lo si può costruire. Io non ci sono mai riuscito e questo è stato molto doloroso. Non ho mai potuto rapportarmi con lui e lui con me, nessuno dei due ha fatto il primo passo. Il giorno che è morto ho sentito una mancanza enorme, ero fuori di testa, agli occhi della gente ero una specie di alieno perché non vivevo quella perdita in maniera naturale. Per me era la fine di ogni possibile speranza di rapporto. Questo non ha mai smesso di ossessionarmi, ho fatto ogni cosa sulla mia pelle, mettendomi in gioco, perché nel mestiere che faccio è necessario, sia per gli altri che per se stessi».
Un’altra delle costanti dei suoi film è la menzogna.
«Si mente per il bisogno di arrivare al vero, per essere liberi di parlare e confessare cose che non si potrebbero dire altrimenti. La menzogna appartiene alla rappresentazione, dove si costruisce qualcosa che ti somiglia, ma è un ritratto di te fatto per gli altri, perché si capisca il tuo discorso leggendolo tra le righe. La forza di ogni film, così come di ogni romanzo, sono le parti non filmate o non scritte. Le assenze, quello che c’è tra una sequenza e l’altra. Perché il mio film preferito continua a essere Così ridevano? Perché ha delle ellissi enormi, dal momento che racconto un giorno all’anno nella vita di due fratelli a Torino. Una struttura narrativa che nasce da una suggestione molto intima e personale, la volontà di non restare pedissequamente legato alla cronaca di un rapporto, ma di scegliere il momento chiave e rivelatore, il momento del conflitto, lasciando fuori campo tutto quello che a quel conflitto ha fatto si che si arrivasse».
In Lamerica troviamo la grande menzogna.
«Una menzogna condivisa che diventa arma offensiva: un intero mondo costruisce nell’immaginario di un popolo qualcosa che non corrisponde al vero. A trent’anni di distanza sono tornato in Albania per girare l’ultima sequenza de L’intrepido, in cui un uomo buono e indifeso torna in un Paese dove invece gli italiani degli anni Novanta erano andati da predatori. Una sorta di atto di riconciliazione tra questi due mondi. Lamerica è infatti un film sull’Italia degli anni Novanta, decisa a rubare anche dalla povertà degli altri. Tornando poi in Albania quasi una volta all’anno vedo che, come prevedevo, è diventata Lamerica che sognavano allora e assomiglia all’Italia. Al contempo sono stordito e sperduto nel giudicare l’America di oggi. Sono nato nell’anno in cui i soldati Usa liberavano l’Italia, ma adesso gli Stati Uniti ci fanno paura. Oggi la guerra è disastrosa nelle sue possibilità, non sono bastate Hiroshima e Nagasaki. Le immagini di Gaza che arrivano quotidianamente sono terribili. Si dice che la Storia avviene prima come tragedia e poi come farsa, io vedo invece la possibilità di un susseguirsi di tragedie. Ma come si interrompe una guerra oggi considerando gli enormi interessi in campo? Come si fa fermare il massacro di persone che vorrebbero solo vivere? E perché mai siamo “obbligati” alla guerra?»