Avvenire, 20 giugno 2025
Aumenta la richiesta di palliative. Cure essenziali per la demenza
Le cure palliative (CP) si rivelano sempre più uno strumento da implementare perché sono in grado di migliorare la qualità della vita residua, lunga o corta che sia, di ogni persona affetta da malattie inguaribili, ma – appunto – mai incurabili. E della sua famiglia, come precisa la legge 38/2010 che regola l’accesso alle CP e alla terapia del dolore. Lo conferma la ricerca condotta da Ipsos e promossa da Vidas – associazione che da 43 anni offre CP a domicilio o in hospice a malati giunti all’ultimo miglio dell’esistenza (dal 2015 anche bambini) – per misurare “il peso della cura” delle persone con demenza, che grava su medici e infermieri ma soprattutto sui caregiver, cioè sui familiari che si prendono cura del proprio congiunto.
«Dal 1982 – ha riferito Antonio Benedetti, direttore generale di Vidas – abbiamo curato circa 45mila persone. Negli ultimi sette anni sono aumentati del 400% i malati non oncologici». «Nel 2024 abbiamo assistito oltre cento persone con demenza – precisa Barbara Rizzi, medico palliativista e direttrice scientifica di Vidas – l’85% delle quali a domicilio». Legato all’invecchiamento della popolazione è infatti in forte crescita il numero di persone affette da malattie neurodegenerative, tra cui la demenza. Una condizione che, è stato rilevato alla presentazione della ricerca Ipsos, causa un forte impatto emotivo ed esistenziale sul paziente e la famiglia.
Da questi dati è emersa la volontà di Vidas di «avere una fotografia chiara della situazione per poter disegnare nuovi modelli assistenziali». E la ricerca (svolta con sondaggi online su 1.400 persone maggiorenni nel febbraio scorso e su 300 tra medici e infermieri) ha mostrato che nei casi di demenza le CP sono state utilizzate solo nel 35% dei casi e al 31% dei caregiver non sono state nemmeno proposte. Eppure per il loro carattere di accompagnamento a 360 gradi del paziente e della famiglia (terapie, diagnosi, assistenza anche di tipo psicologico e spirituale), le CP sono uno strumento quanto mai prezioso. In particolare i caregiver delle persone con demenza hanno espresso il carico fisico ed emotivo che l’assistenza comporta: il 75% denuncia un impatto negativo sulla conciliazione lavoro-famiglia, il 72% sulla propria socialità e il 68% sulla salute mentale. Del resto, ha riferito Chiara Ferrari (Ipsos) l’impegno anche nelle prime fasi della demenza (declino cognitivo lieve o moderato) comporta un’assistenza prolungata (tutto il giorno o tutta la notte o addirittura sulle 24 ore) per il 33% dei caregiver, che diventano il 45% in caso di demenza avanzata. In più questo impegno per il 61% degli intervistati durava da non meno di due anni, ma per il 26% erano più di cinque anni: «Pensate alla sospensione dell’esistenza che questo comporta» ha chiosato Ferrari. Senza dimenticare che i caregiver – che nel 73% dei casi prestano assistenza a casa del paziente – sono in maggioranza donne.
Nella ricerca Ipsos, secondo i caregiver le CP hanno soddisfatto del tutto le aspettative per il 30% e in parte per un altro 59%. I principali bisogni a cui hanno risposto sono il supporto emotivo e psicologico (48%), il supporto nell’accesso ai servizi (37%) e il supporto nella pianificazione dell’assistenza e gestione del tempo (30%). Quanto al personale sanitario, l’86% dei medici e l’85% degli infermieri sa dell’esistenza della legge sulle CP dedicate a persone con demenza, tuttavia la maggior parte di entrambe le professioni (56% dei medici e 68% degli infermieri) ritiene opportuno avviare un percorso di cure palliative per la demenza solo nelle fasi avanzate e terminali della malattia. Il 47% dei medici osserva che c’è scarsa conoscenza delle CP nella popolazione, e il 24% che risulta difficile farne capire scopo e utilità dai familiari dei pazienti.
Secondo Vidas, c’è insufficiente utilizzo della pianificazione condivisa delle cure (Pcc) e delle disposizioni anticipate di trattamento (Dat), cui fanno ricorso solo – rispettivamente – il 21% e il 19% degli assistiti. Mentre le Dat per l’80% dei caregiver migliorerebbe l’assistenza e la qualità della vita delle persone con demenza.
Invece i ritardi culturali dei camici bianchi in relazione alle CP sono stati esaminati da Nicola Montano, primario di Medicina interna e Immunologia al Policlinico di Milano e docente presso l’Università degli studi di Milano: «Nel corso di laurea in Medicina non si parla di morte. Un tema che anche la società tende a cancellare. E siamo portati a eliminare l’incertezza mentre spesso abbiamo più dubbi che certezze». In più si fatica a «considerare la relazione un momento di cura, stretti nei ritmi imposti dal lavoro nel Servizio sanitario nazionale».