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 2025  giugno 20 Venerdì calendario

Aiuto ai rifugiati: in Italia 71% di «sì» È allarme per il taglio ai fondi umanitari

Nonostante certa politica cavalchi in tutto il mondo la paura dello straniero, c’era una maggioranza silenziosa che chiede ai governi più attenzione verso i rifugiati. Soprattutto agli esecutivi dei «Paesi ricchi» che «dovrebbero assumersi maggiore responsabilità» nel loro sostegno, certifica il sondaggio globale Ispos reso noto dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Risultati che raccontano una sensibilità diffusa all’impegno per l’accoglienza e che vengono diffusi alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato in programma oggi. Appuntamento anticipato a Roma dall’incontro promosso dall’Unhcr all’Università Luiss dove esponenti delle istituzioni, rappresentanti ecclesiali, voci del Terzo settore e della società civile si sono confrontati sul “caso Italia” fra difficoltà, urgenze e condivisioni delle sfide.
Un Paese, l’Italia, dove il 71% della popolazione continua ad appoggiare il principio che va offerta ospitalità a chi ne ha bisogno, attesta la rilevazione internazionale. Un dato superiore alla media delle 29 nazioni passate al vaglio nella ricerca dove due terzi dell’opinione pubblica, pari al 67%, chiede scelte nel segno dell’accoglienza. Non solo. Il 67% degli italiani ritiene che i Paesi dell’Occidente siano chiamati a supportare anche finanziariamente i rifugiati, sia quelli che vivono all’interno dei propri confini sia quelli in altre nazioni. È la risposta “solidale” e dal basso alle sperequazioni che dividono il nord e il sud del mondo: infatti su 112 milioni di persone costrette a lasciare le proprie terre per guerre, violenze, violazioni di diritti o povertà, il 73% si trova in Stati a basso o medio reddito, mentre il 67% rimane nei Paesi limitrofi al proprio. «Le persone forzatamente sfollate sono due milioni in più dell’anno scorso e 47 milioni solo in Africa – spiega Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino –. Eppure, mentre le necessità crescono, le risorse a disposizione diminuiscono. I fondi umanitari vengono ridotti in modo drammatico e anche arbitrario, come mai visto prima. Programmi essenziali sono sospesi. Famiglie intere restano senza cibo, senza acqua, senza assistenza. È una frattura economica, ma soprattutto morale; il segno di un mondo che si ripiega su se stesso dove il calcolo politico prevale sulla dignità e dove ci si abitua alla sofferenza degli altri purché resti lontana». E Cardoletti denuncia: «Ogni vita ha lo stesso valore, ovunque una persona sia nata, ovunque sia stata costretta a fuggire».
L’allarme tagli viene lanciato nell’incontro romano a cui partecipa anche il cardinale Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. «Questo terzo millennio ci ha già riservato una lunga serie di crisi umanitarie caratterizzate da ingenti spostamenti forzati – avverte il porporato –. L’immediato futuro non appare meno minaccioso, anche a causa della crisi climatica che comporterà nuovi trasferimenti di massa. Di fronte a questo scenario notiamo con preoccupazione una sensibile diminuzione dell’attenzione e delle risorse messe in campo per attenuare gli effetti disastrosi di tali crisi». Il cardinale Baggio cita papa Francesco per far sapere che «si costruiscono più muri che ponti, e le frontiere sono più luoghi di divisione che spazi di incontro».
L’Italia resta, comunque, una nazione attenta al fenomeno migratorio dove sono 150mila i beneficiari di protezione internazionale, 207mila i richiedenti asili e 163mila gli ucraini che hanno una protezione temporanea. Lo ribadiscono i rappresentanti dei ministeri degli Esteri e del Lavoro presenti alla tavola rotonda che ricordano come l’Italia sia uno dei principali donatori dell’Agenzia Onu e collabori alle emergenze umanitarie. Lo dicono le porte aperte dei Comuni attraverso la rete Sai, il Sistema accoglienza integrazione finanziato dal governo, che nel 2024 ha seguito 55mila stranieri e mobi-litato oltre 2mila amministrazioni locali, fra cui mille piccoli Comuni che vedono nei migranti una risorsa di fronte allo spopolamento e alla crisi demografica. E lo confermano le 227 aziende della Penisola premiate dall’Unhcr con il logo “Welcome” (“Benvenuto”) che hanno attivato 16mila percorsi professionali per i rifugiati. Esempi di integrazione attraverso il lavoro. È il caso di Leroy Merlin, brand del fai-da-te, che dal 2016 ha promosso 120 iter di inserimento coinvolgendo gran parte dei suoi 52 punti vendita su tutto il territorio nazionale. «Abbiamo accolto nei nostri negozi persone di grande valore, provenienti da situazioni complesse», dice Barbara Casartelli, responsabile “Impatto positivo”. Come Alpha Diallo, oggi venditore in uno dei reparti giardino. Nato in Guinea, ferito negli scontri interni della sua regione, è fuggito prima in Mali e, dopo un viaggio carico di incertezze e ostacoli, è approdato nella Penisola. Nel centro di accoglienza di Roma Est, ha imparato l’italiano. Poi il “miracolo” dell’assunzione. «La sfida è molto grande. Soprattutto vivere fuori dal tuo paese, dove non trovi nessuno che conosci», confida. Parallelamente sono stati aperti i primi corridoi lavorativi per rifugiati con il supporto dei ministeri degli Esteri, dell’Interno e del Lavoro. Una delle testimonial è Mawuwa Mudidi, giovane donna fuggita dalla Repubblica Democratica del Congo. «Adesso lavoro qui in Italia come ingegnere informatico – afferma orgogliosa –. Il lavoro sta alla base dell’integrazione e permette di restituire la dignità e di ricostruire vite che sembravano senza speranza».