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 2025  giugno 14 Sabato calendario

Intervista a Mimmo Paladino

Mimmo Paladino è stato nominato cittadino onorario di Poggibonsi. La cerimonia si è svolta all’interno delle due giornate dedicate all’Arte contemporanea, promosse dall’Associazione Artecontinua. Alcune opere del maestro, nato a Paduli in provincia di Benevento 76 anni fa, fanno bella mostra di sé in questo luogo, che ha deciso di omaggiarlo in virtù dell’amicizia che lega l’artista al paese toscano.Qual è il suo sentimento, oggi?Credo che l’Arte non abbia il senso del tempo, non debba averlo, è tutto contemporaneo, alla fine. Anche la presenza delle mie opere alla Fonte delle Fate, qui in Paese, si è anche arricchita della capacità della Natura di creare patine, materiali, superfici, che non possono essere prevedibili. Quindi, tutto ciò fa sì che c’è un tempo lungo per la Storia Contemporanea ma brevissimo per la storia di tutti. Soprattutto, di questa città, che – direttamente o indirettamente – ha sempre prodotto avventure, io le chiamerei, più che la routine della mostra o di una installazione. Qui, c’è proprio una fucina, grazie agli amici dell’Associazione Artecontinua, a Mario Cristiani, che rende importante questo luogo per gli artisti, non soltanto italiani ma anche internazionali importantissimi. Significa che qualcosa in Italia, benché noi ci lamentiamo, succede – grazie a pochi – e succede nel modo migliore.La cosiddetta “Fonte delle fate” è una sua installazione che lei ha creato alcuni decenni fa e che ancora arricchisce Poggibonsi. Che significa per lei?Questa installazione, nel corso degli anni, si è arricchita, al di là delle mie intenzioni o di una mia probabile intuizione. L’opera è immersa nell’acqua, tra queste bellissime piante acquatiche e lì qualcosa è avvenuto, in questi anni, rendendo l’opera più bella, più di quando l’opera è stata creata, proprio per il trascorrere del tempo, per la patina del tempo. Ci voleva un’idea, legata a quel mondo fiabesco, perché io ritengo quel luogo un luogo fiabesco, appunto, esattamente come le fiabe dei bambini; credo che un bambino possa sognare, leggendo una favola.Cosa l’aveva ispirata, maestro?Mi aveva ispirato il luogo. Quando Mario Cristiani mi mostrò il luogo io dissi “è perfetto”. Il luogo, lo spazio, per un’opera importante. Anche una parete bianca, sulla quale devi appendere un quadro, è spazio. Lì, dove è la mia opera, c’è tantissimo spazio e tantissima suggestione.Cos’è che la colpisce di più, quando deve tirare fuori qualcosa dalla sua anima, creando un’opera?Non lo so ed è per questo che continuo a farlo. Se lo sapessi, avrei smesso da anni, come tutta l’Arte del mondo. Avrebbero già smesso, gli artisti, di fare Arte, se non ci fosse “cosa succede domani?”. Qualcosa da mettere su una tela, uno spazio, una scultura. Per me è la curiosità innata ma credo che sia innata nell’Arte, quella di andare oltre, almeno sconvolgere le regole che fino a ieri sembravano consolidate. L’Arte deve sconvolgere le regole ma non deve tradire le regole precedenti; è un continuum; però bisogna romperle e bisogna sempre cercare di annaspare verso un territorio sconosciuto: credo che il mio percorso sia soprattutto questo, insomma. Anche le mie curiosità per il cinema o materiali che non avevo mai usato e sono stato spinto a usarli perché c’era la curiosità di vedere che succede. È un gioco, un gioco molto serio ma, alla fine, è un gioco.Qual è il medium che sente più affine?Potrei dire il disegno, quando sono con in mano una matita, ebbene, da quella posso fare delle cose che – forse – non farei con un’altra cosa. Non è la tecnica che suggerisce l’opera, né viceversa, è l’incontro o anche il desiderio che in quel momento appare. Un giorno, dopo un’era concettuale dove tutto era azzerato, dissi a me stesso “ora esco e vado a comprarmi una tela e i colori a olio” – io lavoravo con la fotografia – al primo negozietto di colori, una tela 50x70 e mi comprai i pennelli e i tubetti di colori, che non avevo più e neanche, probabilmente avevo mai avuto, perché il passaggio dall’età scolastica alle prime cose era sempre molto sperimentale; e faccio una tela che, però, è tutta nel titolo: Silenzioso mi ritiro a dipingere un quadro, del 1976, 1977. Alla fine, capisco che l’opera era il titolo. Era ritirarsi in uno spazio per tornare non a un ritorno ideologico ma era tornare a una libertà espressiva e, le dirò, a quel tempo – a livello culturale – era quasi vietato toccare un pennello o una matita. Io ne faccio un fatto davvero storico, legato a quel momento, che – probabilmente – ha provocato quest’opera. Il che significa che bisogna rompere le regole precedenti, pur rimanendo operazioni importanti.Siamo, qui a Poggibonsi, in una sala dedicata alla didattica dell’Arte. Che ne pensa?Io ho insegnato ma non mi piace insegnare e, comunque, a prescindere da tutto non mi piace essere chiamato maestro.Ebbene, lo si fa per una forma di rispetto…Questo lo so e la ringrazio ma “non ho fatto le magistrali”, come diceva Achille Bonito Oliva. Non ci si sente mai il peso di una carriera alle spalle, questa è la verità. Sarà una civetteria ma è così.A proposito di didattica e di Arte, lei ci crede all’Arte per tutti?Per tutti ma per pochi. Ci sono quelli che guardano altrove e non possiamo trascinarli, anche se li vogliamo suggestionare. L’Arte è e deve essere per tutti, è sempre nata per quello. Si apriva una chiesa e una pala d’altare, perché doveva entrare la gente. Anzi, se le persone avessero applaudito magari sarebbe piaciuto. Quindi, c’è un fatto antico, soprattutto per noi italiani, che l’Arte dovesse essere fatta per una comunità. In quel caso era religiosa, soprattutto, e poi diventa per piccoli gruppi esclusivi e ciò accade quando l’Arte diventa molto ideologica. Io credo che l’Arte non debba avere una ideologia così definita ma debba essere aperta, “opera aperta”, lo diceva Umberto Eco, ognuno si legge quello che vuole, alla fine. Tornando alla parola “maestro”, per gli avanguardisti di quegli anni era quasi una parola offensiva e vietata. “Maestro a chi?”, dicevano quelli delle avanguardie storiche.Viviamo tempi difficili e, dunque, gli artisti – che siano maestri con una carriera importante alle spalle o meno – possono aiutarci a vedere meglio e a fare chiarezza?Non credo, anzi. Noi lavoriamo per la Bellezza, la sensibilità e loro lavorano per la bruttezza e il dramma. Anche dal dramma si può ottenere un’opera, Picasso lo dimostrò con Guernica. Come diceva Eduardo in Napoli milionaria “A da passà a nuttata”, potremmo chiudere così “deve passare la nottata”.