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 2025  giugno 19 Giovedì calendario

Verdone “Io, mio padre e i Beatles a quel concerto vidi il nuovo mondo”

A sessant’anni dall’estate che cambiò il mondo, Carlo Verdone ricorda lo storico concerto dei Beatles a Roma.
Verdone, c’eravate anche lei e suo padre Mario.
«Premessa. A metà giugno scopro di essere stato bocciato al liceo Virgilio, per cattiva condotta. Ho tirato un libro alla professoressa di matematica. Lei mi ha sequestrato quello che stavo guardando durante la sua lezione, un’antologia di letteratura: è costoso e voluminoso, i miei hanno faticato per comprarmelo. Così, quando lei me lo prende, ho una reazione strana. Io, che sono una persona pacifica, prendo un altro tomo e glielo lancio. Lei chiama il preside, che mi dice: “Sarai bocciato”.
Convoca i miei genitori, mi danno sette giorni di sospensione. Le scuse non bastano: in matematica vado male, la odio. Mi bocciano. Un dramma, una vergogna per mio padre. In casa cala un clima funereo: mamma e papà non mi parlano, io sono triste, dispiaciuto.
Ma una settimana dopo, papà apre la porta della mia stanza e mi dice: “Non te lo meriti, ma c’è un evento molto importante dal punto di vista sociale e culturale”. Penso alla solita mostra al museo d’arte moderna, le cose da papà. E invece, con aria severa: “Ci sono i Beatles a Roma”.
Mi si illuminano gli occhi. “È un fenomeno importante – dice – che segnerà questo decennio… è il caso che andiamo a vederli insieme”. Lo abbraccio: “Sei un grande padre”. E lui: “Tu sei un somaro”. Racconto a tutti: “Ho i biglietti dei Beatles, li ha presi mio padre”. E gli amici: “Ma che fortuna, non riesce a trovarne uno anche per me?”. “No, perché sono finiti tutti”».
Arriva il giorno del concerto, al Cinema Teatro Adriano, in piazza Cavour.
«È il secondo giorno, spettacolo serale. Andiamo a piedi, sul lungotevere, da Ponte Sisto fino a piazza Cavour. A passo svelto. Io guardo l’orologio: “Speriamo d’arrivare in tempo, siamo un po’ in ritardo”. Papà è preoccupato, teme ci siano disordini. Troviamo la piazza piena, camionette dei carabinieri, polizia, idranti, perfino un cappellano vicino a un’ambulanza militare. Papà teme il peggio, lo rassicuro: “È solo gente che grida, è un grande momento”».
Riuscite a entrare.
«Sì. Ma proprio a spintoni, in mezzo a una folla assurda. Mentre cerca il nostro palco, papà viene urtato, cade, perde gli occhiali. Nella calca glieli pestano: si rompe la lente dell’occhio con cui vede peggio, quello con astigmatismo e miopia.
“Oddio, adesso non vedo”. Cerco di accomodare la montatura sottile, ma una lente è frantumata. Vede solo da un occhio».
Arrivate finalmente alle vostre poltrone sul palchetto.
«Arriviamo a questo palco affollato. Papà dietro di me, io mi siedo.
Qualcuno ha trovato una foto, unpo’ sfocata, di quel momento: io sereno che guardo il concerto, il mento appoggiato sulle mani: non ero uno di quelli che faceva il pazzo o ballava. Entrano i gruppi di apertura – tra i quali ricordo Peppino di Capri – alcuni vengono fischiati perché la folla aspetta soloi Beatles. Poi, durante la pausa, portano la batteria di Ringo Starr.
Sulla cassa c’è scritto “The Beatles” e lì parte un urlo assordante. Non ci ho sentito per una settimana. Ma non per l’amplificazione dei Beatles: per le urla del pubblico. E quando entrano, porca miseria… il cuore batte a mille. Ce li ho proprio lì, sotto di me. Attaccano subito con
Twist and Shout, però iniziandola un po’ in anticipo, sui cori… “oooh, oooh…oooh”».
Tra il pubblico c’è anche Anna Magnani?
«Arriva in ritardo, col figlio Luca.
Me la indica papà. La vedo mentre cerca il posto, laterale, nel caos. Mi colpisce il suo sguardo durante il concerto: non guarda lo show ma, con aria schifata, osserva quel mondo di ragazzine che urlano come ossesse. Un mondo che non capisce. Il concerto è meraviglioso, anche se si sente poco per via delle urla, però… stai vedendo i Beatles. È un crescendo di emozioni, anche se sappiamo che durerà solo 40 minuti. E che i quattro guadagnano 40 milioni di lire: uno al minuto.
All’epoca ci sembrava una cifra enorme. Attaccano una canzone che non conosciamo. D’un tratto, un tizio dalla platea monta sul palco, tenta di rubare il berretto a John Lennon. Lui si spaventa, butta a terra la chitarra e scappa. Gli altri tre lo seguono. La canzone resta a metà. Il tizio accanto a me urla: “Mort… era un brano nuovo!”.
L’invasore viene bloccato sul palco dal servizio d’ordine, altri salgono per menarlo, perché ha rovinato la canzone nuova. Succede un parapiglia. Una cosa terribile.
Dietro di me qualcuno dice: “In questo Paese c’è sempre uno str… che rovina tutto. Siamo al terzo mondo”. Tornando a casa sono felice. Papà: “Scusa per i disastri”.
Io: “Mi dispiace per te che lo hai visto con un occhio solo. Ti giuro che sarò promosso”. Mantengo la parola».
La fotografia di un mondo che oggi sembra lontanissimo.
«Sì, mio padre mi aveva introdotto – dal suo punto di vista culturale – a un’epoca nuova, colorata, allegra… Gli anni ‘60 sono stati i più felici della nostra vita. Secondo me neanche i Beatles si rendevano conto di quanto stavano cambiando il mondo. C’era un bel clima tra i giovani, fiori e belle canzoni. Fu l’inizio di un momento storico, importante, leggero, bello».