la Repubblica, 19 giugno 2025
L’Italia. Meloni vede i vertici di intelligence e forze armate. Timori per le truppe in Iraq
Non è arrivata alcuna richiesta» dagli Usa per l’utilizzo delle basi militari in Italia in vista di un possibile attacco statunitense in Iran. E nel caso arrivasse, servirebbe comunque «un’autorizzazione» da Roma. Così fonti governative di primo piano riassumono la posizione dell’esecutivo sulle mosse, per ora solo ventilate, di Donald Trump in Medio Oriente. È un mix di attendismo ed equilibrismo, che tiene conto del fatto che in Iraq e Libano sono schierati anche militari italiani e che il regime degli ayatollah ha già minacciato di colpire le postazioni di altri paesi europei nel caso in cui fossero coinvolti nel conflitto con Israele. Naturalmente a taccuini chiusi, in pochi, nel governo, escludono che Roma possa sul serio sfilarsi, se arrivasse una precisa istanza da parte del governo degli Stati Uniti. Le basi che potrebbero essere utilizzate sono quelle di Aviano, Vicenza, Napoli e Sigonella. Ma la premier Giorgia Meloni in questa fase preferisce evitare di esporsi. Dribbla la questione. L’ha fatto capire all’alba italiana di ieri, dal G7 del Canada, prima di montare in aereo per rientrare a Roma: «L’utilizzo delle basi italiane? Non è una decisione che si prende così, valuteremo se e quando sarà il caso». Prudenza e tatticismi, figli della convinzione che «lo scenario possa cambiare», a proposito diregime change a Teheran, e che possa esserci uno spiraglio (anche se pare complicatissimo) per rammendare una trattativa diplomatica. Certo non facendo affidamento su Putin, come avevasuggerito Trump: «Non è un’opzione sul campo», ha tagliato corto la presidente del consiglio.
L’Italia spera che possa recuperare quota la trattativa tra Usa e Iran affidata all’Oman. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, anche ieri ha avuto contatti con gli omologhi della regione, invitando a Roma i ministri di Muscat, ma anche di Qatar e Turchia. Affidarsi agli omaniti, dunque, per evitare che la guerra faccia un salto di qualità che destabilizzerebbe ulteriormente la regione, magari col blocco dello stretto di Hormuz, da cui passa quasi un terzo del petrolio mondiale. Roma ha avuto un ruolo, nei precedenti round negoziali Washington- Teheran. E pur manifestando sostegno al «diritto di Israele» d’intervenire contro la minaccia atomica iraniana, si vogliono evitare prese di posizione muscolari. «L’intervento Usa in Iran? Chiamate Washington e chiedete… – scantonava Tajani ieri – qui si possono commentare solo le decisioni, non le indiscrezioni. Tocca agli Stati Uniti decidere cosa fare, noi siamo l’Italia». Quanto alle basi militari gestite dagli Usa, a Roma si è convinti – o comunque si spera – che vengano utilizzate in prima battuta quelle più prossime al teatro di guerra, come in Arabia saudita, Egitto, Bahrain. Ma è anche vero che il governo spagnolo ieri ha confermato l’arrivo di bombardieri e aerei cisterna Usa alle basi di Moron de la Frontera e Rota, in Andalusia.
In questa fase d’incertezza, l’esecutivo prova a raccordarsi con le altre potenze del continente. Meloni, tornata a Roma, continua a ricevere i briefing militari e d’intelligence. Ieri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha incontrato a Le Bourget gli omologhi di Gran Bretagna e Francia, affiancato dal capo di stato maggiore, Luciano Portolano. Per il ministro, «c’è la volontà di compiere ogni sforzo per evitare un’escalation dei drammatici conflitti in corso».