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 2025  giugno 19 Giovedì calendario

Caccia, licenze a 16 anni e addio alle aree protette

Immaginate di passeggiare su una spiaggia al tramonto. La luce dorata, il suono delle onde, forse qualche gabbiano in volo. Poi, all’improvviso, spunta da dietro una duna un ragazzo armato di fucile. No, non è una scena dell’ultimo film di 007: è ciò che potrebbe accadere se diventasse legge la riforma della normativa nazionale sulla caccia, annunciata dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.
Per ora è solo una relazione tecnica, siamo ancora all’inizio dell’iter. E tuttavia l’ondata di proteste – ambientalisti, scienziati, cittadini, persino figure interne al ministero dell’Ambiente – lascia intuire che il percorso sarà accidentato. E che il prezzo politico potrebbe rivelarsi più alto del previsto.
Nonostante questo, il ministro ha dichiarato pubblicamente, durante un incontro con Federcaccia, di voler chiudere la partita entro agosto, giusto in tempo per la prossima stagione venatoria.
L’obiettivo è modificare la legge numero 157 del 1992, nata da un lungo negoziato, considerata una mediazione politica ragionevole tra tutte le parti interessate e costruita in risposta alla chiara volontà popolare (oltre 18 milioni di italiani), che si era espressa per l’abolizione della caccia. Non è un dettaglio.
Il nuovo testo, secondo numerosi esperti, sembra pensato su misura per un preciso segmento elettorale: quello dei cacciatori. Un gruppo storicamente vicino alla destra, ben rappresentato, sebbene in forte calo. Nel 1980 i cacciatori erano circa 1.700.000, oggi, meno di 500 mila. Numeri che dovrebbero suggerire prudenza, o almeno qualche domanda.
Tra i punti più contestati della riforma c’è l’estensione della stagione venatoria fino alla fine di febbraio. Si tratta di una modifica tutt’altro che marginale: febbraio è infatti il periodo in cui molte specie migratorie iniziano la fase di riproduzione: la proroga metterebbe a rischio l’intero ciclo riproduttivo di numerose specie di uccelli selvatici, che rischierebbero di essere abbattute proprio in uno dei momenti più delicati del loro ciclo vitale.
Ma l’estensione del calendario venatorio non è l’unico problema. Il disegno di legge apre alla possibilità di cacciare in aree oggi protette, come le zone demaniali: spiagge, zone umide, praterie. In sostanza, i cacciatori potrebbero trovarsi fianco a fianco con chi fa birdwatching, escursionismo o semplici passeggiate in mezzo alla natura. A rischio quindi non ci sono solo gli animali ma anche l’incolumità pubblica, sacrificata sull’altare della deregulation venatoria.
Un altro punto critico riguarda il ritorno degli impianti di cattura con richiami vivi: uccelli usati come esca, tenuti in condizioni di prigionia permanente per attirare i loro simili. Una pratica crudele secondo la comunità scientifica, già messa in discussione da numerose sentenze. Alessandro Polinori, presidente della Lipu, parla di «una violazione delle Direttive europee» e sottolinea che il testo della riforma «condannerebbe all’ergastolo milioni di animali oggi liberi».
Non è tutto. Il disegno di legge prevede anche l’autorizzazione di nuovi appostamenti fissi, ossia strutture dove i cacciatori possono posizionarsi, che diventano veri e propri punti di contaminazione ambientale, perché lì si accumulano enormi quantità di piombo, con effetti tossici sugli ecosistemi.
E poi c’è l’ipotesi di consentire la caccia anche dopo il tramonto. In un contesto di visibilità ridotta, il rischio di colpire specie protette – o persone – cresce in modo evidente. Come se non bastasse, la riforma abbasserebbe l’età minima per ottenere la licenza a 16 anni (con il consenso dei genitori) e aprirebbe alla concessione del permesso anche a cittadini stranieri, senza garanzie sulla conoscenza delle norme italiane. Una forma di «turismo venatorio» che rischia di trasformare i nostri boschi in poligoni di tiro low cost.
«Questo ddl è inaccettabile, renderebbe legale il bracconaggio e se approvato cancellerebbe gli ultimi 60 anni di politiche a tutela e conservazione degli animali selvatici, calpestando l’articolo 9 della Costituzione», sostiene Legambiente che chiede alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, «di impedire questo scempio legislativo impegnandosi invece, assieme al governo, a completare quella riforma di civiltà avviata nel 2015».
Un progetto dunque spinto da anacronistiche ideologie di ritorno, che ignora dati scientifici e buonsenso e che tra l’altro è «in pieno contrasto con il sentimento degli italiani, come testimoniato dal sondaggio Swg, secondo cui oltre 9 persone su 10 chiedono alle istituzioni di dare priorità alla tutela della natura», spiega Polinori.
E infine la parte più controversa è forse quella più ideologica. La proposta prevede che la caccia venga ridefinita come «attività utile alla tutela della biodiversità». Non più una pratica ricreativa, ma uno strumento di gestione ambientale. Un’inversione culturale che accoglie in pieno la narrazione delle associazioni venatorie, ma ignora decenni di studi scientifici. Se approvata, questa legge scontenterebbe – quasi – tutti. Ma forse, come capita spesso, non è pensata per soddisfare molti. Basta che accontenti i pochi giusti. Politicamente parlando, s’intende.