ilgiornale.it, 19 giugno 2025
Quando mettersi a dieta è un lavoro: qui ti pagano per perdere peso
A dieta per professione. Sembra incredibile ma è tutto vero: in Cina, perdere peso può significare guadagnare soldi veri! Alcune aziende, infatti, hanno iniziato a premiare i dipendenti in sovrappeso con bonus in busta paga se riescono a dimagrire.
Non è uno scherzo ma una vera e propria iniziativa lanciata da alcune aziende del paese asiatico. La bilancia, da strumento per controllare la salute, è diventata anche un indicatore di performance lavorativa. Una strategia insolita e curiosa che però si inserisce in un contesto molto più ampio: la Cina sta affrontando una vera e propria emergenza obesità e, come spesso accade nella repubblica di Mao Zedong, la risposta è sistemica, diretta e, in certi casi, sorprendente.
Per decenni, la popolazione cinese è stata associata all’idea di corpi longilinei, dieta leggera ( a volte fin troppo!) e vita attiva. Ma le cose sono cambiate radicalmente. Con l’arrivo del benessere economico, dell’urbanizzazione e delle abitudini alimentari occidentali ( un tempo considerate cosi decadenti e capitaliste), anche in Cina si mangia di più, si mangia peggio e ci si muove molto di meno.
I numeri parlano chiaro: nel 2020, il 34,3% degli adulti cinesi era in sovrappeso, mentre il 16,4% era obeso. In pratica, più della metà della popolazione adulta ha un peso superiore alla norma. E la tendenza è in crescita: entro il 2030, si stima che oltre il 70% degli adulti e quasi un terzo dei bambini potrebbe essere obeso. Le conseguenze sono pesanti anche sul piano economico: si prevedono costi sanitari in aumento per oltre 418 miliardi di yuan all’anno (circa 50 miliardi di euro), pari a più di un quinto della spesa sanitaria nazionale odierna.
Insomma, la questione non è solo individuale: è diventata una questione di Stato. Ed è proprio in questo contesto che emergono le iniziative più curiose.
Come quella lanciata da un’azienda di Chengdu, nella provincia del Sichuan, che ha deciso di incentivare la salute con… soldi.
Il meccanismo è semplice: i dipendenti con un Indice di Massa Corporea elevato possono firmare un accordo con l’azienda, stabilire un obiettivo di dimagrimento personalizzato, e, se lo raggiungono, ricevono un bonus economico. Alcuni premi raggiungono diverse migliaia di yuan. Finora, l’azienda ha distribuito circa 200.000 yuan (l’equivalente di 24.000 euro). Ma c’è un dettaglio che cambia tutto: se il peso viene ripreso entro un certo periodo, il bonus deve essere restituito. Non basta perdere peso, bisogna anche mantenerlo. E per sostenere i dipendenti, la società ha creato programmi di fitness interni, aperti a tutti, con ulteriori premi legati ai risultati fisici. Molte altre aziende hanno seguito l’esempio proponendo incentivi analoghi.
È un approccio che mescola attenzione alla salute, cultura aziendale del benessere e una buona dose di pressione sociale. E qui entra in gioco un’altra dimensione sorprendente: quella del controllo. Perché in Cina, la lotta all’obesità non è solo questione di volontà individuale o responsabilità aziendale. Si tratta dell’applicazione di veri e propri piani di ingegneria sociale atti a plasmare l’intera popolazione. Il governo è sceso in campo con forza:
ha introdotto un’ora obbligatoria di attività fisica al giorno nelle scuole, ha aperto cliniche pubbliche per la gestione del peso, offre corsi universitari sul controllo del peso e, soprattutto, sta puntando moltissimo sulla tecnologia.
L’intelligenza artificiale e i big data vengono utilizzati per monitorare alimentazione, attività fisica e peso corporeo, permettendo un controllo sempre più capillare ( e invasivo) sulla popolazione. Non è un caso che la Cina adotti criteri più rigidi rispetto all’Organizzazione Mondiale della Sanità: per l’OMS, si è in sovrappeso con un BMI di 25 e obesi con 30; in Cina, le soglie scendono a 24 e 28.
Il messaggio è chiaro: il governo prende molto sul serio la questione, anche a costo di spingersi verso forme di controllo del corpo che fanno discutere.
Questo sistema ricorda, in parte, la logica del credito sociale cinese: premiare comportamenti “virtuosi” (in questo caso, mantenere il peso forma) e penalizzare quelli considerati dannosi, anche attraverso strumenti tecnologici sofisticati.
Alla fine, tutto questo solleva interrogativi importanti. È giusto legare il benessere fisico a premi economici? Fin dove può spingersi un’azienda – o uno Stato – nel controllare la salute dei cittadini? In Cina, dove l’obesità è ormai una questione di interesse nazionale, questi programmi rappresentano una risposta concreta e ambiziosa, ma anche un esperimento collettivo su larga scala.
Ed è difficile non chiedersi: sarà un modello esportabile? Di certo non in quell’Occidente tanto criticato ma dove le libertà individuali, anche alimentari, sono sacrosante.
Stiamo assistendo a un nuovo modo di governare i corpi oltre le menti e le coscienze, rievocando le più distopiche ucronie? Una cosa è certa: nella Cina comunista la dieta non è più solo una questione di salute. È diventata anche – e forse soprattutto – una questione di sistema e ideologia.