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 2025  giugno 19 Giovedì calendario

Materie prime, l’Europa riapre le miniere: la mappa e i progetti selezionati (che coinvolgono anche Ucraina e Groenlandia)

La nuova corsa globale all’oro è lanciata, e l’Europa scopre le proprie carte con un occhio alla reindustrializzazione del continente. L’obiettivo è duplice: da una parte rilanciare la filiera dei minerali critici per diventare più autosufficienti su estrazione (quindi con l’apertura di nuove miniere), trasformazione, riciclo e sostituzione, e dall’altra affidarsi a una pluralità di (affidabili) fornitori esteri in modo da non dipendere troppo da un singolo Paese.
La Commissione ha selezionato 60 progetti strategici che – affermano a Bruxelles – «contribuiranno alla competitività delle imprese Ue» e agli obiettivi di decarbonizzazione e di crescita digitale. Ciò vale, in particolare, per la mobilità elettrica, con le componenti indispensabili per le batterie delle e-car, per le energie rinnovabili (basti pensare ai magneti ad alte prestazioni delle turbine eoliche) e, con i piani di riarmo in grande spolvero, per la difesa e l’industria aerospaziale, visto che i minerali critici servono per fabbricare – tra le altre cose – missili, proiettili, sensori, sonar, radar, aeromobili e sistemi di comunicazione e di puntamento. 
Quarantasette progetti si trovano nel territorio Ue (quattro in Italia), 13 al di fuori (tra cui Ucraina e Groenlandia) a dimostrazione del fatto che la competizione geo-strategica con gli Stati Uniti è decisamente aperta. Ma in assenza di nuovi soldi pubblici, in attesa del prossimo budget pluriennale, Bruxelles mette sul tavolo regole più semplici. La definizione delle due liste, che contengono realtà che si sono candidate e hanno superato l’esame dei tecnici Ue, rappresenta uno dei primi risultati concreti dell’attuazione del regolamento sulle materie prime critiche, il “Critical Raw Materials Act” in vigore da poco più di un anno. Con quel provvedimento, che individua i 34 elementi della tavola periodica di interesse prioritario, l’Unione ha anzitutto guardato al suo interno e s’è prefissata per legge alcuni obiettivi precisi da raggiungere entro il 2030: il 10% del fabbisogno Ue di materie prime chiave va estratto in Europa, il 25% riciclato e il 40% lavorato nel continente. Quanto alle forniture straniere, invece, il regolamento stabilisce che l’Unione non deve dipendere da un solo Paese extra-Ue per oltre il 65% della sua domanda: questo livello oggi è abbondantemente superato se pensiamo che, a causa della loro concentrazione geografica, le terre rare pesanti arrivano per quasi il 100% dalla Cina o il boro per il 98% dalla Turchia. 
«Il litio cinese non può diventare il gas russo di domani», ha avvertito il vicepresidente esecutivo della Commissione con delega alla Strategia industriale, il francese Stéphane Séjourné, facendo riferimento alla forte dipendenza che l’Europa aveva dal gas russo, trasformata dal Cremlino in uno strumento di ricatto con l’inizio della guerra in Ucraina. 
Di fronte ai profondi stravolgimenti geopolitici in corso e con una guerra commerciale all’orizzonte, inoltre, ha ammesso Séjourné, «c’è un senso di urgenza che non c’era tre o quattro mesi fa» per fare presto e rendere l’Ue più autonoma sui minerali. Al contrario, «vogliamo aumentare la nostra produzione, diversificare le forniture e fare scorte». Ma cosa cambierà, in concreto, per i progetti “laureati”? Per quelli che si trovano nel territorio Ue, ci sarà la possibilità di ottenere un più facile accesso ai fondi e permessi semplificati. Se oggi ci vogliono di solito tra i 5 e i 10 anni, per gli impianti selezionati Bruxelles punta a un massimo di 27 mesi per ottenere le concessioni necessarie all’apertura di nuove miniere e di 15 mesi per tutte le altre attività.
Ma il grosso dello sforzo, finanziariamente parlando, dovranno farlo i governi degli Stati membri e le istituzioni finanziarie: dei 22,5 miliardi di euro di capitale totale stimato necessario per avviare le operazioni, solo due sono risorse Ue. Discorso analogo per le iniziative al di fuori dell’Unione: qui l’investimento necessario complessivo per l’avvio è stimato in 5,5 miliardi di euro, ma la Commissione promette agevolazioni per l’accesso ai finanziamenti e nella creazione di contatti con i potenziali acquirenti, oltre a partenariati strategici con i Paesi che ospitano questi siti. 
Cominciamo dalla prima lista, che – spiegano dall’esecutivo Ue – garantirà il raggiungimento degli obiettivi 2030 per litio e cobalto, e progressi sostanziali in quella direzione per grafite, nichel e manganese; tutti elementi essenziali per le batterie “made in Eu”. I 47 progetti sono spalmati su 13 Stati, tra cui l’Italia (oltre a Francia, Germania, Belgio, Spagna, Portogallo, Estonia, Repubblica Ceca, Grecia, Svezia, Finlandia, Polonia e Romania). Delle 10 iniziative in materia di riciclo che hanno incassato il bollino di Bruxelles, quasi la metà degli impianti sono nel nostro Paese, distribuiti tra Lazio, Veneto, Toscana e Sardegna, per recuperare – tra gli altri – terre rare e litio. La penisola iberica fa la parte del leone per quanto riguarda i siti estrattivi, con miniere di litio, tungsteno, rame, cobalto e nichel tra Spagna e Portogallo. Si scaverà anche in Svezia, che due anni fa ha scoperto nei pressi del Circolo polare artico il più grande giacimento di terre rare mai rilevato in Europa. Séjourné lo ha ammesso senza mezzi termini: «Ci troviamo obbligati ad aprire nuove miniere in Europa» (in Italia ne sono al momento attive 76, e in 22 di queste – secondo la ricognizione dell’Ispra – si estraggono materie prime chiave). Ma per alcuni minerali critici l’Europa non ha altra via percorribile che stringere alleanze globali allo scopo di ottenere forniture alternative a quelle cinesi. Ed è ciò che ha fatto con la seconda lista, “premiando” 13 progetti strategici di estrazione e trasformazione localizzati non solo in Ucraina e nel territorio semi-autonomo danese della Groenlandia (in entrambi i casi si tratta di grafite), ma pure in Stati vicini come il Regno Unito post-Brexit (una miniera di tungsteno nel sudovest dell’Inghilterra), la Norvegia (l’unico con due iniziative) e la Serbia. I siti rimanenti si trovano in Malawi, Sud Africa (da questi due avverrà l’approvvigionamento di terre rare), Zambia, Madagascar, Canada, Kazakistan, Brasile e Nuova Caledonia (territorio d’Oltremare della Francia nell’Oceano Pacifico).