Il Messaggero, 19 giugno 2025
Senza una inversione della tendenza tra 200 anni nascerà l’ultimo bambino
C’è un dato drammatico che indica la gravità della situazione: se la dinamica negativa delle nascite, ininterrotta da 11 anni, non cesserà, tra 200 anni l’Italia vedrà nascere il suo ultimo bambino. Benvenuti nel Paese delle culle vuote. Al 1° gennaio 2025, la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 934mila unità, in diminuzione del -0,6 per mille rispetto al 1° gennaio 2024.
IL PROCESSO
Secondo quanto si legge nell’ultimo rapporto annuale dell’Istat, il processo di decremento della popolazione, in atto dal 2014 e ormai strutturale, procede evidenziando un calo in linea con quello del biennio precedente (-0,4 per mille nel 2023, -0,6 nel 2022). Il calo della popolazione riflette la dinamica naturale negativa: il numero di decessi (651mila nel 2024) è superiore a quello delle nascite (370mila), generando un saldo naturale pari a -281mila unità.
L’accentuata fase di denatalità, in atto dal 2008, è determinata dalla riduzione delle donne in età feconda, (le 15-49enni, diminuite di 2,4 milioni dal 1° gennaio 2008, per un totale di 11,4 milioni al 1° gennaio 2025), dal calo della fecondità (scesa nel 2024 al minimo storico di 1,18 figli per donna) e dal rinvio della genitorialità.
La dinamica migratoria compensa in parte il deficit dovuto al saldo naturale negativo: nel 2024 le immigrazioni dall’estero (435mila) sono state più del doppio delle emigrazioni (191mila) e il saldo è pari a +244mila unità. Confidare negli stranieri, spiega l’Istat, appare tuttavia un’illusione, considerato che sembra ormai essersi esaurito anche l’effetto positivo sulla neo-natalità prodotto dagli arrivi dei cittadini stranieri (più giovani e più propensi a fare figli di quelli italiani), sia perché i flussi si stanno riducendo, sia perché gli stranieri tendono ad assumere gli stessi comportamenti demografici degli italiani.
LE REGIONI
Regioni meridionali (Sicilia e Campania in particolare), paesi under 10 mila abitanti e centri rurali le vittime principali dello spopolamento. Per il Lazio emerge, invece, uno scenario meno cupo rispetto alla media nazionale: qui la decrescita è iniziata nel 2018, facendo segnare «solo» un -1% di popolazione pari a -54mila persone. A contenere la flessione, sono stati soprattutto il contributo della popolazione straniera, l’immigrazione interna e un saldo naturale meno negativo rispetto alla media nazionale.
La sfida del ripopolamento è piuttosto complessa. Negli ultimi 8 anni il Paese ha perso 1,5 milioni di abitanti e il tasso di presenza in famiglia è appena del 2,3%. Un autentico crollo, considerato che nel 1971 (quando i nuclei medi raggiungevano il 3,5%) le famiglie formate da cinque o più componenti erano 3,4 milioni e rappresentavano il 21,5% del totale delle famiglie, mentre oggi se ne contano solo 1,3 milioni, poco più del 5% delle famiglie censite. E non è tutto: negli ultimi 70 anni l’Italia ha perso oltre cinque milioni di minori (-34,8%) e un milione e 800 mila giovani con meno di 34 anni (-14,4%). Parallelamente, da un lato sono aumentati del 61,2% i 35-64enni figli degli anni del «boom economico» (sono oltre 26 milioni, contro i poco più di 16 milioni all’inizio degli anni ’50, e rappresentano il 43,3% della popolazione», e dall’altro si sono quasi triplicati i cittadini di età superiore ai 65 anni: sono 13 milioni e 783 mila, in aumento del 253,9% negli ultimi 70 anni (quasi 10 milioni in valore assoluto). Infine: nel 2024, la fecondità è rimasta stabile al Centro rispetto all’anno precedente (1,12), ma il Mezzogiorno e il Nord hanno sperimentato una contrazione. In particolare, il Sud ha raggiunto un nuovo minimo (1,20), mentre il Nord si attesta a 1,19. Nel medio e lungo periodo, il calo della popolazione sarà generalizzato in tutte le ripartizioni territoriali, ma risulterà ben più sostenuto nelle regioni meridionali, tradizionale bacino di nascite e di famiglie più larghe.