Avvenire, 19 giugno 2025
Immigrati, i vescovi Usa contro Trump «Nessuno può rimanere in silenzio»
«Come vostri pastori, il vostro timore risuona nei nostri cuori e facciamo nostro il vostro dolore. Contate sull’impegno di tutti noi a restare al vostro fianco in quest’ora difficile». Con parole di solidarietà e promesse di assistenza l’arcivescovo Timothy P. Broglio, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, si è rivolto alle comunità colpite dall’intensificarsi delle azioni di repressione contro gli immigrati. Il messaggio di Broglio suona come una dura critica nei confronti delle retate sui posti di lavoro e nei tribunali ordinate dall’Amministrazione Trump, che continuano ininterrotte. L’arcivescovo riconosce infatti che «le azioni delle forze dell’ordine per preservare l’ordine e garantire la sicurezza sono necessarie per il bene comune – ha scritto in un comunicato –. Tuttavia, gli attuali interventi vanno ben oltre chi ha precedenti penali. Arresti e rimpatri di massa sulla sola base dello status migratorio, spesso in modo arbitrario o senza adeguate garanzie, rappresentano una crisi sociale profonda di fronte alla quale nessuno può restare in silenzio».
Le conseguenze soprattutto umanitarie, ma anche economiche, degli arresti voluti da Donald Trump sono diventate impossibili da ignorare negli Stati Uniti e stanno creando crescenti tensioni politiche e sociali. Dopo le proteste di piazza delle scorse settimane, l’opposizione ai fermi si è concentrata nei tribunali, dove gli immigrati che si presentano per udienze obbligatorie sul loro status legale vengono arrestati da agenti dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) mascherati.
La stessa sorte è toccata a Brad Lander, “controllore” della gestione di New York e candidato democratico a sindaco, che aveva chiesto ai funzionari d’immigrazione il motivo del fermo di un immigrato in un tribunale della metropoli. Lander è stato rilasciato senza essere incriminato e ha sottolineato che il suo arresto era illegale perché l’Ice non ha giurisdizione sui cittadini americani.
La situazione ha provocato l’intervento di Barack Obama, che, dopo un lungo silenzio, ieri ha lanciato l’allarme autocrazia. «Se seguite regolarmente – ha detto – ciò che dicono coloro che sono al governo, noterete un debole impegno verso la democrazia liberale e un atteggiamento più coerente con le autocrazie, con l’Ungheria di Orbán». Ma lo stesso Ice fatica a gestire la repentina e spesso non chiara espansione dei propri compiti. Ieri ad esempio gli agenti hanno appreso che i limiti imposti alle retate in aziende agricole, ristoranti, hotel e stabilimenti di trasformazione alimentare – annunciato con gran pompa da Trump – non sono più validi e che gli arresti possono ricominciare. La confusione preoccupa gli imprenditori, che hanno denunciato fortissimi tassi di assenteismo che rendono gli affari incerti «peggio del Covid», dice un’associazione di categoria californiana.
Ma la repressione degli immigrati costa cara anche al governo e l’Ice rischia di rimanere senza soldi il mese prossimo. Secondo le stime riferite da Axios, l’agenzia federale ha sforato il budget di oltre un miliardo di dollari con ancora più di tre mesi alla fine dell’anno fiscale.
Il ritmo di 3.000 arresti al giorno imposto dalla Casa Bianca ha portato i centri di detenzione ben oltre i 41.000 posti disponibili, mentre il dipartimento per la Sicurezza Interna cerca spazio anche all’estero, compresa Guantanamo. Il tycoon potrebbe usare la sua autorità per dichiarare lo stato di emergenza nazionale e reindirizzare i fondi all’Ice da altre aree del governo.