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 2025  giugno 19 Giovedì calendario

Un anno dopo la morte di Singh ancora schiavi in nero nei campi

«No, non è cambiato assolutamente nulla: siamo ad un anno fa, come se la morte del povero Satnam non fosse “servita” a niente: gli stranieri restano sempre degli schiavi, da sfruttare nei campi dell’Agro Pontino»: con voce ferma, non usa mezzi termini Laura Hardeep Kaur, di origine indiana ma nata in Italia, segretaria della Flai Cgil di Latina-Frosinone che ha preso a cuore la vicenda non solo come sindacalista, ma anche dal punto di vista personale, instaurando un bel rapporto di amicizia con Soni, la moglie 24enne di Satnam Singh, 31 anni, il bracciante agricolo abbandonato davanti all’ospedale di Latina con un braccio amputato e altre lesioni causate da un macchinario agricolo, e morto dopo due giorni di atroci sofferenze, il 19 giugno 2024. «Siamo nella situazione di un anno fa e di sempre – riprende la sindacalista – con lavoratori che continuano a subire la stessa sorte di Satnam, anche se per fortuna meno grave, con decine di infortuni sul lavoro nei campi che neppure vengono denunciati. Dopo la morte di Satnam sarebbe servito uno scatto di reni da parte di tutti, nessuno escluso, e invece niente: i lavoratori continuano ad arrivare dall’India e da altri Paesi, ma restano dei clandestini, perché le aziende agricole non hanno alcun obbligo di assumerli». E così questo popolo di disperati continua a lavorare anche 14 ore al giorno, per 2 euro all’ora, sotto il sole rovente della pianura pontina, a raccogliere frutta e ortaggi, pur di racimolare qualche soldo e pagare i debiti contratti per arrivare in Italia, almeno 10-12mila euro.
«Solo l’altro ieri – riprende la segretaria del sindacato dei lavoratori agroindustriali – in una piccola azienda vicino Sezze la polizia ha trovato 10 lavoratori stranieri in nero, in condizioni pietose. Le forze dell’ordine e l’Ispettorato del lavoro fanno quello che possono in materia di repressione e li ringraziamo, ma qui serve prevenzione, altrimenti non cambierà niente. Abbiamo una buona legge, la 199, che come sindacato abbiamo fortemente voluto dopo la morte 5 anni fa di Paola Clemente nei campi della Puglia, ma non viene applicata. Sfruttamento e caporalato non trovano argini».
In provincia di Latina, poi, il decreto flussi ha numeri «da totale fallimento: solo il 7% degli stranieri chiamati dalle aziende agricole ha un permesso di soggiorno – riferisce dati alla mano Laura Hardeep Kaur –. Abbiamo chiesto che diventi pubblico l’incrocio tra domanda e offerta, che si parta in via sperimentale almeno a Latina, ma niente, nessuno ci ascolta. E poi c’è il tema non secondario degli alloggi: il Pnrr per Latina ha messo a disposizione 2 milioni di euro, ma dell’utilizzo di questi soldi non si sa nulla». Per sollecitare ancora una volta chi di dovere, a Latina proprio nel primo anniversario della morte di Satnam Singh ci sarà un presidio con il segretario nazionale della Flai, Giovanni Mininni, e i leader degli altri sindacati. E ci sarà anche Soni, la giovane compagna di Satnam, che intanto continua a seguire tutte le fasi del processo a carico dei datori di lavoro che abbandonarono il marito davanti all’ospedale, orrendamente mutilato, e che sta provando a ricostruirsi una vita, con la vicinanza e l’affetto di Laura, tramite un percorso di reinserimento lavorativo, passato attraverso la regolarizzazione. Perché questo della clandestinità resta il problema dei problemi dei seimila stranieri (ma il numero è per difetto, qualcuno ritiene siano addirittura il doppio) impegnati nelle aziende agricole della provincia e rispetto al quale anche la Caritas si sta muovendo da tempo. «Al nostro sportello di Borgo Hermada, vicino Terracina, arrivano centinaia di stranieri clandestini – afferma Angelo Raponi, direttore Caritas –. Per far emergere l’irregolarità c’è la protezione internazionale, ma le lungaggini burocratiche sono infinite. Viene chiesta perfino l’attestazione del domicilio a questa povera gente che una casa qui neppure ce l’ha». Affiancare all’aspetto caritativo una maggiore presa di coscienza collettiva della piaga dello sfruttamento dei lavoratori è l’impegno della diocesi. Il vescovo Mariano Crociata più volte ha richiamato al rispetto della dignità di questi lavoratori, avviando un percorso di riflessione sul tema, con i sacerdoti e tutta la comunità ecclesiale ma anche con le componenti sociali ed economiche del territorio.