repubblica.it, 18 giugno 2025
Intervista a Paolo Belli
Metà degli anni 60, tediosa domenica pomeriggio, c’è una voce in giro tra le strade di Formigine, provincia di Modena: “Dicevano che fosse arrivato in paese il cameriere di Enrico Maria Salerno. Il cameriere, non lui. Eppure andammo tutti all’esterno del palazzo in cui lo davano per ospite. Non c’era nessuno, ovviamente. La televisione era questo: creava miti”. Paolo Belli – che venerdì pubblica il suo nuovo singolo Voglio tutto l’amore che c’è (produzione CinicoDisincanto, distribuito da Warner/Ada Music Italy) – ricorda così il primo impatto con lo star system. “Tra le stradine di quel paese ho incontrato anche la musica”.
Colpo di fulmine?
“Stavo passeggiando con mia mamma, Pierina. Passiamo sotto una finestra e sento delle note. Chiesi alla Pierina cosa fosse”.
Cos’era?
“Qualcuno che si esercitava al pianoforte. Lo volevo suonare anche io, le chiesi di prendere lezioni”.
Fu accontentato?
“Mi ha iscritto a quella scuola che non sapevo né leggere né scrivere. Veniva con me”.
Lezioni insieme?
“Appuntava tutto quello che riguardava la teoria. Io suonavo. Il maestro insegnava a lei e lei insegnava a me, per intenderci. Ma aspetti, mi faccia specificare una roba”.
Prego.
“Eravamo poveri. Poveri seri. Non è che quelle lezioni di piano cascavano giù dal cielo. Piuttosto: la musica l’ho potuta fare perché veniva su dalla terra”.
In che senso?
“A dieci anni chiesi a mio padre una tastiera. Mi rispose: comprala. Non mi diede i soldi, mi disse solo: comprala”.
Come l’ha comprata?
“Con 70 mila lire guadagnate andando a raccogliere le barbabietole”.
Deve aver voluto bene a quella tastiera.
“Era lo strumento più bello del mondo. Anche se sette tasti non funzionavano, per me era bellissima. Mio padre mi disse: beh, suona gli altri tasti che ci sono”.
Il primo concerto che ha fatto?
“Ma che concerto, era una messa beat. In chiesa c’erano strumenti e amplificatori. Il prete ce li lasciava suonare se la domenica accompagnavamo la funzione”.
Arrangiamenti funk al Padre nostro?
“Una specie. Veniva fuori una roba tipo Jesus Christ Superstar”.
Paolo Belli a suonare in chiesa nel cuore dell’Italia rossa.
“Guardi che era sul serio come Don Camillo e Peppone. Infatti dopo le messe beat arrivarono le feste dell’Unità”.
Di cui sua madre era un pilastro.
“La Pierina cucinava per tutti. Quando è morta mi sono arrivate le condoglianze da mezzo parlamento. Maria Elena Boschi mi ha dato una foto in cui era abbracciata a mia madre”.
Dopo le feste dell’Unità?
“Il conservatorio”.
Belli, quando arriva il funk?
“Arriva in un pomeriggio, al bar del paese. Stavo guardando la tv e appare questo ragazzo con i capelli lunghi che suonava ‘Na tazzulella ‘e café”.
Folgorato da Pino Daniele.
“Corsi a casa. Provai subito a rifare quel pezzo. Tra quel ritmo mi ci ritrovai. La mia strada era quella: mischiare i generi. È stato anche il momento a partire dal quale ho scoperto tutta la musica italiana degli anni 70. Passai dalle canzoni di Sanremo al prog e ai cantautori”.
E la band quando si manifesta?
“Qualche anno dopo. Lavoravo in un negozio di strumenti musicali a Carpi. E quindi conoscevo tutti i musicisti della zona. Li riunii per una prova. Quando tornai a casa mi sdraiai a terra e scrissi Ladri di biciclette”.
Una banda che scorrazzava sulla via Emilia.
“Una banda che nello stesso concerto doveva poter fare rock, jazz, funk. E il liscio ovviamente. Se ti esibivi nello stesso posto in cui il giorno prima c’era stato Casadei, non potevi scampare a Romagna mia”.
Una bella scuola.
“E non solo di musica. Impari a stare in mezzo agli altri, capisci subito che il concerto è qualcosa di comunitario. Che tra il pubblico c’è chi si vuole divertire e chi ha il palato fine”.
Da quei successi della fine degli anni 80 a oggi: cosa non ha mai perso?
“Non utilizziamo questo termine eh…”.
Perché?
“Sono campione mondiale di smarrimento oggetti”.
Campionato bello frequentato.
“Lasci stare, gli altri sono dilettanti. Vuol sapere l’ultima?”.
Ovviamente.
“Ho perso il telefonino di mio figlio. Era nuovo. L’ho dovuto ricomprare e fino a quando non leggerà quest’intervista non saprà dell’accaduto”.
Non male. Allora riformuliamo: in cosa è uguale rispetto a 35 anni fa?
“Sono sempre insicuro. Solo il palco mi regala momenti di tranquillità. Giù dal palco non c’è verso. Mi arrovello, penso troppo. Anche perché ne ho viste troppe di calamità prima dei concerti”.
Una lista sommaria?
“Temporali mandati da diavoli, ambulanze a sfrecciare tra la gente. Ho suonato con i calcoli renali e cinque minuti dopo aver saputo della morte di mio padre”.
Il palco come una cura?
“Certo, anche nell’ultimo anno. Mia moglie Deanna – che ora sta bene – si è ammalata. Era lei a chiedermi per favore di continuare a suonare. Quell’energia serviva a tutti”.
Energia che sembra inesauribile. I concerti, ora il singolo e poi il nuovo disco in autunno dove farà nuove versioni dei suoi classici. E bisogna aggiungere Ballando con le stelle.
“Una grande palestra. Ci divertiamo. E lo faccio anche per la banda. Per le quindici e più persone che suonano con me da 40 anni e che mi sono sempre accanto. Bisogna lavorare: ci sono mutui, famiglie da mantenere, bimbi da far studiare”.
Ha mai ricevuto qualche proposta che implicasse la rinuncia ai suoi amici?
“Un paio di decenni fa qualcuno mi propose un programma in cui avrei dovuto suonare con l’orchestra della Rai. Dissi di no. La banda è la banda”.
È vero che ogni anno aspetta di essere riconfermato a Ballando da Milly Carlucci?
“Certo. E ogni volta è un grande sospiro di sollievo”.
La definisca in un aggettivo.
“Perfetta. È studiosa. Se non sa una cosa te la chiede ma il giorno dopo ne sa dieci volte più di te”.
La televisione…
“...mi ha salvato. All’inizio degli anni 2000 le cose non andavano bene. Le persone intorno a me mi rincuoravano ma le banche bussavano”.
Si sente parte dello star system adesso?
“Ma figuriamoci. Siamo ancora un corpo estraneo. Facciamo i pendolari da Carpi e nel primo giorno libero via di goliardiate. Un attimo che squilla il telefonino…”.
Ma è l’inno della Juventus?
“E certamente, di quale altra squadra? Lo canto io. La Juve deve sempre vincere. Ma uno dei miei migliori amici è Gennaro Montuori...”.
Detto “Palummella”.
"Capo ultras del Napoli”.
Cambiamo sport. Va spesso in bici.
“Perché ho una passione altrettanto grande per la tavola”.
Cucina come sua madre?
“Do indicazioni…”.
E allora ci indichi, oltre alle sue, una canzone per quest’estate.
“Hungry heart di Bruce Springsteen”.
Versione funk?
“Tutto può essere….ma per ora non tocchiamo il Boss”.