La Lettura, 15 giugno 2025
Dieci sfumature di giallo
Se inserire un romanzo nella categoria dei «gialli» è relativamente semplice – c’è un delitto, qualcuno indaga – i confini del genere, che ha questo nome solo da noi per via dei Gialli Mondadori, laddove all’estero si usano le varie declinazioni di «poliziesco»» (o anche crime fiction, dato che l’investigatore non è necessariamente un membro delle forze dell’ordine), sono invece più sfuggenti. Delitto e castigo può considerarsi un giallo? I thriller sono anche gialli? E i noir? E i polar francesi? Che dire dei delitti che non trovano soluzione? Dal momento che il giallo si è espanso nella cultura popolare fino a ibridarsi con altri generi ed è stato declinato in forme originali anche da autori di sommo profilo letterario, fissare confini è indispensabile per imbastire qualsivoglia ragionamento attorno al genere. E anche su quale sia il primo giallo c’è dibattito.
Convenzione vuole che la crime fiction moderna nasca con I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe, del 1841, in cui viene introdotto il personaggio di Auguste Dupin, investigatore dilettante così acuto da risolvere i casi senza neanche recarsi sul posto, facendosi bastare i resoconti. Poe imposta qui – e negli altri due racconti con Dupin protagonista, Il mistero di Marie Roget e La lettera rubata – l’idea di un «investigatore per caso» più abile della polizia e pure quella della giustapposizione di un compagno meno acuto atto a far brillare le virtù del detective, dispositivo che sarà ripreso da Arthur Conan Doyle con i suoi Sherlock Holmes e Watson e poi da innumerevoli emuli, tant’è che lo ritroviamo anche nelle storie gialle con Topolino e Pippo.
Doyle era ben consapevole del riferimento, tant’è che lo esplicita pure in Uno studio in rosso (1887), peraltro considerato da alcuni il primo vero romanzo giallo (altri gli antepongono Il diamante indiano, dell’amico e collaboratore di Dickens Wilkie Collins, uscito nel 1868): lì il dr. Watson paragona Holmes a Dupin e quello subito si autodefinisce «ben superiore».
Ma l’influenza di Dupin sarebbe stata ancora più grande: da lui discendono anche il Poirot di Agatha Christie – e con lui il «periodo d’oro del giallo classico» – e Porfirij Petrovic, il giudice istruttore di Delitto e castigo. Così, con Fëdor Dostoevskij, il giallo va sin dalle sue origini a innervare la letteratura più «alta». Ma sono davvero quelle le sue vere origini? La novella La signorina de Scudéry del maestro del gotico E. T. A. Hoffmann risale al 1819, e presenta molti elementi del genere – una serie di delitti inspiegabili, un innocente posto sotto accusa e la collaborazione di un «esterno» alle indagini – anticipando peraltro un sottogenere, quello dei thriller con al centro un serial killer, che sarebbe diventato popolare solo nel Novecento. Si potrebbe tirare in ballo pure Il parroco di Veilbye del pastore danese Steen Steensen Blicher, del 1829, ma vista l’influenza limitata al Paese d’origine, inserire Blicher tra i padri del genere sarebbe forse un eccesso di puntiglio; lo stesso vale per Letitia Elizabeth Landon, meglio nota come L. E. L., che però, con il suo racconto Il coltello, del 1832, anticipò i gialli senza soluzione.
Più interessante è andare molto indietro nel tempo, poiché si possono trovare archi narrativi riconducibili al giallo nel poema epico indiano Mahabharata, nella Leggenda di Taro della tradizione giapponese e soprattutto nelle Mille e una notte, capolavoro multiautore della tradizione araba. Le tre mele, una delle storie narrate da Sheherazade, racconta il ritrovamento di uno scrigno che contiene il cadavere di una donna e il conseguente ordine del califfo al proprio visir di risolvere il mistero in tre giorni. Puro whodunit, e non privo di svariati colpi di scena. Le mille e una notte contengono almeno altri tre proto-gialli: Il mercante e il ladro, Il racconto del gobbo e Alì Khwaja, in cui per la prima volta i lettori assistono alla raccolta degli indizi fino a giungere all’incriminazione del colpevole.
I lettori amano assistere a tutto questo, come avrebbe dimostrato il boom del giallo seguito alla diffusione delle riviste letterarie «leggere» e dei tascabili. Arthur Conan Doyle, preso da stanchezza, fa morire il suo Sherlock Holmes ma le proteste dei lettori lo costringono a resuscitarlo, mentre la sete di investigatori resta fortissima, e nei decenni molti altri grandi autori andranno a placarla, su tutti Agatha Christie con i suoi Hercule Poirot e miss Marple, Rex Stout con Nero Wolfe e Georges Simenon con il commissario Maigret, fino a Raymond Chandler con Philip Marlowe e Dashiell Hammett con Sam Spade, iniziatori del genere hard boiled, da cui poi – grazie all’intersezione con il medium cinematografico – sarebbe nato il noir. Così, terminato il periodo d’oro del giallo classico, s’arriva alla questione delle tassonomie. Dove far finire il giallo? Includere o non includere sottogeneri e derivazioni?
Nel 1929 il presbitero cattolico inglese Ronald Arbuthnott Knox, teologo e autore a sua volta, si spinse fino alla stesura di un «decalogo», che oggi appare piuttosto ingenuo, ma resta divertente da consultare:
1) il colpevole dev’essere un personaggio che compare nella storia fin dalle prime pagine e il lettore non deve poter seguire i suoi pensieri; 2) gli interventi soprannaturali o paranormali sono esclusi dalla storia; 3) sono consentiti al massimo una stanza segreta o un passaggio segreto; 4) non possono essere impiegati veleni sconosciuti né può essere impiegato uno strumento che necessiti lunghe spiegazioni scientifiche; 5) non ci dev’essere nessun personaggio cinese; 6) nessun evento casuale dev’essere di aiuto all’investigatore né egli può avere un’inspiegabile intuizione che poi si dimostri esatta; 7) l’investigatore non può essere il colpevole; 8) l’investigatore non può scoprire alcun indizio che non sia subito presentato anche al lettore; 9) l’amico stupido dell’investigatore non deve nascondere i propri pensieri e la sua intelligenza dev’essere al di sotto di quella del lettore medio; 10) non ci devono essere fratelli gemelli né sosia, a meno che non siano stati presentati fin dall’inizio della storia.
Qualcuno, tra un sorriso e l’altro, potrebbe chiedersi cosa c’entrino i cinesi: il punto 5 si spiega infatti con l’inflazione di villain di origine cinese nella narrativa di consumo dell’epoca... E se il decalogo di Knox mostra i suoi anni, ci dice almeno perché l’Edipo re di Sofocle non può essere annoverato tra i proto-gialli: si veda il punto 7.
Giunti a questo punto, però, dipende dalla sensibilità di ognuno se includere nel giallo anche il noir, il thriller o il giallo storico, così come scegliere se includere o escludere il giallo «concettuale»: che fare di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, ad esempio?
La nostra tradizione fumettistica offre una possibile risposta: tutti ricorderanno che il sottotitolo degli albi di «Diabolik» delle sorelle Giussani – senz’altro un noir – era Il giallo a fumetti; e se si entra nel campo della letteratura disegnata italiana verrà doveroso citare almeno Il commissario Spada di Gianluigi Gonano e Gianni De Luca, il Sam Pezzo di Vittorio Giardino, nonché i bonelliani Nick Raider e Julia, creati rispettivamente da Claudio Nizzi e Giancarlo Berardi.
Approdati che si è in Italia – con un salto purtroppo inevitabile, perché il mondo del giallo è assai vasto: abbiamo ad esempio bypassato il fertile filone scandinavo, di cui si ricorderà quantomeno Il senso di Smilla per la neve di Peter Høeg – sarebbe difficile stilare una lista di autori senza far torto a qualcuno, vista la quantità di abili giallisti a cui ha dato i natali il nostro Paese, ma si citeranno almeno quelli storici: Giorgio Scerbanenco, ormai accettato come padre del giallo italiano moderno; Andrea Camilleri, per quanto la brillante idea del «commissario a carattere regionale» dietro a Montalbano abbia dato origine a legioni di emuli non sempre all’altezza; nonché Umberto Eco, che mischiando giallo e storia ci ha dato il suo capolavoro Il nome della rosa – e se anche qui gli emuli discutibili non mancano, la qualità del testo ci permette di perdonarlo facilmente, tanto più che, senza emulazione, neanche sarebbe nato Sherlock Holmes da Auguste Dupin.