Tuttolibri, 14 giugno 2025
Quel pasticciaccio brutto della "Grande rapina di Nizza"
Intervista pubblicata su Tuttolibri nel 1996
Ken Follett, il “negro” sconosciuto che nel 1977 prestò la sua penna – allora più mercenaria che magica – per sconfiggere qualche brandello di fame, è furibondo: «Quel signore, Clements von Bézard, è un bandito. Un affarista condannato negli Anni ’80 a sette mesi dal tribunale di Monaco per truffa e falso. Come potete fidarvi di uno così?».
La guerra sul disconoscimento de La grande rapina di Nizza (pubblicata da Newton-Compton – pp. 189, L. 9.900 – e combattuta a colpi di ultimatum perentori, di minacce, di accuse sferzanti e di costosissimi spazi acquistati sui giornali da Luigi Bernabò, il suo agente italiano), ha lasciato il segno sull’umore del bel tenebroso gallese, già poco amato per il suo snobismo da laborista miliardario e così poco incline a cucirsi la lingua anche quando la diplomazia sarebbe d’obbligo.
Lo sa di non essere simpatico a molti...
«E questo che cosa vuol dire? Devo star zitto quando a casa vostra stanno compiendo una truffa non tanto ai danni miei quanto a quelli dei miei lettori?».
Tutto per il suo nome a caratteri cubitali su un romanzo che, in un modo o nell’altro, lei ha scritto?
«No. Io non ho scritto proprio un bel niente. Tantomeno un romanzo».
Allora sentiamo la «sua» verità.
«Non la mia, ma la Verità. Incominciamo di qui: non ho nessuna difficoltà a riconoscere che prima di diventare celebre non me la passavo bene. Però quelle storie sul Galles, le miniere, l’infanzia povera e la conseguente avidità da ricco sono soltanto balle. Io ero dall’altra parte della cassa. I minatori venivano nel negozio dei miei nonni, pagavano e noi incassavamo. Quindi nessuna origine superproletaria con stomaco vuoto e cinghia tirata. È vero invece che ad un certo punto decido di prendere la mia strada e di andarmene».
Dove?
«A farmi le ossa al South Wales Echo perché ho un sogno: diventare un grande giornalista. Ero già bravo a scrivere e non avevo dubbi che la vita me la sarei guadagnata con le parole. Dopo qualche tempo mi arriva infatti una proposta dal London Evening News: ci vado di corsa, ma il salario è davvero una miseria. Tempi duri: giornale e università. Ho solo 19 anni e potrei anche cavarmela se non fosse che inciampo immediatamente nel guaio tipico delle coppie troppo giovani e altrettanto focose: un figlio. Mary, la mia ragazza, è incinta, io la amo e sono disposto a diventare padre».
Morale...
«Nasce Emanuele – qualche anno dopo si aggiunge anche Marie Claire – ed il povero Ken è disposto a tutto pur di fare quattro soldi: sacrifici, orari impossibili, straordinari, riscrittura di testi mediocri per mediocri case editrici...».
E siamo al punto.
«Già. Come è facile immaginare la situazione non è delle più allegre e, quando mi fanno ballare davanti agli occhi 750 sterline e una vacanza di due giorni a Nizza...».
Von Bézard parla di 850.
«Cento vanno subito all’intermediario. Dicevo: cos’avrebbe fatto lei al mio posto? Più di un milione e centomila lire nel 1977... Io parto di corsa. Il mio compito è di tradurre in inglese – e ribadisco tradurre – un libro-reportage – e non un romanzo sulle imprese di Spaggiari scritto (e pubblicato in Francia) da tre giornalisti, i famosi René, Louis e Maurice che, dopo aver seguito processi, fatto indagini, interviste e ricostruzioni per anni, avevano sì messo nero su bianco la storia, ma non avevano firmato col loro cognome per paura di rappresaglie».
Lei però non si limita a tradurre...
«No. C’è una tal confusione in quel testo che non si capisce niente. Così, anche per facilitare il mio lavoro di traduttore – mi avevano concesso solo 12 giorni, viaggio compreso – ribalto alcune parti per rendere più scorrevole e “organizzata” la lettura. Poi, divento celebre con La cruna dell’ago...».
E incominciano i guai: la lunga corsa allo “sfruttamento” della sua firma...
«Senza farla tanto lunga, un tribunale americano stabilisce che in copertina il mio nome debba seguire quello dei tre autori con eguale evidenza. Ed è quello che pretendo anche in questa versione italiana».
Von Bézard dice: «Follett odia questo libro perché non ne ricava una lira. Perciò tenta di intimorire l’editore».
«Punto primo: la mia fedina è pulita, quella di questo Von Comesichiama, no. E sapete perché? Per un altro fatto capitato proprio da voi. Nell’87, Rizzoli gli dà un centinaio di milioni per pubblicare II viceré del Nuovo Mondo di Stephen Marlowe e quello si tiene tutto. Stephen fa causa, la vince, ottiene una condanna, ma non incassa un centesimo lo stesso. Non ne sono sicuro, ma oltre alla truffa e al falso, dovrebbe anche esserci una storia di bancarotta altrimenti qualche soldo sarebbe arrivato».
Punto secondo?
«Io sono miliardario, non mi frega assolutamente niente di incassare qualche diritto in più su un’edizione economica. Quello che invece mi preme davvero è stabilire con i miei lettori un fatto preciso: quella non è roba mia. Io per scrivere un romanzo – e risottolineo: romanzo – ci impiego due anni, non dodici giorni. E sia chiara un’altra cosa: non prendo le distanze dal mio passato. Ne sono orgoglioso, come di quella mia prima moglie di gioventù. Soltanto non sopporto la disonestà, il trucco».
Perché per “La grande rapina di Nizza” non si è rivolto a un tribunale?
«Non sarei riuscito a bloccare la stampa del libro per questioni di tempo: avrei dovuto affidare ad un legale italiano la procura autentificata dal consolato e la cosa si sarebbe persa nei meandri della burocrazia. Ma sto studiando qualcosa di più “furbo”. A presto».
Un’ultima notizia: lo stesso libro era già stato venduto da Bézard nel 1982 all’Editrice Corno che l’aveva pubblicato col titolo: I gentlemem del 16 luglio. Prezzo: 10 mila lire.