La Stampa, 17 giugno 2025
Reagì dopo 30 secondi "Se c’è abuso sessuale il ritardo non conta"
«Lo sfioramento o il toccamento repentino e insidioso integrano sempre la fattispecie della violenza sessuale». Anche se la durata dell’approccio dura tra i venti e i trenta secondi. Proprio come era successo a Barbara D’Astolto, ex hostess, oggi maestra di scuola primaria, che nel 2018 fu pesantemente molestata da un sindacalista della Cisl durante un incontro vicino all’aeroporto di Malpensa per chiedere lumi su una vertenza di lavoro per mobbing. A metterlo nero su bianco è la terza sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui ha annullato la doppia assoluzione del rappresentante sindacale, difeso dall’avvocato Ivano Chiesa, disponendo per lui un processo d’appello bis. Per il collegio, presieduto da Giulio Sarno con relatrice Ubalda Macrì, i due pronunciamenti che avevano scagionato il sindacalista «non hanno fatto buon governo dei consolidati principi affermati dalla giurisprudenza in materia di violenza sessuale, con riferimento alla specifica ipotesi della condotta del gesto repentino e insidioso».
Secondo la lettura dei giudici della Corte di appello di Milano, che nel giugno 2024 avevano confermato l’assoluzione emessa dal gup di Busto Arsizio, gli abusi sessuali denunciati dalla donna non erano stati tali «da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta». Baci sul collo e mani infilate fin dentro gli slip che, sostenevano i giudici milanesi, «non ha (senz’altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale», ossia «20-30 secondi», che «le avrebbe consentito anche di potersi dileguare». Una valutazione contestata dai supremi giudici che seppur riconoscono ai colleghi dei precedenti gradi di giudizio di non aver «mai dubitato della insidiosità e repentinità degli atti sessuali che di per sé integrano la violenza sessuale», tuttavia «hanno immaginato che la durata del contatto escludesse l’insidiosità del gesto e comportasse la necessità della violenza, della minaccia e dell’abuso di autorità per pronunciare la condanna». Una considerazione «fallace» di quanto successo nell’ufficio per non aver tenuto conto del «contesto» della situazione.
«L’uomo – ripercorre la Cassazione – aveva dimostrato un atteggiamento superficiale e aveva minimizzato i problemi» della hostess «affermando che era in grado di risolvere tutto con una chiacchierata con chi di competenza». Il suo apparente disinteresse era svanito quando la donna gli aveva detto: «Ascoltami, fammi sfogare». «Sentite queste parole, l’imputato, aveva chiuso la porta, si era posizionato alle sue spalle, e le aveva detto “Sfogati quanto vuoi, siamo soli, non c’è nessuno”, passando all’azione». Un gesto improvviso che aveva lasciato paralizzata la donna. «Il ritardo nella reazione, dunque nella manifestazione del dissenso, è stato irrilevante» in quanto «la sorpresa – puntualizza la Cassazione – può essere tale da superare la contraria volontà, così ponendo la vittima nell’impossibilità di difendersi». Ricordano i giudici della Cassazione come «nella letteratura scientifica» venga «spiegato il fenomeno del blocco emotivo o freezing, cioè l’incapacità di reazione dovuta alla paura o al frastornamento per l’imprevedibilità della situazione e l’incapacità di fronteggiarla». Né d’altra parte, si legge ancora nelle sei pagine di motivazioni, «esiste un modello di reazione o un modello di vittima». In giurisprudenza è «pacifico» il principio che chi «agisce» deve acquisire «il consenso del destinatario degli atti sessuali, o comunque non lo escluda sulla base del contesto, anche in caso di gesto repentino». Commenta con soddisfazione l’avvocata Teresa Manente, legale di parte civile di D’Astolfo con l’associazione Differenza Donna: «La Corte ha correttamente smentito ogni lettura basata sulla pretesa neutralità della mancata reazione immediata della vittima, affermando che il disorientamento e il blocco emotivo non annullano la violenza subita e nulla poteva far ritenere che la donna aveva manifestato il consenso». Si tornerà in aula a Milano per il quarto atto processuale.