Robinson, 15 giugno 2025
Carla Gravina “Solo sul set non ero timida”
Un contratto in esclusiva di sette anni con il più grande produttore dell’epoca, Dino De Laurentiis, dopo un paio di set su cui ha messo piede la prima volta a 15 anni con Guendalina di Lattuada, nel 1957. Un amore con l’attore più leggendario dell’epoca, Gian Maria Volonté, scandaloso e anticonformista (con una figlia fuori dal matrimonio che gli attirò decine di lettere e invettive da parte di molti preti della Penisola), burrascoso e romantico (nato addirittura sotto il fatidico balcone di Verona: si innamorarono facendo Romeo e Giulietta in Teatro). Una galleria di personaggi femminili inediti e mobili, pieni di allegria, sensualità, movimento e gesti dal design ribelle (i boomer la ricordano anche come la ragazza dei caroselli della gomma del ponte di Brooklyn, girati davvero a New York), gli stessi che nella società la videro interpretare anche la contestazione e lo svecchiamento, loZeitgeist dell’epoca: alla fine degli anni ’70 fu candidata per il Pci alla Camera (nella quale entrò nel 1980, dopo la morte di Luigi Longo, come prima dei non eletti).
La biografia di Carla Gravina, oggi ottantatreenne, non è meno ricca delle storie dei suoi film, a partire daEsterina, film di viaggio di Carlo Lizzani del ’59 che racconta un personaggio che parte dalla campagna per andare in città, abbandona il paese contadino e si avventura nell’Italia alle porte del boom. E che ora è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna.
Qual è stata la sua esperienza di quel film? Cosa ricorda?
«È uno dei film a cui sono più legata: perché era bello, perché il mio era un personaggio unico, perché mi trovavo bene con le persone con cui lavoravo. Ero una ragazzina e ho un bel ricordo forse proprio e anche perché ero ragazzina».
In effetti la cosa che colpisce oggi, passando a volo d’angelo sulla sua biografia è proprio il fatto che lei ha iniziato veramente giovane. A 15 anni. E in pochi anni ha fatto cinema, tv e teatro. Era ciò che aveva sempre desiderato?
«Ho molto seguito l’incontro con il destino, diciamo. Non sono una che si è organizzata, che ha detto: “Voglio fare questo, voglio fare quello”. Non l’ho fatto innanzitutto perché ero giovane e non era minimamente nella mia indole pianificare qualcosa del genere: la vita è andata da quella parte e io le sono andata dietro, insomma».
Ennio De Concini, che ha scritto la sceneggiatura di Esterina dice che Esterina “lui la vedeva un po’ per strada, la vedeva nelle vetrine dei negozi, nella folla dei mercati,seduta al tavolo di un caffè...”. Lei somigliava a questo personaggio?
«Sì, di base. Anche se il personaggio a un certo punto sviluppava la capacità di mettere in campo una attitudine più vitale di quanto fossi capace io all’epoca. E questo, allora, mi piacque molto».
Cosa ha pensato quando ha letto la sceneggiatura di De Concini?
«Non ho ricordi precisi, ma so che sia il personaggio che il film mi attraevano molto».
La stampa dell’epoca descrivono Esterina con i tratti di una femminilità diversa da quella tradizionale.
«Molto diversa perché poi io con le mie timidezze, la mia personalità, ero una abbastanza diversa. Non ero tanto inserita nel gruppo delle ragazze che facevano cinema».
Lei aveva pochissimo della diva, era un tipo di attrice completamente nuova, appunto, un po’ “alla francese”...
«Ero una alta, magra, non maggiorata, certo. E poi, insomma, è stato il cinema, in fondo, che mi ha tirato fuori anche delle particolarità che non conoscevo di me stessa. Si vede che le possedevo, ma sono diventate mie, e anche del cinema, perché ho avuto la fortuna di incontrare dei registi che mi hanno amata come attrice».
C’era qualche modello di attrice alla quale lei sentiva di voler somigliare?
«Non ero ancora così avanzata intellettualmente e culturalmente.
E il cinema era così forte, così totalizzante come esperienza: era un mondo che ti prendeva completamente e ha saputo tirar fuori da me, forse, una donna che io non sapevo assolutamente di essere».
Quando parla di registi che l’hanno fatta crescere parla di Lizzani?
«Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Pietro Germi. Tutti i registi con i quali ho avuto la fortuna di lavorare».
Anche Giorgio Arlorio, che è autore del soggetto del film racconta dell’importanza della sua scoperta come attrice.
«Giorgio Arlorio è stata una presenza di grande aiuto ma ho avuto un bel sostegno da tutti perché lavorare con queste persone era davvero bello, imparavi un mondo di cose e io ero così giovane».
Oggi si direbbe che “Esterina” è un road movie, un film di strada, su un camion, un po’ come poi sarebbero stati certi film americani degli anni ’70. Era anche un viaggio in un’Italia molto diversa da oggi.
«Abbiamo girato in tanti posti diversi e io ero, stranamente, una timida. E per me arrivare in un posto che non conoscevo significava ogni volta affrontare le classiche conseguenze della timidezza: diventavo rossa, e poi mi vergognavo di diventare rossa.
Insomma avevo dei problemi di questo tipo. La timidezza generava una sorta di blocco. Non so come, il cinema, invece di bloccarmi mi ha aperto una strada. Sul set ero molto più naturale e spontanea di quanto non lo fossi poi nella vita. È curioso: perché davanti alla macchina da presa ci si blocca, normalmente.
Ma io non sapevo neanche cos’era la macchina da presa e forse per questo ho vissuto lo sguardo della camera molto bene. La “capacità di stare davanti alla macchina presa” io non sapevo neanche cosa volesse dire».
Ha avuto al suo fianco Domenico Modugno che allora era un personaggio di grande notorietà. Cosa ricorda?
«Anche se Modugno era Modugno era un divo – e io ero una ragazzina,questo non ha generato alcun problema. Anzi. Forse proprio il fatto che io fossi così giovane mi ha aiutato perché ha reso del tutto naturale la mia spontaneità. Mi sono trovata benissimo con lui. Era una persona molto gentile e spiritosa».
Ciò che più colpisce leggendo la stampa dell’epoca è che in quasi tutte le recensioni il suo personaggio viene messo a confronto con quello di Gelsomina della “Strada” di Fellini. Lei sentiva qualche affinità?
«Ero talmente naïf, talmente sprovvista della cultura e delle conoscenze necessarie che non credo che avessi la capacità o la voglia di pensare a analogie di questo tipo. Tanto meno di pensare, sul set: “Ora mi confronto con Giulietta Masina”. L’ultima cosa che mi sarebbe passata per lamente. Non so neanche se avessi visto quel film. Ero abbastanza randagia».
Però poi è diventata un’attrice molto consapevole ed è entrata a far parte di quell’area del cinema italiano che aveva anche ambizioni intellettuali e politiche. Per esempio disse che “Esterina” era un film di sinistra.
«È strano che abbia detto una cosa così. Ero ignorante in tanti campi, ho avuto la fortuna di incontrare dei grandi maestri dai quali ho imparato tantissimo, non solo del cinema».
Le capita mai di rivedersi?
«Ho un buon rapporto con i film che ho fatto: i ruoli erano belli e io avevo una naturalezza che chissà da dove veniva. Forse perché mi sentivo accettata. Mi sentivo amata».