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 2025  giugno 17 Martedì calendario

Intervista a Danilo Bertazzi

Danilo Bertazzi dal 1999 al 2004 è stato Tonio Cartonio, il folletto del Fantabosco, in quel mitico programma per bambini, Melevisione, su Rai 3. Vent’anni dopo ha accettato di tornare in quei panni per un episodio della serie dei The Jackal Pesci piccoli, in cui si racconta del trauma che Fru ha vissuto quando Tonio ha lasciato il programma. Un dispiacere che, anche nella realtà, accomunò tanti piccoli fan del programma.
Le capita mai che qualche ex bambino le rimproveri di aver mollato il programma?
"Sì, me lo dicono tutti. Spesso mi dicono “sei stato la prima grande delusione della mia vita”. Melevisione ha toccato temi anche importanti e impegnativi per i bambini e rileggendo quel mio addio, frutto di una mia decisione, ci si può trovare un insegnamento: nella vita esistono anche gli addii. Che poi, nel mio caso, è stato un arrivederci perché molti di quei bambini li frequento ancora oggi negli eventi che faccio in giro per l’Italia. Sono sicuro che alcuni spettatori dei The Jackal si rivedranno nella rabbia di Fru”.
Che effetto le ha fatto tornare alla Melevisione?
"C’è solo una parola per definirlo: catartico. Intanto gli scenografi hanno fatto un lavoro straordinario, sono riusciti a ricostruire molto bene il Fantabosco. Entrare lì dentro, dopo tutti questi anni, mi ha fatto un certo effetto. L’episodio è tutto onirico ed è molto divertente, nel registro comico dei The Jackal ma c’è anche un elemento nostalgico che incarna il vissuto di Fru bambino. Spesso mi sento dire “sei stato la mia infanzia”, in questo caso l’infanzia di Fru. C’è stato un momento sul finale delle riprese in cui mi sono trovato con un nodo in gola, ho pianto per l’emozione. Li ringrazio per l’omaggio che hanno voluto fare a Tonio”.
Ha già visto l’episodio?
"No e non so se lo farò. Non mi rivedo mai, detesto rivedermi. Non ho neanche una videocassetta della Melevisione. Poi senza occhiali, senza barba quasi non mi riconosco… comunque è un problema mio rivedermi, qualsiasi cosa faccia”.
Perché dopo sei stagioni ha lasciato la Melevisione?
"Credo sia come la fine di un amore. Non c’è mai solo un motivo per cui due persone si lasciano, ci sono sempre diverse ragioni che ti portano a dire ‘è arrivato il momento di separarci’. Anche perché se poi prendi le ragioni una per una non ci riesci a credere, pensi ‘ma veramente vi lasciate per questo?’. Ecco, anche nella fine della mia storia d’amore con la Melevisione, e con Tonio, ci sono state diverse ragioni. La principale era la volontà di rimpossessarmi della mia vita. E di Danilo, perché Tonio aveva preso il sopravvento. Ho fatto un salto nel buio, non avevo assolutamente idea che cosa sarebbe successo dopo. Ma avevo bisogno di tornare a essere Danilo”.
C’era anche un problema importante di salute.
"Mentre facevo ancora Melevisione mi sono sottoposto al primo intervento al cuore, era il 2001. Esattamente vent’anni dopo, nel 2021, ne ho fatto un altro. Un intervento di quel genere ti cambia un po’ la percezione delle cose, l’idea che hai della vita. Anche quello potrebbe aver influito nella decisione. Sono state tante cose messe insieme. Era arrivato il momento di provare a fare altro. E riprendere in mano la mia vita che avevo lasciato troppo a lungo nel Fantabosco”.
Cos’era che faceva funzionare il Fantabosco?
"Il fatto che i personaggi erano fiabeschi, ma sempre con qualche elemento di realtà. La principessa aveva l’apparecchio ai denti, non incarnava certo l’idea classica di principessa delle fiabe. La prima fata non riusciva a volare perché aveva le ali troppo piccole, la seconda era una fata bambina e non tutti gli incantesimi le riuscivano. La prima strega entrava in scena rotolando perché non sapeva far funzionare la scopa. I bambini amavano questi aspetti così umani dei personaggi del Fantabosco, li sentivano vicini. Tonio, a un certo punto, aveva un computer con la tastiera di corteccia… Grazie a Tonio il bambino entrava in questo mondo, lui lo prendeva per mano, era un colloquio intimo in cui si spiegava cosa fosse accaduto. Nonostante la strega e l’orco, nel Fantabosco i bambini si sentivano sicuri. L’infanzia si può riassumere con la frase “facciamo finta che”, e questo era anche lo spirito del Fantabosco”.
Dopo l’uscita dalla Melevisione lei fu oggetto di una delle prime fake news di Internet. Si diffuse la notizia della sua morte per overdose.
"Sì, quando l’espressione fake news non esisteva e si chiamavano ancora bufala o leggenda metropolitana. Dopo tanti anni ancora non so come sia potuto accadere, non mi sono mai dato una spiegazione ed è il motivo per cui ci ho sofferto tanto. Pensavo di non meritare una fine così infamante. Mi avessero almeno fatto morire da eroe... Non sono mai stato un personaggio da rotocalco, facevo un programma per bambini. Ci ho messo anni per farci pace, ormai sono sereno. Poi, senza social, all’epoca era molto più difficile smentire una notizia falsa come quella, oggi fai una storia su Instagram e chiarisci. Andò avanti per parecchio, per me era un dolore digitare il mio nome sui motori di ricerca e trovarci, associate, le parole overdose, morte, droga. Ora tutto questo è alle spalle grazie ai social che mi mettono in contatto con i bambini cresciuti che hanno un vero affetto per il personaggio, e ormai anche per me”.
Ha iniziato la carriera come attore teatrale, come è arrivata la televisione?
“Frequentavo ancora la scuola del Teatro Nuovo, diretta da Massimo Scaglione che era un regista Rai, mo aveva fatto iniziare con la radio quando ero ancora ero un allievo. Poi ho partecipato ad alcuni sceneggiati Rai, negli anni 80 si chiamavano ancora così. In seguito feci un provino per la Melevisione, portai un estratto del Pinocchio di Rodari che avevo fatto in teatro. E mi scelsero. Devono aver pensato che andassi bene per tutto tranne che per i capelli, che mi chiesero di cambiare, volevano un colore più ‘boschivo’. Ho accettato, poi per cinque anni sono stato costretto a decolorarmi i capelli per la gioia dei miei poveri bulbi”.
Quando ha capito che voleva fare l’attore?
"Subito dopo il liceo ho ho fatto un percorso artistico, ho studiato restauro a Venezia, poi lavorato in uno studio grafico, ma passando davanti al Teatro Nuovo ho sentito il desiderio forte di entrare. Sono convinto che, per la gran parte, gli attori siano degli insicuri in cerca di approvazione. O almeno, io lo sono. Forse il bisogno del consenso di un pubblico è quello che placa un po’ le proprie insicurezze. Da bambino facevo scenografie pazzesche, creavo avventure con i soldatini nel giardino e nell’orto di mia nonna. Inventavo già delle storie”.
Tra i suoi spettacoli ce n’è anche uno con Topo Gigio, che quest’anno ha avuto un gran revival con Lucio Corsi a Sanremo.
“Era lo sceneggiato Il giro del mondo in 80 giorni, avevo un piccolo ruolo, il protagonista era lui, Topo Gigio. Ricordo che lo vidi, durante una pausa, adagiato, privo di vita, mi impressionò molto. Era un personaggio della mia infanzia, di quella tv dei ragazzi anni 60 con cui ero cresciuto. Vederlo così inerte mi colpì”.
Cosa pensa della moltiplicazione di canali e piattaforme che oggi propongono contenuti per bambini?
"I bambini oggi hanno un’offerta molto più ampia rispetto al passato, ai tempi di Melevisione c’era un appuntamento, uno spazio sicuro, i genitori sapevano che potevano metterli davanti alla tv senza preoccupazioni. Ora c’è un’offerta in ogni momento, si sono persi sia il rito della tv dei ragazzi che quella scansione data dalla successione di merenda, tv e poi tornare a fare i compiti, o andare a giocare in cortile. C’era soprattutto il piacere dell’attesa, bisognava aspettare il giorno dopo per vedere un’altra puntata. L’attesa la spiega bene Saint Exupery ne Il piccolo principe, fa dire alla volpe quanto sia importante prepararsi il cuore. Ora i bambini possono vedere e rivedere la stessa puntata in qualsiasi momento, con qualsiasi, device, ovunque. Secondo me s’è perso qualcosa ma vale anche per gli adulti. E si è abbassata la soglia dell’attenzione perché sappiamo che possiamo tornare indietro e rivedere. Un programma come Melevisione oggi sarebbe impensabile, vanno catturati nei primi secondi ed è più di
Ora ha un canale YouTube, un profilo su Tiktok. Come è cambiato il suo lavoro in questi anni?
"Ho due pubblici diversi. Gli ex bambini della Melevisione che oggi hanno trent’anni e magari a loro volta sono genitori, a cui continuo a rivolgermi con argomenti che interessano i giovani adulti: il futuro, la difficoltà di vivere il presente, sono temi che affronto quando li incontro o mi scrivono. Poi ci sono i bambini, per loro ho pensato a un laboratorio di manualità, il gioco è sempre importante. Occorre imparare a recuperare dei materiali: prima di metterla nella raccolta differenziata si può giocare con la scatola delle scarpe, idem con i giornali. La manualità aiuta la fantasia, perché la fantasia diventa realtà per evitare che i bambini siano solo spettatori altrimenti si crea solo dipendenza, e non va bene. Io non sono genitore e lungi da me dare consigli, ma credo che il tempo per essere spettatore debba essere limitato. Il tempo dello spegnimento della tv o del cellulare non deve passare come una punizione, ma come opportunità di fare altre cose”.
Un anno fa ha sposato il suo compagno. Se fosse un po’ più giovane, se vivessimo in un’Italia diversa vorrebbe dei figli?
"Ormai sono troppo vecchio (ride). C’è stato un tempo, quando avevo trent’anni e andavo in analisi, un’analisi tosta, di quelle che vanno indietro fino all’infanzia. E c’è stato un momento in cui avrei desiderato avere una famiglia numerosa, tantissimi figli, una moglie. All’epoca era quello il mio immaginario, forse perché non l’ho avuta. Sono sicuro che sarei stato un padre non perfetto ma amorevole, li avrei amati tanto. Adesso... per carità: posso fare il nonno o lo zio di tutti i bambini dei miei amici”.

È uscito da poco il suo primo libro per bambini, ‘Pietro e il mostro delle fiabe perdute’.
"È una prova che ho fatto con me stesso. Dopo anni come autore tv per bambini volevo misurarmi con la scrittura di una storia, un conto è scrivere una sitcom e un conto un libro. È stato difficile, intanto perché i bambini hanno un lessico più ristretto rispetto agli adulti, devi usare parole che comprendano senza difficoltà. All’inizio il protagonista era solo il mostro ma poi ho pensato che un bambino non poteva riconoscersi in un mostro e così è nato Pietro. Che è un po’ il Danilo da bambino: leggevo tanto, ero solitario, ma anche un po’ il Danilo che avrei voluto essere, il bambino coraggioso, avventuroso, che non sono mai stato. Non vedo l’ora di scrivere altre avventure per Pietro”.
Che sogno ha ancora nel cassetto? In passato disse che le sarebbe piaciuto condurre“Chi l’ha visto?”.
"Chi l’ha visto? o Storie maledette. Sono un appassionato di crime, ascolto podcast di cronaca nera. Anni fa ho incontrato Franca Leosini in Rai e le ho detto che sarei stato disposto a compiere un efferato delitto per farmi intervistare da lei.
Chi l’ha visto? lo seguo dai tempi della mitica Donatella Raffai. Più che Sanremo preferirei condurre Chi l’ha visto? anche se so che non succederà mai. Ai miei bambini cresciuti dico sempre: bisogna avere tanti desideri, piccoli e grandi, nel cassetto. E ricordarsi di lasciare aperto il cassetto, altrimenti non riescono a uscire”.