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 2025  giugno 17 Martedì calendario

Christian Parlati: “Per il judo ho detto no al cinema. Voglio il mondiale”

Prima di essere un campione europeo che atterra quasi tutti gli avversari per ippon, il ko del judo, Christian Parlati è stato “Lello”. Uno dei ragazzi de L’oro di Scampia, il film dei 2014 interpretato da Giuseppe Fiorello e ispirato alla storia dell’oro olimpico Pino Maddaloni. Quel ruolo poteva essere un trampolino di lancio verso una carriera da attore, ma Parlati ha scelto il judo, e la sua palestra a Ponticelli dove il padre Raffaele, capo allenatore e dt della nazionale, dice: «Si parla del nostro quartiere come capitale del judo, non più solo come centro della criminalità». Oggi ai Mondiali di Budapest, un attore mancato diventato campione cerca l’oro mai conquistato da un azzurro.
Christian Parlati, com’è andata quella storia del cinema?
«Avevo 15 anni, è andata discretamente bene. Avevo anche un ruolo simpatico».
Come nasce la proposta di diventare attore?
«Al regista Marco Pontecorvo piacevo, voleva farmi fare un altro film in un campo diverso dal judo. Mi avevano chiamato per i provini».
Mai avuta la tentazione di dire sì?
«È stata una scelta abbastanza facile, ho avuto sempre tutto chiaro. Ma volevo dare il 100% in quel che facevo: già c’era lo sport, lo studio, non potevo mettere insieme tante cose. Non me ne sono mai pentito, non sono un tipo da mondo dello spettacolo. Certo, mia mamma ci teneva…».
Non è facile trovare porte aperte nel cinema.
«Si sarebbe aperto un mondo che non conoscevo. La mia vita è svegliarsi, fare colazione, allenarsi, mangiare, fare fisioterapia o riposo, cenare, dormire. Per fortuna la mia compagna fa lo stesso sport: si chiama Gabriella Willems, è belga e ha vinto il bronzo ai Giochi di Parigi. Ci completiamo: lei è molto più forte a terra, io in piedi, riusciamo a darci i consigli giusti. Prima dell’Olimpiade è stata molto dura: lei ha saltato Tokyo perché si è rotta il crociato un mese prima, poi ha avuto lo stesso infortunio allo stesso ginocchio un anno prima di Parigi e si è qualificata solo all’ultima gara. Vi lascio immaginare lo stress in casa: l’unica soluzione era lasciar fuori il judo».
È vero quel che si dice sulla sua palestra?
«Certo, si entra solo se si tifa Napoli. Una delle motivazioni principali per vincere l’Europeo è stata l’invito al Maradona per vedere giocare il Napoli (ride)».

Siete una famiglia di judoka in un quartiere complesso.
«Abbiamo vissuto situazioni difficili, visto non solo compagni che prendevano una brutta strada, ma anche ragazzi che non potevano pagarsi la palestra e venivano lo stesso. È giusto dare una mano, comprare il judogi, o magari fare la spesa per chi non se lo può permettere, chiunque lo farebbe, bisogna essere prima uomini, poi tutto il resto».
Difficile avere un padre coach?
«C’è sempre bisogno di qualcuno che ti metta in riga e ti sbatta in faccia la realtà: spesso l’atleta cerca di mentire a sé stesso. Quando ero piccolo ci siamo scontrati spesso, ma adesso abbiamo un obiettivo comune».
Ha vinto l’oro europeo da dominatore, logico aspettarsi qualcosa di speciale al Mondiale.
«Ho capito che potevo vincere giorni prima della gara, ho detto al telefono alla mia ragazza: “Penso che vincerò”. Mi sono convinto che non avevo scuse per non farcela. Anche a Parigi tutti si aspettavano da me la medaglia, nella gara a squadre ho battuto il bronzo olimpico, il campione del mondo, il più medagliato nella storia del World Tour, poi siamo finiti quinti. Ma Parigi mi ha dato tanto, non solo tolto. Una nuova consapevolezza mi ha fatto rinascere».