il venerdì, 13 giugno 2025
Un italiano a caccia di tesori nel fango del Tamigi
«Guarda avanti!», gli diceva sempre sua nonna. Ma Alessio Checconi, da bambino, preferiva volgere lo sguardo verso il basso, incantato da ciò che si nascondeva sotto le suole. A volte era una pietra, altre volte un fossile, spesso solo fango. Quel fango, decenni dopo, avrebbe cambiato il corso della sua vita. Oggi Alessio ha 45 anni, è un geologo e paleontologo di Pantalla di Todi con un dottorato in Scienze della Terra all’Università di Perugia. Da quindici anni vive a Londra lavorando per aziende che richiedono le sue competenze nella datazione delle rocce attraverso i fossili e nell’analisi stratigrafica del terreno.
Ma è stato l’istinto da bambino a trasformare una passeggiata londinese in una nuova missione di vita: il mudlarking, slang che indica chi scava nel fango per cercare reperti archeologici. Era luglio del 2020 quando, camminando sulle rive del Tamigi, notò qualcosa di particolare tra alcuni ciottoli: una pipetta di ceramica risalente al XVII secolo. Quella scoperta casuale accese in lui una nuova curiosità: scoprire i segreti nascosti nel fango del Tamigi, considerato il più grande sito archeologico a cielo aperto del Regno Unito. Proprio lì, dove nei recenti secoli ha prosperato una delle città più popolose al mondo, con quello che ne è derivato in termini di materiali di scarto e oggetti di qualsiasi genere gettati nelle acque, o anche semplicemente persi durante gli attraversamenti da una sponda all’altra.
Seguire le maree
Il Tamigi è però un fiume unico in Europa. Ogni giorno, due volte al giorno, il suo livello sale e scende anche di otto metri seguendo il ritmo delle maree. Le sponde si liberano dalle acque per alcune ore, rivelando chilometri di terreno fangoso. C’è di più: il fango del Tamigi è anossico, non contiene ossigeno. L’anossia impedisce ai materiali di ossidarsi o decomporsi, preservandosi quasi inalterati per secoli. Quel fango ha fino ad ora nascosto monete romane di oro, argento e bronzo, un pugnale vichingo, bottoni vittoriani di ossi lavorati, cinture di cuoio medievali, scarpe romane con le suole chiodate, strumenti e giocattoli in legno, perline veneziane di vetro utilizzate per la tratta degli schiavi e tanto altro. «Il mio background scientifico mi aiuta a datarli, analizzarli, interpretarli», ci racconta Checconi, «affinché possa capire il valore storico che potrebbero rappresentare».
Più di 350 dei suoi ritrovamenti sono ora esposti in Secrets of the Thames, una mostra presso il London Museum Docklands che andrà avanti fino al marzo 2026. Si tratta di un’esposizione, la prima del suo genere, che consacra il lavoro dei mudlark.
Checconi ha imparato a restaurare da sé gran parte dei materiali archeologici organici recuperati nel Tamigi, come un parabraccio medievale di pelle, di forma ottagonale, con decorazioni floreali a intarsio. «Capii subito che si trattava di qualcosa di speciale, per cui l’ho sigillato in un sacchetto da congelatore e messo in frigorifero in attesa di passarlo agli esperti del London Museum». I reperti organici, infatti, devono essere mantenuti umidi e sigillati fino all’inizio delle fasi di restauro. Il London Museum si occupa del restauro degli oggetti più importanti, mentre i cercatori come Alessio restaurano a casa tutti quei reperti che il museo non ha risorse e tempo di trattare. «Quando un oggetto è rimasto nel fango per centinaia di anni è impregnato di minerali che devono essere rimossi per garantire un restauro duraturo, soprattutto se di pelle, tessuto o osso. Io ho sperimentato un metodo piuttosto “ecologico” per eseguire questa operazione: li colloco nello sciacquone del water. A ogni utilizzo l’acqua si rinnova e, dopo qualche mese, i minerali vengono rimossi naturalmente. Al momento gli sciacquoni dei miei bagni sono pieni di suole di scarpe antiche».
Storie di vita comune
Per effettuare le ricerche è necessaria un’autorizzazione dal Port of London Authority, l’ente che definisce le normative volte a proteggere il delicato ecosistema del fiume e il ricco patrimonio archeologico. Ad esempio, non si può scavare più di 7 centimetri per evitare che si alteri troppo l’assetto delle sponde e per preservarne le strutture storiche e geologiche all’interno. La legge inglese prevede che gli oggetti ritrovati rimangano di proprietà di chi possiede il terreno. Per la porzione del fiume che attraversa la città di Londra, si tratta proprio della Port of London Authority la quale, a sua volta, lascia ai mudlark la scelta di tenere gli oggetti per sé in qualità di custodi, o donarli ai musei, ma vieta il profitto personale attraverso la vendita. Alessio Checconi ne ha migliaia a casa, custoditi nel Cabinet of Curiosities, l’armadio delle curiosità. Dal teschio di un cinghiale preistorico a un contenitore con denti umani, a coltelli medioevali, palle di cannone del XVIII secolo. E anche anelli, tra cui un Bulgari e uno di argento con cinque diamanti datato anni 70. «Ma l’oggetto al quale sono più affezionato è la scarpa di cuoio indossata da un bambino dell’epoca vittoriana, deformata lateralmente per via dello scorbuto, una malattia legata alla cattiva alimentazione. Tanta povertà in una città che era il centro del mondo. È il mio preferito perché racconta la vita dell’uomo comune, di cui non si parla nei libri di storia. A scuola dovevo memorizzare date, nomi di re e imperatori: nozioni astratte e incapaci di suscitare emozioni. Quando ho iniziato a trovare reperti appartenuti alla gente comune e a cercare informazioni su di essi, mi sono accorto che la storia non è fatta solo da grandi nomi, ma da gente come noi».
Roba da pazzi
In Secrets of the Thames è possibile ammirare anche un sigillo in vetro raffigurante una figura religiosa; secondo forma e grandezza sembra arrivare dall’Olanda, forse da una bottiglia risalente al ‘700. Ma c’è anche una moneta del 1667 incisa con il nome di John Pearce e il simbolo della sua taverna “Il Delfino”, scelta per la locandina ufficiale. Alessio è uno dei cercatori più conosciuti, grazie anche alla notorietà sui social, dove condivide gli oggetti che trova attraverso lo pseudonimo London Madlark, gioco di parole tra mudlark e mad, matto in inglese. «Credo che un po’ bisogna davvero esserlo per appassionarsi a questo hobby!»