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 2025  giugno 16 Lunedì calendario

La grande ingiustizia delle tasse sulle eredità: colpiscono di più chi riceve meno. Ecco lo studio che spiega come rimediare

Le piccole eredità diffuse diminuiscono le disuguaglianze di ricchezza, perché migliorano la condizione economica di famiglie che si collocano nella fascia intermedia della distribuzione dei patrimoni. Eppure sono tassate, in proporzione, più di quelle grandi che sulle disuguaglianze hanno un impatto negativo, con tutto quel che ne deriva in termini di minore mobilità sociale, sfiducia nelle istituzioni, indebolimento della crescita. Rimediare non sarebbe complicato, perché esiste una precisa “soglia critica” oltre la quale gli svantaggi per la società suggeriscono di aumentare il carico fiscale. Per l’Italia ammonta a 429mila euro: meno di metà rispetto alla franchigia di 1 milione di euro sotto la quale nel nostro Paese i lasciti tra coniugi e parenti in linea retta sono del tutto esentasse. A individuare quel numero chiave, utilizzando un nuovo approccio empirico, è il paper The influence of inheritances on wealth inequality in rich countries degli economisti Salvatore Morelli, Brian Nolan, Juan Palomino e Philippe Van Kerm, appena pubblicato sul Journal of Public Economics.
Le conclusioni sono preziose in una fase in cui il peso delle eredità sul reddito nazionale è in forte crescita per effetto del passaggio generazionale dai baby boomer ai loro figli e nipoti mentre la tassazione effettiva tende a diminuire. Paradossalmente “oggi circa il 70% dell’onere tributario ricade sui lasciti sotto 1 milione di euro“, ha spiegato Morelli, associato di Economia pubblica all’università Roma Tre, durante il convegno Tassazione della ricchezza: stato dell’arte, potenzialità e prospettive che si è tenuto venerdì a Roma (qui la registrazione della prima parte). “L’imposta di successione non è progressiva: su un asse ereditario di valore superiore a 10 milioni grava un’aliquota media effettiva dell’1%, identica a quella che colpisce eredità tra zero e 20mila euro“. Una macroscopica iniquità a favore dei contribuenti in condizioni più floride e dei loro discendenti, a scapito dell’erario. Oggi il gettito che deriva da quest’imposta, come ha ricordato Francesco Figari che insegna Scienza delle Finanze all’università del Piemonte orientale, si ferma sotto lo 0,07% del pil, circa 900 milioni di euro l’anno. Tra i più bassi dell’Ocse. La Francia, dove la pressione fiscale complessiva è simile a quella italiana ma si concentra molto di più sulle successioni e meno sui redditi, ne ricava 21 miliardi.
Ma le storture del sistema non finiscono qui: il nuovo studio di Morelli, Nolan, Palomino e Van Kerm rivela che in Italia, vero e proprio paradiso fiscale per gli eredi, grazie alle elevate franchigie la maggior parte dei lasciti superiori al 95esimo percentile della distribuzione nazionale – oltre i 429mila euro appunto – e che in quanto tali risultano avere effetti negativi sulla distribuzione della ricchezza non è soggetta ad alcuna tassazione. Una situazione che ci accomuna solo agli Stati Uniti, dove all’epoca della raccolta dei dati usati nell’analisi non si pagava nulla fino a 5 milioni (oggi la soglia è più che raddoppiata) anche se la soglia oltre la quale emerge un aumento del coefficiente di Gini che misura la disuguaglianza è di 507mila dollari. In Germania e nel Regno Unito, al contrario, le soglie di esenzione dall’imposta di successione per i figli – circa 400mila euro e 325mila sterline rispettivamente, nell’anno della survey – sono vicinissime alle cifre oltre cui le eredità risultano accrescere le disuguaglianze (395mila euro e 343mila sterline rispettivamente). In Francia e in Spagna, poi, è esentato solo chi eredita meno di 160.000 euro e 16.000 euro, a fronte di soglie critiche rispetto all’impatto sulla disuguaglianza molto più alte (295mila e 173mila euro).
Nonostante l’evidente necessità di un riequilibrio, nella Penisola qualsiasi ipotesi di ritocco alle norme che regolano le successioni si è rivelata finora kriptonite elettorale. Enrico Letta qualche anno fa, da segretario Pd, ha provato a portare il tema al centro dell’agenda politica, con scarsissimo successo. Morelli, da accademico, sta ai numeri. E calcola come cambierebbero le cose se si seguisse la strada proposta dal Forum disuguaglianze e diversità, a cui lo stesso Letta si era in parte ispirato. Si tratta di prendere come base imponibile i “vantaggi ricevuti” nel corso di tutta la vita a titolo di donazioni o successioni, valutando gli immobili al valore di mercato (al posto delle obsolete rendite catastali) ed eliminando i regimi di favore sulla base della parentela. E tassare la cifra finale con tre aliquote differenziate per scaglioni: 5% da 500mila euro a 1 milione, 25% da 1 a 5 milioni, 50% oltre i 5 milioni. Contro il 4% attuale sui trasferimenti in favore del coniuge o di parenti in linea retta che superino 1 milione di euro (6% tra fratelli e sorelle per valori superiori a 100mila euro).
La soglia di esenzione, aggiunge il docente, andrebbe ridotta e portata intorno ai 500mila euro, cioè il valore oltre il quale come visto i trasferimenti aumentano le disuguaglianze di ricchezza. “In questo modo si otterrebbe un’imposta ottimale anche dal punto di vista dell’equità, ribilanciando il peso dell’onere: il 90% andrebbe sui lasciti superiori a 1 milione“. Non un’impostazione punitiva, ma una strategia di riequilibrio. Su un lascito di 1 milione, tolta la franchigia, si pagherebbero 25mila euro, il che ridurrebbe la disparità di tassazione rispetto alla stessa cifra guadagnata da un lavoratore dipendente nel corso della vita (in quel caso tra Irpef, addizionali e contributi si versano 400mila). La nuova architettura consentirebbe tra l’altro di “ridurre da 76mila a poco più di 43mila l’anno il numero di persone colpite” facendo al tempo stesso salire il gettito: “Tenendo conto anche della possibile evasione ed elusione, potrebbe arrivare a 5 miliardi l’anno“. Risorse che potrebbero essere investite nel sostegno alle famiglie, nella sanità, nel contrasto alla povertà.