il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2025
Fronda interna, bande filo-Israele e solo 30 capi: Hamas assediata
Israele ha confermato la morte di Mohammed Sinwar, numero uno di Hamas a Gaza. Il suo corpo è stato trovato “in un tunnel sotterraneo sotto l’Ospedale Europeo di Khan Younis”, secondo quanto comunicato l’8 giugno dall’esercito israeliano (Idf). Sinwar sarebbe rimasto ucciso il 13 maggio in un raid aereo, insieme al capo della brigata di Rafah, Mohammed Shabaneh. In meno di un anno, Hamas ha perso il suo leader militare, Mohammed Deif (ucciso il 13 luglio 2024), il leader politico, Ismail Haniyeh (morto a Teheran il 31 luglio 2024) e il leader a Gaza, Yahya Sinwar (ucciso a Rafah il 16 ottobre 2024), che era succeduto a Haniyeh alla guida del movimento. I tre uomini, artefici degli attacchi del 7 ottobre 2023, erano nel mirino del procuratore della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, che aveva chiesto un mandato di arresto contro di loro per crimini di guerra e contro l’umanità. Mohammed Sinwar, 50 anni, non ha avuto il tempo di acquisire la notorietà del fratello maggiore, Yahya Sinwar. Ma “la sua morte contribuisce al progressivo declino del movimento militare nella Striscia di Gaza -, osserva Sarah Daoud, ricercatrice al Centro di ricerche internazionali (Ceri) di Sciences Po, a Parigi, e al Centro di studi economici, giuridici e sociali (Cedej) del Cairo -. A prendere le decisioni, resta solo una trentina di dirigenti e, in termini di armi, secondo i servizi segreti israeliani, nella Striscia restano meno di 10.000 Kalashnikov”. Israele sostiene di aver ucciso 20.000 combattenti, ma il dato è impossibile da verificare. Lo storico Jean-Pierre Filiu, che ha trascorso un mese a Gaza, dal 19 dicembre al 21 gennaio scorsi (mentre Israele vieta l’ingresso ai giornalisti stranieri da venti mesi), sostiene che, secondo “fonti israeliane”, gli uomini uccisi sono circa 8.500. Fonti del Congresso degli Stati Uniti hanno inoltre riferito all’agenzia Reuters, a inizio anno, che Hamas ha “reclutato tra i 10.000 e i 15.000 membri” dal 7 ottobre.
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“Poiché i contatti tra i combattenti sono difficili, il comando è decentralizzato – spiega Reham Owda, politologa palestinese che vive in esilio in Turchia -. Chiunque può proclamarsi leader, tanto il combattente esperto che la giovane recluta. È così che Hamas ha continuato a resistere fino ad oggi”. Il movimento conserva il controllo di alcune zone di Gaza, continua ad avere dei funzionari, ad amministrare in parte il settore della sanità e a gestire le comunicazioni di alcuni ministeri, oltre che a mantenere la sicurezza nell’enclave. “Hamas si sta concentrando ora sulla caccia ai saccheggiatori, alle bande e ai collaboratori”, afferma Reham Owda. A novembre, il movimento islamista ha annunciato di aver ucciso una ventina di persone accusate di saccheggio. Allo stesso tempo, il Financial Times ha riferito che uomini sospettati di furto sono stati feriti, sparati al ginocchio, dalle forze di sicurezza legate ad Hamas, che stavano cercando di regolare i prezzi dei prodotti alimentari sui mercati. Da parte sua, Israele, che sta distruggendo campi e fattorie, tenta di approfittare della crescente insicurezza nella regione. Il 6 giugno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha riconosciuto, “su consiglio dei servizi di sicurezza”, di aver “attivato i clan che a Gaza si oppongono ad Hamas”. Il giorno prima, l’ex ministro della Difesa, passato all’opposizione, l’ultranazionalista Avigdor Liberman, in un’intervista alla radio pubblica israeliana, aveva accusato il governo di aver fornito “fucili d’assalto e armi leggere a dei clan di famiglie di Gaza”. In realtà, il legame si sarebbe fatto con la banda di Yasser Abu Shabab, originario di Rafah, rinnegato dalla sua stessa famiglia, che ha confermato i contatti con le forze israeliane. I precedenti tentativi israeliani di accattivarsi il favore di influenti famiglie di Gaza non avevano portato a nulla. Yasser Abu Shabab, capo di una milizia chiamata “Forze Popolari”, è un ex trafficante di droga condannato e imprigionato a Gaza prima del 7 ottobre, e tornato libero durante un bombardamento israeliano della prigione. Già nel novembre 2024, il giornalista palestinese Rami Abou Jamous aveva descritto la complicità tra queste bande e l’esercito israeliano sul media online Orient XXI. “È sempre lo stesso scenario: gli israeliani obbligano i camion a passare per strade vietate alla popolazione di Gaza, tranne che per gli uomini di Abu Shahab, che li aspettano, spesso con armi nuove di zecca. L’obiettivo di Israele è evidente: seminare il caos”, ha denunciato Rami Abou Jamousi. Ma i palestinesi di Gaza non si lasciano ingannare: “Sappiamo riconoscere chi collabora e chi è nostro fratello – scrive il giornalista -. È possibile che un fratello commetta errori e che ci trascini in una guerra senza fine. Ma quel fratello muore con noi e vive il genocidio con noi. Abu Shabab e i suoi uomini invece lavorano per gli occupanti”. Hamas aveva già perso gran parte della sua popolarità nell’enclave prima del 7 ottobre, soprattutto a causa dei suoi metodi autoritari e del suo nepotismo. Dal marzo 2024 è sceso ulteriormente nell’opinione pubblica.
Molti a Gaza rimproverano al movimento di aver scatenato una guerra contro Israele in cui i civili stanno pagando il prezzo più alto (quasi 55.000 palestinesi uccisi in venti mesi). Questa rabbia popolare si è espressa nelle manifestazioni di fine marzo, violentemente represse dal movimento islamista, che ha fatto ricorso a “minacce, intimidazioni, interrogatori e pestaggi”, secondo la Ong Amnesty International.
Il movimento islamista resta comunque più popolare dell’Autorità Palestinese, associata a Fatah, un’organizzazione ancora più corrotta, la cui legittimità è stata macchiata dalla collaborazione con l’occupante israeliano. In assenza di elezioni legislative o presidenziali, il Palestinian Center for Policy and Survey Research sonda l’opinione pubblica palestinese tre o quattro volte l’anno. Secondo l’ultimo studio, pubblicato i primi di maggio, Hamas è sostenuto ancora dal 32% degli intervistati, contro il 21% per Fatah. La sua popolarità è in lieve calo in Cisgiordania e in leggerissimo aumento a Gaza. “Questa popolarità, riflette un sostegno dei palestinesi soprattutto alla lotta armata – osserva Sarah Daoud -. Dalla sua creazione, nel 1987, Hamas è diventato centrale all’interno del movimento nazionale palestinese. Per questo è stato più volte ripetuto che non sarebbe scomparso facilmente”.
Il paradosso è che Hamas resta il solo a potersi confrontare con Israele sul terreno politico. I suoi leader si aggrappano all’idea di un accordo di cessate il fuoco “di almeno dieci anni nella Striscia di Gaza, con la garanzia che non ci sarà nessuna evacuazione forzata dei palestinesi e un ritorno alla governance politica palestinese”, aggiunge ancora Sarah Daoud. Il movimento islamista ha già chiarito che non intende governare Gaza, ma rifiuta per il momento di deporre le armi. Hamas “ha bisogno di mantenere un po’ di credibilità, finché non gli viene offerta una via d’uscita – afferma Reham Owda -, ma non ha carri armati, né aerei da combattimento”. Il politologo palestinese ritiene che una soluzione accettabile per tutti sia quella che degli Stati arabi garantiscano la sicurezza dell’enclave, come suggerito dal piano presentato dalla Lega Araba all’inizio di marzo, che propone la creazione di una forza internazionale sul modello delle forze di pace delle Nazioni Unite in Cisgiordania e a Gaza. Sul piano diplomatico l’azione dell’Autorità palestinese è quasi inesistente: “Il riconoscimento dello Stato di Palestina non metterà fine al genocidio”, aggiunge Reham Owda. Se l’ala militare di Hamas verrà smantellata, si dovrà trovare una soluzione per esfiltrare i suoi leader. Per questo, il movimento palestinese sta già negoziando con alcuni Paesi, tra cui il Qatar. Che posto dare invece, dopo la guerra, alla sua ala politica, che non potrà essere semplicemente cancellata dalla scena palestinese? La conferenza sulla soluzione dei due Stati alle Nazioni Unite prevista per domani avrebbe potuto fornire risposte. Ma il nuovo fronte della guerra Israele-Iran ha imposto un rinvio. Il destino dei palestinesi può aspettare.