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 2025  giugno 16 Lunedì calendario

Israele, l’economia rischia la crisi? Deficit “fittizio” e crollo degli investimenti: i possibili effetti di una guerra di logoramento

Il regime degli Ayatollah in Iran rappresenta da oltre 40 anni una minaccia costante per Israele. Negli ultimi decenni, la lunga ombra di Teheran si è trasformata nella principale fonte di instabilità geopolitica per lo Stato ebraico, incidendo in modo diretto sul premio di rischio (la “ricompensa” che gli investitori richiedono per sopportare un’incertezza maggiore) che pesa enormemente sull’economia di Tel Aviv. Per questo motivo, ogni considerazione economica futura deve partire da due possibili scenari che potrebbero svilupparsi a seguito dello scoppio della guerra. L’analisi è stata effettuata incrociando diversi dati riportati da Haaretz e dal portale CTech.
Se la minaccia iraniana venisse effettivamente neutralizzata, Israele potrebbe inaugurare una nuova fase storica. Gli indicatori macroeconomici tornerebbero a crescere, soprattutto grazie alla ripresa degli investimenti. Ancora più rilevante potrebbe essere una riduzione del disavanzo pubblico e del debito, accompagnata da un miglioramento immediato del rating creditizio. La presenza dell’Iran, come detto, è infatti il principale fattore che gonfia il premio di rischio del Paese. Se questo sparisse – in un modo o nell’altro – anche le spese per la difesa potrebbero ridursi nel lungo periodo, o almeno non crescere ulteriormente, smentendo le previsioni della Commissione Nagel.
Sul piano prettamente finanziario, un calo del premio di rischio significherebbe anche tassi d’interesse più bassi sul debito pubblico. È vero che i CDS israeliani (credit default swap, termometro del rischio-Paese) sono saliti del 14,5% la scorsa settimana, ma erano già influenzati dalle voci di guerra. Se però l’Iran dovesse davvero uscire dalla scena, questi valori calerebbero – forse non ai livelli pre-7 ottobre, ma comunque in modo significativo.
Certo, ci sarebbe un impatto economico immediato dovuto all’intensificarsi del conflitto, con perdita temporanea di PIL. Tuttavia, una forte ripresa nella seconda parte dell’anno potrebbe compensare quel danno. Resta però una grande incognita: Gaza. Se il governo Netanyahu–Smotrich decidesse di occupare stabilmente la Striscia, lo scenario ottimistico verrebbe spazzato via. I costi dell’occupazione militare renderebbero impossibile ridurre le spese per la difesa, impedendo la discesa del debito e frenando gli investimenti. Inoltre, Israele, già sotto pressione internazionale, rischierebbe un ulteriore isolamento, difficile da sostenere per una piccola economia aperta come la sua.
Secondo scenario: Guerra lunga, rischio crisiImmaginiamo un conflitto prolungato, con l’Iran fiaccato ma ancora operativo e deciso a trascinare Tel Aviv in una lunga guerra di logoramento, sul modello Iran–Iraq degli anni Ottanta. Una campagna estenuante, che prosciuga risorse e impone spese militari elevate e costanti. In questo contesto, il premio di rischio non diminuirebbe. Il deficit e il debito pubblico continuerebbero a salire. Le forti entrate fiscali attuali potrebbero tamponare solo nel breve periodo. Va ricordato che il governo ha già esaurito tutte le riserve di bilancio, e il deficit dichiarato del 4,9% è, di fatto, fittizio: questa guerra non è stata pianificata né finanziata.
Declassamento del rating: punto di rottura?Se il conflitto si prolungasse quindi gli effetti sull’economia sarebbero devastanti: crollo degli investimenti, stagnazione della crescita e perdita di stabilità fiscale. Un ulteriore declassamento del rating creditizio è un rischio concreto. Questo renderebbe più difficile per Israele raccogliere capitali sui mercati esteri, costringendo a tagli dolorosi alla spesa civile – già oggi ben al di sotto della media OCSE – e a inevitabili aumenti delle tasse, anche in presenza di una crescita moderata nel 2025. Tutti questi elementi messi insieme rischiano di portare l’economia israeliana verso un punto di rottura. E se Netanyahu continuerà a inseguire le visioni ideologiche di Ben Gvir e Smotrich a Gaza, il collasso potrebbe arrivare proprio dal fronte fiscale.