La Verità, 15 giugno 2025
Dalle caverne neolitiche fino allo zar. Ne hanno fatta di strada le lumache
Di chiocciole era ghiotto papa Pio V, il principe De Talleyrand le offrì ad Alessandro I Romanov. Le loro uova possono essere servite come caviale oppure trasformate in salume da affettare. E con la bava si diventa belli.
Sono state silenziose compagne di vita dell’uomo, da sempre. Testimoni i loro gusci nelle caverne del Neolitico. Apicio riservò loro alcuni passaggi nel suo De re coquinaria, magnificandole tra le golose lussurie del tempo. E poi vennero i tempi bui, quelli del Medioevo, preda di caccia dall’incedere lento, anche se un primo riscatto avvenne nel Rinascimento grazie a Pio V, inconfessabile goloso, che le rivalutò quali carne di magro nei periodi di digiuno e quaresimali e, seppur vivendo lontane dalle reti da pesca, valorizzate al meglio: «Estate pisces in aeternum>> (siate pesci per sempre).
Il cambio di passo definitivo avvenne nel 1814, grazie al principe Charles de Talleyrand che le propose, golosa leccornia, allo zar Alessandro I in missione transalpina. Tuttavia, nonostante questi quarti di nobiltà golosa, furono sempre presenti nella medicina popolare, quale ad esempio quella siciliana dove pestate e miste a un po’ di lievito, tornavano utili quali impacchi nelle congiuntiviti mentre con l’acqua rimasta dopo la cottura si preparavano dei decotti per combattere mal di gola o di stomaco.
Sono state testimoni, da sempre, di tradizioni secolari lungo tutta la Penisola. I babbaluci di Santa Rosalia a Palermo, con i devoti intenti nel rito laico della sucata, ovvero l’appropriarsi dell’innocente mollusco, impregnato di aglio e prezzemolo, per liberarlo dal guscio, la loro piccola casa ambulante. Oppure le lumache di San Giovanni a Roma, nella notte del 23 giugno, per non parlare della fiera dei Bogoni, la più antica, tra i colli veronesi di Badia Calavena, che affonda le radici nel Xlll 0 secolo.
Cambiano i tempi e le tecnologie, ma la chiocciola (o lumaca che sia) resta sempre sugli scudi dell’umana utilità. Qualcuno casualmente notò che le mani degli elicicoltori erano insolitamente morbide e prive di quelle ruvidezze tipiche di chi ha a che fare con la terra mane e sera. Da lì la scoperta che il loro secreto (detto anche bava) poteva tornare utile nella moderna cosmesi. Elasticizzante, idratante, oltre che ricostituente. Uno dei motivi per cui, negli ultimi anni, il mercato delle lumache ha avuto un forte impulso, con una ricaduta anche sul consumo goloso e la scoperta di nuovi orizzonti. La prima intuizione è di una ventina di anni fa: leggenda racconta l’opera di due contadini del Nord della Francia che scoprirono come le uova di lumaca potevano essere intrigante succedaneo delle più blasonate uova di storione, dette volgarmente caviale.
Da cosa nacque cosa e, nel 2006, tre intraprendenti giovanotti palermitani, Davide Merino, Giuseppe e Michelangelo Sansone, cominciarono ad annusare che questa novità poteva aprire nuove frontiere. Una serie di peregrinazioni oltre confine per capire le regole del gioco e così prese avvio un’avventura che oggi è un esempio di nuova imprenditoria illuminata, ovvero le lumache delle Madonie con sede a Campofelice di Rocella tanto da diventare i principali produttori di questa piccola specialità di nicchia. Una premessa necessaria: se, un tempo, le lumache erano cibo di sussistenza nelle campagne, è anche vero che sono dotate di una naturale resistenza agli agenti tossici esterni. Non solo batteri o parassiti ma, ad esempio, a Chernobyl, le uniche a resistere all’esplosione nucleare furono proprio le lumache. Per cui, con le moderne tecniche agricole, possono diventare una... bomba a orologeria, tossica per l’uomo.
Ecco, allora, che i nuovi allevatori madoniti crearono attorno a loro una cintura di sicurezza, un allevamento protetto che, in un naturale ambiente ideale (sole, terreno per nulla argilloso), prevedeva la coltura di specie vegetali a loro consone (trifoglio, bietola verde, colza), diversamente dagli allevamenti intensivi in uso all’estero, a base di mangimi. Dopo le innegabili difficoltà iniziali, ne è nato un prodotto dalle qualità organolettiche ideali ma che, soprattutto, ha permesso di espandere progressivamente una nicchia sino allora inesplorata, ovvero le uova di lumaca che, anche per il loro aspetto madreperlaceo, nella vulgata hanno assunto il termine di caviale. Il protocollo è rigoroso. Vengono selezionati gli esemplari migliori i quali hanno le loro esigenze. Le lumache, infatti, sono specie ermafrodita incompleta, ovvero possiedono entrambi gli organi riproduttivi, ma devono accoppiarsi per la necessaria inseminazione. Un rito di alcune ore. In cambio, ognuno poi produce le sue uova. Procedura laboriosa, che richiede alcune ore di... «produzione espressa», in quanto l’accogliente guscio non è in grado di contenere il prodotto ovarolo.
Uova che vengono lavate accuratamente, immerse nel sale per interrompere l’incubazione e sterilizzarle. Il tutto rigorosamente eseguito a mano.
Successivamente si procede a confezioni in barattoli di vetro mediamente da 50 grammi per un prodotto che può durare circa 6 mesi. Ecco nascere le perle delle Madonie, alias uova di lumaca. La Lumaca Madonita, oramai, è diventato un marchio di garanzia, con i tre titolari che si sono resi disponibili a fare da traino nell’addestrare e poi seguire coloro i quali desiderano intraprendere questa singolare avventura. Sono oramai circa 1. 500 le piccole attività che hanno preso piede in questi anni, di cui la maggior parte all’estero. In Italia, oltre alla lumaca madonita, si trovano buoni riferimenti nel Torinese, nel Cremasco, come pure troviamo le perle dell’Etruria e quelle sarde. Un esempio di coltura mirata premiata dalla stessa Coldiretti con l’Oscar green per l’innovazione tecnologica nel 2013.
Il 90% prende le vie dei mercati esteri, Francia e Spagna in primis. Non poteva rimanere indifferente la cucina a questa innovazione che ha permesso di esplorare nuovi percorsi lumacosi. Sono di grande impatto all’occhio, per poi divertire al gusto quando, schiacciandole, si percepisce un mix di sentori erbacei e minerali, accompagnati da una consistenza vellutata e cremosa. Attenzione alla temperatura di servizio, che si raccomanda non superare i 2°, tanto da essere accompagnate da posate di porcellana e, al tavolo, servite su un contenitore di vetro con del ghiaccio tritato posto in un piccolo vassoio sotto la ciotola stessa. Primo loro ambasciatore è Carlo Cracco, con i suoi pàche (una sorta di paccheri trentini) con lingua di vitello tagliata a julienne, una melassa di cipolla e l’originale tocco in più con il caviale di lumaca. Nonostante l’abbinamento più semplice sia sopra un crostino di pane con un velo d’olio e quello elettivo con pesce crudo, sono seguite poi varie proposte ad opera di chef che si sono misurati con questa nuova leccornia, alternativa al più classico caviale conosciuto. Come il siciliano Giovanni Guarnieri con la vellutata di melanzane e ciliegina di Pachino o Pietro d’Agostino che, all’ombra dell’Etna, le propone con varianti di pesce crudo, capperi di Salina, marmellata di agrumi e sale di Mothia.
Lumaca aristocratica nella versione al caviale, ma anche più terragna, ovvero a salume. Una antica tradizione è stata ripescata nella marchigiana Pianello di Cagli, dove da anni, la terza domenica di giugno, si svolge la tradizionale sagra della lumaca. Un tempo, quando nella stagione invernale le lumachine erano in letargo, le mettevano a frollare nel budello di maiale coccolate da lardo per ripescarle, poi, a degno consumo. Ora la tradizione è risorta e questa originale salamella prevede, oltre all’integrazione con un po’ di macinato suino, l’abbinamento con quelle erbe di cui le lumachine in vita sono solite nutrirsi. Non poteva mancare il tocco finale, per brindare al tutto con il liquore di lumaca, una felice intuizione nella casertana masseria Picone: «Abbiamo rispolverato una vecchia ricetta di rosolio della nonna» addizionato, stavolta, con gli umori delle lumache messe a macerare una volta bollite e amalgamando poi il tutto con un poco di latte e zucchero. Chi l’ha provato
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