corriere.it, 15 giugno 2025
Il romanzo della maglia nera del Giro: dal tormentone-radio di Garinei e Giovannini all’antifascismo del paròn Torriani. Citata ufficialmente la mattina della Cuneo-Pinerolo (e poi mai più)
Sì certo, in apparenza è tutto noto: Luigi Malabrocca che si nasconde lungo il percorso per farsi superare da Sante Carollo. Una sosta al bar, uno stop dietro un cespuglio o un fontanile, addirittura in un fienile. C’è pure «Nani» Pinarello che architetta trovate simili. Eppure nel romanzo celebre della maglia nera, quella dell’ultimo arrivato al Giro, certe domande fondamentali sono tuttora senza risposta, chiuse in un mistero che vira verso una spy-story in bilico tra guerra di Liberazione e antifascismo: come nacque? Da chi fu introdotta? Perché quel colore? Quella definizione – maglia nera – quando entrò nel parlato degli italiani? E poi: chi l’indossava veniva premiato sul podio?
Dino Buzzati, Gianni Brera, Giorgio Fattori
Prima di addentrarci in certi archivi – ma accompagnati per mano da «guide» come Dino Buzzati, Gianni Brera, Giorgio Fattori – va detto che alcune risposte decisive e sorprendenti arrivano da Pietro Garinei, con Sandro Giovannini colossale figura dello spettacolo e della cultura italiani. L’intervista che consente di dipanare gran parte di questo canovaccio è custodita presso le Teche Rai, il «museo» del nostro immaginario televisivo diretto da Carla Consalvi.
Garinei & Giovannini
E dunque eccolo, Pietro, che a metà degli anni Novanta è al microfono di Radiodue per rievocare i tempi belli e indimenticabili della «ditta» messa in piedi con Giovannini. Radio, varietà, commedie a decine. E il loro esordio, prima della guerra, come giovanissimi cronisti: l’uno alla Gazzetta dello Sport, l’altro al Corriere dello Sport. Poi l’amicizia, fraterna e inossidabile.
«La nostra proposta alla Rai»
Voce allegra e pastosa, cadenza solo un filo romana, Garinei racconta di quando «venne fuori il nostro passato di giornalisti sportivi e proponemmo alla Rai di mandarci al seguito del Giro che riprendeva dopo la parentesi di guerra e con una trasmissione che ogni sera, dalle 7 e mezza alle 8, in una mezz’ora di varietà, commentava allegramente la tappa».
«Così facemmo imbestialire la Gazzetta»
L’anno era il 1949 e la corsa rosa era alla trentaduesima edizione. La trasmissione, epocale e seguitissima, in un’Italia in cui solo dalla radio e dalle edicole passava l’informazione, si chiamava «Giringiro». Fu lì che «inventammo la storia della maglia nera che fece un po’ imbestialire la Gazzetta dello Sport». Garinei si ferma, sorride, prosegue, detta i tempi come se stesse sceneggiando una delle commedie musicali della coppia, da Rugantino ad Aggiungi un posto a tavola ciascuno scelga la sua preferita. Poi spiega: «Cioè: la maglia nera era il premio all’ultimo in classifica e Vincenzo Torriani e Armando Cougnet», gli inventori del Giro, «dissero: “ma come, noi fatichiamo tanto, tutto lo sport vive sul primo arrivato e voi andate ad inventare un premio per l’ultimo arrivato?... Però il pubblico cominciava a starci, cominciava a simpatizzare, arrivavano premi per la maglia nera, quasi sempre premi in roba da mangiare e la maglia nera era un certo Malabrocca che veniva però insidiato vivacemente da un altro corridore che si chiamava Carollo».
«Una nobile gara con un nemico: il tempo massimo»
Andiamo avanti con lo strepitoso racconto di Pietro: quella per la «maglia nera» «era una nobile gara per chi arrivava ultimo e tra l’altro il loro nemico era il tempo massimo perché se arrivavano fuori tempo massimo venivano sbattuti fuori. Allora questi due si nascondevano per evitare che l’avversario si rendesse conto di quando stavano arrivando ed era la parte comica». Quanto alla trasmissione, «si faceva dagli alberghi, dalla sede locale della Rai, qualche volta in una specie di camper e arrivavano questi testi che cominciavamo a fare anche durante la corsa, c’erano le solite belle poesie di Sandro, insomma era un modo insolito di affrontare il commento del Giro».
Fantasia al potere come in «Alto gradimento»
Presso le Teche Rai esistono spezzoni – pochi, putroppo – di quella trasmissione. Che va un po’ immaginata: musica, battute, tormentoni, improvvisazioni come in Alto Gradimento, il cult di Arbore & Boncompagni. Fantasia al potere. Garinei & Giovannini scrivono di getto, se non stanno nel furgoncino Rai bussano in case private, addirittura «sequestrano» le pievi vicine al traguardo, magari con organi e pianoforti. Vengono intervistati i corridori, sicuramente Coppi, Bartali, Magni e le foto consegnate dall’archivio del Radiocorriere – sempre Teche Rai – sono lì a certificarlo. Probabilmente queste interviste sono anche agli ultimi, i derelitti del fondo classifica. Appunto Malabrocca, Carollo, Pinarello. Tra gli animatori del Giringiro ci sono il comico Raffaele Pisu e Nino Taranto con le sue gag. Compare il Quartetto Cetra. C’è anche l’attrice e cantante «Isa Bellini che inventò la voce della Maglia Rosa – è ancora il ricordo di Garinei —; tutte le sere dava la buonanotte ai corridori e gli prometteva, con il sottofondo della canzone La Vie en Rose, un aiuto per la tappa del giorno dopo».
Il tormentone
Il tormentone maglia nera – che s’è inventato oggi Malabrocca? E Carollo come ha risposto? – nasce qui, trasmissione dopo trasmissione, rilanciato via etere dal programma Rai, appassionando gli italiani. Eppure parte del mistero resta. Nonostante il traino radiofonico, in quel 1949 Malabrocca e il romanzo delle sfide tra ultimi al Giro erano, da tempo, un feuilletton già celeberrimo da tempo e a raccontarlo alla Gazzetta sarà proprio Fausto Coppi. E appunto: prima? Prima che era successo?
Coppi: «La gente applaude me, Bartali e Malabrocca»
Attenzione però: da qui in poi ogni riga che verrà scritta trova il suo fondamento all’archivio Rcs di Crescenzago, quello che conserva tutte le copie del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport. Proprio dalla lettura della «Rosea» viene una prima curiosa scoperta: tra il 1947 e il 1951 la definizione «maglia nera» compare — ed è davvero sorprendente – solo una volta. Vedremo tra poco come e perché; e sarà la svolta in questo romanzo. Nel frattempo torniamo alla Gazzetta e a Fausto. Sfogliamo l’edizione del 30 maggio 1948. Tappa del Giro riservata ai velocisti, la Perugia-Firenze. Al traguardo Giorgio Fattori – cronista, allora giovanissimo, al seguito della corsa per dei pezzi che oggi definiremmo di colore e destinato a una favolosa carriera tanto da diventare presidente Rcs – ferma il Campionissimo per due chiacchiere. Ne viene fuori un pezzo in «prima» titolato così: «Il vantaggio di essere ultimi». Fausto ridacchia e dice: «Molte e disegualmente faticose sono le strade per la celebrità. Quando passiamo per una regione, o ci esibiamo su una pista, la folla vuol subito applaudire me, Bartali e Malabrocca». Il «comincio» dell’articolo è con un autoironico «pregevole gioco di parole»: «chi sarà quest’anno la maglia... brocca?». Che però – è del tutto evidente – la Gazzetta non ha ancora battezzato come il vessillo «nero» del fine classifica.
«Le sagome degli impolverati carneadi»
Malabrocca (ultimo ai Giri del 1946 e 1947) è citato altre volte, per esempio quando – 8 giugno 1947 – sprinta, in Romagna, per un traguardo a premio davanti ai tifosi radunati al «Caffé sport che non distinguono— è sempre Fattori a dirlo – le famose sagome dagli impolverati carneadi che arrancano alla contesa del successo. “Malabrocca”, dicono con aria un po’ triste e stordita, “ha vinto Malabrocca” e nella confusione e nel segreto avvilenti non fanno neppure in tempo a intravvedere la maglia rosa».
Il trafiletto sulla Gazzetta prima della Cuneo-Pinerolo
Ma ecco i tamburi che rullano: 9 giugno 1949, giorno della Cuneo-Pinerolo, tappa leggendaria che ha segnato la storia dello sport. Cinque i colli, tra cui Vars e Izoard, in Francia. Coppi rifila distacchi abissali a tutti, compreso Bartali che arriva secondo. Negli articoli di anticipazione della corsa, la Rosea parla finalmente di «maglia nera». Definizione che compare in un trafiletto che riportiamo per intero perché contiene veramente tutto, o quasi. Eccolo: «La ditta Tizzoni di Nerviano, che fabbrica la maglia rosa e bianca per gli atleti del Giro, ha iniziato, a partire dalla tappa Genova-Sanremo, la consegna di una terza maglia che spetta di diritto all’ultimo della classe: Sante Carollo. La singolare iniziativa di voler premiare con una maglia simbolica anche l’atleta che fatica in coda è nata alla Tizzoni appunto leggendo nelle cronache del Giro che per celia si era parlato di distinguere l’ultimo in classifica con il simbolo nero». E ancora: «Tizzoni, sportivo autentico, ha raccolto l’idea, ha fabbricato la prima maglia ed è corso a Genova a farla indossare a Carollo. Così è nata l’idea della maglia nera». Non bastasse, ecco il riferimento a Giringiro – sovente citato dalla Gazzetta in quei giorni – che stava inondando l’etere nazionale con i racconti, tra humour e parodia, provenienti dal fondo del gruppo. Tizzoni consegnerà – si legge ancora nel trafiletto – una maglia rosa proprio a Isa Bellini «che segue la carovana del Giro».
E Buzzati: «La maglia nera in realtà non esiste»
Curioso: alla vigilia della Cuneo-Pinerolo, l’8, sul Corriere è l’inviato Dino Buzzati a «sdoganare» la «maglia nera» sul nostro giornale. Lo fa da par suo, da fuoriclasse del giornalismo, con una sintesi che è acqua di fonte: «Il possesso della maglia nera, che in realtà non esiste, procura, oltre a una simpatica popolarità, ben diecimila lire al giorno offerte da mecenati di cuore tenero». Ma perché, a dire di Dino, non esisteva quella maglia? Forse, ipotizziamo, perché se ne parlava solo via etere: appunto a Giringiro. E poi nei bar Sport e lungo le strade assiepate dai tifosi.
Torriani partigiano con Eugenio Cefis
Siamo quasi alla fine del racconto. Ma resta ancora un mistero e non è detto che non sia il più affascinante. Un mistero che purtroppo non può – almeno per ora – essere svelato con l’ascolto alle Teche Rai di ciò che resta degli spezzoni di Giringiro. Dunque: perché proprio il colore nero venne associato all’ultimo in classifica?
Certi (grandi) storici non hanno dubbi. Fu per le convinzioni politiche di Vincenzo Torriani, il vulcanico direttore del Giro a cui si deve la rinascita della corsa rosa nel dopoguerra, che «fu radicalmente anticomunista e antifascista» scrive Sergio Giuntini – presidente della Società italiana di storia dello sport – nella sua trascinante e dettagliatissima biografia dedicata al paròn della corsa e all’Italia della ricostruzione. John Foot, in «Pedalare!», aggiunge: «Decidendo che l’ultimo classificato dovesse indossare una maglia nera gli organizzatori stavano sottolineando il fatto che il fascismo era finito». «Probabilmente nella scelta del colore», continua lo storico britannico, «ci fu lo zampino» di Torriani che diede al tutto una «valenza ironica». Infine Mimmo Franzinelli, sconfinato conoscitore dei segreti del fascismo, ci dice qualcosa in più ( non da poco, però) su Torriani: che durante la guerra (è il racconto in «Il Giro d’Italia») rifiutò di aderire alla Rsi, rifugiandosi in Svizzera. Ma qui si mosse come uno «007» al servizio del Comitato di Liberazione nazionale; mantenne contatti importanti con antifascisti dello spessore di Amintore Fanfani e Luigi Einaudi, senza contare le rischiosissime missioni attraversando il confine italo-elvetico per scortare due capi della Resistenza: don Gnocchi ed Eugenio Cefis, futuro presidente dell’Eni.
Ottavio Tizzoni, il «sarto» della maglia nera (pure lui partigiano)
Ora però vien da chiedersi; ma è possibile che Ottavio Tizzoni, il vulcanico titolare del maglificio di Nerviano, avesse cucito quella casacca nera all’insaputa di Torriani? Difficile immaginare una tale autonomia da parte di questo imprenditore dalle mille idee – lavorò anche per il Tour oltre ad essere titolare di svariati brevetti – con un poderoso passato, pure lui, di ex partigiano tra l’Ossola e Milano, gli stessi luoghi in cui si muoveva (e chissà se è una coincidenza) «Alberto», il nome di battaglia di Cefis. «Nonno conosceva Torriani e stando a quel che mi dice mia madre Luciana il contatto fu Learco Guerra, il grande campione degli anni Trenta e ct della nazionale nel dopoguerra» ricorda adesso l’ingegner Vittorio Giola, il nipote di Tizzoni che oggi lavora ai Beni culturali occupandosi di Pnrr. «Da quel che so, Torriani aveva un piglio dittatoriale, si doveva fare come diceva lui e non so quanto fossero tranquilli i rapporti con nonno Ottavio, amico tra l’altro del campione svizzero Hugo Koblet. Di sicuro con il paròn del Giro lo accomunava il fatto di essere antifascista, il suo passato di partigiano l’ho scoperto casualmente, rovistando una volta in solaio e trovando i suoi documenti. Che orgoglio... lui direttamente non me ne aveva mai parlato».
Il ruolo di Giuseppe Ticozzelli, calciatore e ciclista per caso
Difficile inquadrare, infine, in questo romanzo della maglia nera, il ruolo suggestivo di Giuseppe Ticozzelli, ex calciatore del Casale Monferrato con Eraldo Monzeglio, questi due volte campione nel mondo nel 1934 e 1938 e poi, tra il 1943 e il 1945, segretario personale del Duce a Salò ma con impensabili contatti con la Resistenza. Ticozzelli, fascista convinto, corse il Giro del 1926. «La bici gli serviva per tenersi in forma. E fu così che partecipò alla corsa rosa. Si iscrisse, allora si diceva così, da diseredato, cioè da indipendente, senza l’assistenza di una squadra» ebbe a raccontare il figlio Giovanni a Marco Pastonesi, cantore dello sport, cronista in congedo della Rosea. Il fatto che in gara indossasse la maglia nera – ma quella strepitosa del Casale, con una stella bianca sul petto – e il fatto che avesse disputato quelle tappe del 1926 con il passo del cicloturista, sovente fermandosi in trattoria, è stato qui e là associato alle imprese di Malabrocca e Carollo. E per questo la maglia dell’ultimo arrivato potrebbe essere stata ispirata alle sue insolite pedalate. Chiudendo però il colloquio con Pastonesi, Giovanni scosse la testa: «un’attribuzione che è soltanto fantasia».
Certo, anche la vita di Ticozzelli è un romanzo: volontario durante la guerra d’Etiopia, resta cieco in battaglia. Forse perché investito dagli effetti dell’iprite, il letale gas usato criminalmente dagli italiani. Le autorità fasciste gli daranno un autista. Lo ritroveremo ufficiale nella Rsi. Scampa alla resa dei conti che segue il 25 aprile e qualcuno sostenne (ma non v’è conferma) che fu perché assieme a quell’autista, e forte del suo prestigio, scortasse al sicuro, in Svizzera, gli ebrei braccati dalle SS e dalle Brigate nere. Solo voci, una leggenda, impossibile stabilirne la veridicità.
Brera e Luisin, la leggenda e la realtà
Quel che è certo è che la maglia nera scompare dalle celebrazioni del Giro già dal 1951, nessuno ne parlerà mai più, almeno ufficialmente. Se mai Torriani la volle (anzi «la tollerò», come ricorda a chi scrive suo figlio Marco, a cui si deve il ricordo relativo all’idea iniziale partorita da Garinei e Giovannini) di sicuro la cancellò in un amen. Sulla Gazzetta, l’epitaffio lo scrive Gianni Brera, inviato: è il 22 maggio 1951, la tappa è la Alassio-Genova. Sulla Scoffera il cronista incontra Malabrocca, nei paraggi però come suiveur. Brera lo fulmina così, sia pure bonariamente: «È in buonissimo arnese, ha fatto i soldi perdendo con la tenacia del furbo di tre cotte, li ha aumentati vincendo la sua parte. Dal Giro si è astenuto per affari. Ha un negozio avviatissimo a Garlasco e vende gomme in Lomellina quando gli capita». Il fuoriclasse del giornalismo chiede: «Nostalgia?». Luisìn scuote il capo: «Insomma...». Nient’altro da dichiarare.
Chissà se poi furono proprio queste le esatte parole di quella chiacchierata. E chissà se questo è davvero l’intero romanzo della maglia nera. Ma in fondo che importa. Il Giro è un po’ come il West raccontato da John Ford in «L’uomo che uccise Liberty Valance»: sì, un posto «dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda».