la Repubblica, 14 giugno 2025
Paragon, parla Conte “Feci spiare Casarini ma non i giornalisti”
Il vincolo di riservatezza, dice Giuseppe Conte, è decaduto dopo la relazione del Copasir. E così l’ex presidente del Consiglio, oggi guida del M5S, affronta la questione delle intercettazioni ai danni di Luca Casarini e Beppe Caccia, attivisti di Mediterranea Saving Humans, autorizzate quand’era a capo del governo. Intercettazioni che – con Giorgia Meloni premier – si sono trasformate e allargate: con lo spyware della società israeliana Paragon, che cattura chat e file negli smartphone; e con il controllo, non si sa da chi richiesto, dei giornalisti di FanpageFrancesco Cancellato, direttore della testata, e Ciro Pellegrino.
Conte ne parla proprio in una intervista con Cancellato, ricordando il contesto dell’epoca. Il governo gialloverde, 5 Stelle più Lega, improntato sulla criminalizzazione delle ong, era caduto da pochi mesi, dopo il Papeete di Matteo Salvini. Così era cambiata la maggioranza, con il M5S stavolta alleato di Pd e Leu, e Conte sempre premier. Comunque, anche se la morsa attorno alle attività di salvataggio si era allentata sul piano del discorso pubblico, a fine 2019 i servizi segreti fecero arrivare sulla scrivania del presidente, che aveva deciso di tenere le deleghe sull’intelligence, la richiesta («debitamente autorizzata alla Procura generale della Corte di Appello di Roma») di intercettare Casarini e Caccia. «Alla base – ricorda Conte – c’era un certo clima sulla gestione dei flussi». Si voleva accertare che i salvataggi avvenissero «o meno in piena conformità con le leggi, con i regolamenti e trattati internazionali, una procura siciliana stava indagando per eventuali reati». Quindi, continua il presidente del M5S, «nella mia veste anche di responsabile delle attività di intelligence che hanno una funzione preventiva sui comportamenti illegittimi e a tutela della sicurezza nazionale, acconsentii a questa richiesta, ripresentata anche nel 2020 sempre col mio governo». Da settimane da via di Campo Marzio, la sede del partito a Roma, si garantiva – prima ufficiosamente, e adesso dopo gli approfondimenti del Copasir a pieno titolo, per così dire – che «queste richieste e attività si sono svolte sul piano della piena legittimità formale e sostanziale».
Il punto della questione, secondo Conte, è che la vicenda del 2019 non ha nulla a che vedere con quella degli ultimi mesi. «Con Meloni al governo e il sottosegretario Alfredo Mantovano delegato ai servizi – ragiona – parliamo di uno spyware che ha una modalità molto più invasiva, cattura ed estrae file, documenti, conversazioni. E non c’entrano più alcuni attivisti che operavano nel Mediterraneo, ma due giornalisti». Dopodiché Casarini (a cui viene inoculato Paragon poco prima di entrare nel Sinodo, e quindi verosimilmente captato anche mentre si trovava in Vaticano, uno Stato estero) venti giorni fa aveva proposto a Conte un incontro chiarificatore sul piano politico, cioè sul “male sistemico” dell’utilizzo dei servizi contro gli oppositori, o presunti tali. «Non mi ha fatto sapere nulla – sottolinea Casarini – Per me doveva assumersi la responsabilità di aprire un dibattito sul tema, che riguarda anche ilPd. Siamo stati spiati “legalmente” dai servizi per cinque anni. Come “minaccia alla sicurezza nazionale”. Ma chi ha deciso che lo siamo? I governi? Io dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, finora, sempre stato assolto».