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 2025  giugno 15 Domenica calendario

"Voglio essere chiamata maestra la mia lotta comincia dalle parole"

Gianna Fratta mette subito in chiaro le cose: «chiamatemi maestra». Non si tratta di un semplice vezzo perché lei, pluripremiata direttrice d’orchestra di fama internazionale, Cavaliere della Repubblica e prima donna ad aver diretto i Berliner Symphoniker, da sempre è impegnata nelle politiche di genere. In questi giorni è a Torino, ospite dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, per due appuntamenti accolti all’Auditorium Toscanini. Oggi alle 18 con il concerto che vedrà sul palco nove giovani borsisti di Professione Orchestra, progetto condiviso con l’Accademia di Musica di Pinerolo. Giovedì alle 20,30 guiderà i professori nell’ambito di “Rai Orchestra Pops”, con solista al piano Alessandro Taverna, in un programma che intreccia repertorio colto, jazz e musica da film.
Se appellare un direttore d’orchestra “maestro” è scontato, lo è meno utilizzare il termine al femminile in quanto legato alla definizione di insegnante di scuola primaria.
«Si tratta semplicemente di un’abitudine, sono delle incrostazioni mentali che vanno cambiate, soprattutto da noi donne. Io mi sento sminuita a essere chiamata come un maschio. Mi è successo di disertare un importante impegno istituzionale perché nell’invito era stato utilizzato “caro maestro"».
Difendere la discriminazione in ambito professionale, sociale e politico-culturale, inizia dall’utilizzo delle parole?
«Certamente. Spesso vengo chiamata maestro o direttore d’orchestra e mi tocca puntualizzare che sono una donna. In tanti teatri mi è capitato di far cambiare il nome sulla porta del camerino e quindi ormai chiedo la cortesia di indicare “direttrice” e “maestra” su tutti i materiali. Faccio una lotta quotidiana anche sulle piccole cose e sono impegnata sotto numerosi profili».
Le nuove generazioni sono più aperte nell’accogliere le differenze di genere?
«Siamo ancora impostati su un’educazione estremamente binaria e il processo è lungo, credo che vedremo i frutti tra qualche decennio. I ragazzi sono maggiormente genderfluid, però far passare che non esistono categorie con cose da uomini e cose da donne, e che se una donna è brava quanto un uomo e fa lo stesso mestiere è bene che lo stipendio sia uguale, sono processi lunghi. Lo vedo su me stessa, la situazione si sta lentamente muovendo e quello che accadeva 25 anni fa non succede adesso, nonostante ciò siamo ancora lontani dalla meta».
Quando ha deciso che la direzione d’orchestra sarebbe stata la sua strada?
«Ho iniziato studiano pianoforte a 5 anni perché, essendo molto attiva e vivace, gli insegnati suggerirono ai miei genitori di farmi fare delle attività. Invece, avevo 9-10 anni quando il mio insegnante di pianoforte mi invitò a un suo concerto nel quale suonava con l’orchestra e rimasi folgorata da chi stava sul podio. Mamma e papà raccontano che alla fine dissi: “voglio fare il lavoro di quel signore che sta al centro della sala"».
Ha incontrato delle difficoltà nell’inseguire il suo sogno?
«Parecchie, soprattutto all’inizio, perché mi sono diplomata in direzione d’orchestra 25 anni fa. Allora direttrici ce n’erano veramente poche, non posso nemmeno dire di aver avuto un modello, perché ai concerti non se ne vedevano. È sempre difficile scardinare le abitudini, e non ne faccio nemmeno una colpa più di tanto, ma quando mi andavo a presentare a sovrintendenti e direttori artistici era strano. Non c’era nemmeno il modo di definirsi, cosa sdoganata non da molto».
Per arrivare a certi livelli le femmine devono faticare di più ed essere più preparate dei colleghi maschi?
«È come nello sport, occorre essere allenati e preparati. Devi studiare alla perfezione, devi convincere, perché devi vincere la resistenza iniziale. Inoltre, devi possedere una determinazione ferrea, perché ti si chiudono davanti tante porte, quindi devi essere risoluta e brava. Questi requisiti sono richiesti pure a un uomo».
Che consiglio darebbe a una ragazza che vuole diventare direttrice d’orchestra?
«La stessa cosa che direi a un ragazzo: di non cercare scorciatoie, di studiare. Perché capita spesso di vedere giovani che cercano altre strade pensando che, attraverso lobby, politica e potere, si possano raggiungere dei risultati. Sarà anche così – ci sono parecchi esempi -, ma non credo sia la chiave per diventare musicisti. Il giusto percorso è lento, occorre studiare e prepararsi. Anzi, più la strada è lunga, più arrivi preparato e maggiori saranno le possibilità di una brillante carriera».