Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  giugno 15 Domenica calendario

"Quando il corpo mi molla devo arrendermi Ma nuotare è la mia vita"

Ci sono giorni in cui Benedetta Pilato esce dalla piscina con l’umore di traverso e i capelli sulla faccia, ma il giorno dopo ritrova il sorriso da cui riparte ogni volta, pure in questa stagione in altalena. Lei ha capito di non poterla fermare. Non ora.
Talento puro del nuoto, campionessa mondiale, in aprile ha abbandonato i campionati italiani e un mese dopo ha registrato la miglior prestazione del 2025 nei 50 rana: 29"87. Eppure, i Mondiali di fine luglio, a Singapore, sono avvolti nell’ombra.
Come sta?
«I miei problemi ormonali non si stabilizzeranno tanto presto. In teoria con l’età si dovevano sistemare e così sarà, ma le tempistiche sono più vaghe del previsto: ci dovrò convivere ancora. Purtroppo, i giorni sballati si presentano a sorpresa».
Può aiutarci a capire: «stare così» che cosa vuol dire?
«Mi vedo diversa, mi sento diversa, non riesco a calibrare la forza, ho sensazioni fuorvianti. Ovviamente sono seguita, il problema è che, con il passare del tempo, si modifica il corpo e cambiano le terapie: non è detto che io trovi immediatamente quella adatta per ricalibrare. Ho la sindrome dell’ovaio micropolicistico che incide sull’intero metabolismo. È evidente che spesso tutto ciò entra in conflitto con i piani di allenamento».
È quello che è successo a Riccione, in aprile?
«Se mi trovo in questa condizione durante una competizione mi sento impotente e mi è sempre più complicato spiegarlo. Se hai il diabete, è tutto molto grave e concreto. Quando io ho una crisi è una situazione astratta e confusa».
Come reagisce?
«Ho provato tutto, consultato una serie di specialisti, mi aspettavo un assestamento ma non arriva. Non voglio dare l’idea sbagliata: per la maggior parte del tempo me la vivo serena. Spesso il mio corpo mi lascia in pace. E poi, senza apparente motivo, perdo la gestione. Sono stanca».
Quando la situazione è peggiorata?
«Non si trova mai una soluzione e l’ultimo con cui parli ti dice che hai sbagliato fino a qui. A volte sembra me le inventi o mi fissi. Non è così».
Non si sente sostenuta?
«No, nessuno capisce, tranne la famiglia. Se racconto, le donne hanno una vaga idea, gli uomini zero. Ogni volta che riparto con un tentativo di definizione vedo facce scettiche, capisco pure che da fuori sembri il male immaginario».
A Riccione le è venuta voglia di scappare?
«Non era una fuga, ma una resa. Mi conosco, se non ho il controllo è inutile tuffarsi. Intorno a me sentivo solo parlare delle qualificazioni mondiali come motivazione, come se a me non fregasse nulla. Ma che dovevo fare? Sono venuta via e l’unico pensiero era cercare di star bene».
Adesso sta bene?
«Meglio, a tratti. Dipende. È lunga e io non ho pazienza».
Dopo quei giorni difficili ha piazzato il miglior tempo al mondo nei 50 rana.
«Mi fa pensare di essere tosta, solo che non basta. La mia non è ansia da prestazione, è sfinimento».
Ha pensato di smettere?
«No, nuotare è quello che mi piace fare. Anche la fatica, non mi disturba. A volte sembra che il problema sia che non faccio l’atleta… Figurarsi. Così diventa tortura».
Giudizi olimpici: più l’orgoglio di aver aperto un fronte dopo lo sfogo sul quarto posto o la sensazione di essere stata male interpretata?
«Entrambe. Il tema andava affrontato ma qualsiasi cosa dici vieni aggredita. Arrivi terza e potevi essere seconda, sei prima, “eh ma con un tempo che fa schifo”, fai il record del mondo e non te lo tieni. Il tentativo di interrompere questo massacro è stato interpretato come assenza di agonismo».
Riprovi, lontano dalle emozioni di una gara.
«Sono molto d’accordo con quello che hanno detto diversi atleti dopo: dipende dal tuo percorso, dal momento. A Parigi, arrivavo da una situazione molto particolare: le questioni fisiche, il cambio di allenatore, di città. Per me è un orgoglio essere arrivata quarta, quinta, quel che è».
Non se lo ricorda?
«Lo so benissimo. Ma che credete? Chiunque compete ad alto livello vuole vincere, però rispetto a ogni prestazione ognuno deve fare i propri bilanci. Lì, ero davvero soddisfatta: un centesimo meno e andavo sul podio, sì. Non ritenevo giusto struggermi invece di esserne felice. Poi, ho 20 anni: sono una giovane donna e una giovane atleta, solo perché mi vedete da quando ero 14enne sembra io non abbia diritto a una evoluzione».
Perché ha lasciato la Polizia?
«Non sono più in una squadra militare. Punto. Non condivido l’ideologia, non voglio stare in divisa. Soprattutto se le regole non sono uguali per tutti. Mi sentivo stretta, ora sto solo con l’Aniene e a posto così. Alle Olimpiadi è stata una collega poliziotta ad attaccarmi e nessuno ha preso le mie difese. Non sono stata tutelata».
Con Di Francisca, campionessa di scherma che durante i Giochi era opinionista in Rai, vi siete chiarite?
«Lei continua a dire che abbiamo fatto pace… mi sono persa questo momento. E meno male che ero fuori dalla Polizia quando lei e Vezzali hanno fatto lo show alla festa dell’arma».
Che effetto le ha fatto vedere quel tentativo fallito di pace?
«Tutto sbagliato. Ci sono modi e luoghi ed entrambe sono state inopportune. Una è anche ex ministro...».
I 50 rana sono diventati olimpici. Dopo 5 anni in cui le dicono che non contano nulla.
«Doveva succedere, era discriminatorio non averli. Sono nata con i 50 e ho costruito i 100, avere due gare è meglio. È giusto per i ranisti».
Ceccon, oro a Parigi nei 100 dorso, considera poco i 50. È scettico sull’aggiunta.
«Può dire quel che vuole. Che si fa? Se vince una medaglia in un qualsiasi 50 olimpico gliela togliamo? Io ho avuto un record del mondo nei 50 rana e sono la prima a dire che se riuscissi mai a farlo nei 100 avrebbe un valore diverso, il commento tecnico lo capisco, però ai Giochi conta tutto».
Chi è oggi il riferimento per il nuoto italiano?
«Sempre Paltrinieri, fino a che nuota».
Ha parlato con lui dei suoi guai?
«È un gran motivatore, dopo i Giochi mi ha detto “mi piace tanto il tuo approccio”. Lui è un esempio, non si diventa campioni solo in acqua».
In nazionale ci sono altri giovani come Sara Curtis.
«Dicono che abbiamo percorsi simili, invece sono molto diversi. Io avevo la testa bicolore ai Mondiali in Corea a 14 anni, lei la nazionale l’ha vissuta per gradi e da più grande. È fortissima e dimostra che in Italia c’è un bel movimento».
Dopo un anno a Torino, ci ha subito comprato casa.
«Ho trovato un piccolo mondo che mi piace. Mia madre viene da Taranto ogni mese, mio nonno ha preso l’aereo per la prima volta in vita sua per vedere casa. Ho un coinquilino, del gruppo di amici storici del mare, a Castellaneta, lavora qui. Nei periodi turbolenti preferisco avere qualcuno con cui chiacchierare. Mi dà equilibrio».
Fidanzati gelosi?
«Con un fidanzato ora non ci andrei a vivere».
Ha fatto campagne contro il body shaming.
«Ho sposato la causa perché mi è successo, anche se le peggiori critiche ce le facciamo da soli. In generale a me non va mai bene nulla».
Un aspetto di lei che le piace sempre.
«Il sorriso. Resta la salvezza».
Tre cose che la fanno stare bene.
«Mare, l’unica parte che qui non ho, sole e amici».
Questa pazza stagione dove porta?
«Proviamo a fare il Settecolli a fine giugno e a capirci qualcosa. Ora ogni prova è un’incognita. Mi viene dura pensare di andare al Mondiale travolta da alti e bassi ingestibili però nemmeno voglio mancarli. Temo di pentirmi. Tormenti: devo far allineare i pianeti».
Se potesse chiedere un regalo?
«Un viaggio lontano, lontanissimo».