il Fatto Quotidiano, 15 giugno 2025
Milena Vukotic, tra Fellini e Fantozzi
C’è una frase-mantra che spesso produttori o registi utilizzano per “vendere” una parte non gigantesca agli attori: “Non esistono piccoli ruoli, ma solo piccoli attori”.
Spesso è una bufala.
Ma con Milena Vukotic è la manifestazione plastica della sua verità.
Lei è la Pina di Fantozzi.
È la villeggiante in Amici miei, in scarpe da tennis sotto una bufera in montagna.
È la prostituta in Bianco Rosso e Verdone, quando il povero Mimmo “scambia ’na sorca pe’ un par de mutanne…” (parole della Sora Lella). “La realtà è solo una: sono stata un’incosciente”.
L’incosciente Milena Vukotic ha da poco compiuto 90 anni, sempre in tournée, ora impegnata con Milena ovvero Émilie du Chatelet.
Quante volte ha dovuto spiegare l’origine del suo cognome?
(Sorride) Meno di quanto si possa credere, però era considerato esotico, così alla fine ho adottato una risposta standard: papà montenegrino, oggi si direbbe serbo, che volle darmi il nome della mamma della regina Elena…
Nel cinema è passata da Buñuel a Martino…
Preferisco pensare “da” Fellini, anche se l’inizio della mia vita professionale è legato alla danza, a Parigi, con gli studi al Conservatorio, poi all’Opera e infine sono riuscita a entrare in una compagnia internazionale.
Per quanto tempo?
Tre anni e mezzo, fino a quando sono andata al cinema, proiettavano La strada di Fellini, e mi sono illuminata. Quella era la mia strada…
Come l’ha percorsa?
Mamma viveva a Roma, io sempre in giro per la tournée. Decisi di lasciare e raggiungerla: volevo entrare, o almeno conoscere, il mondo di Fellini; (resta in silenzio) già solo quel film aveva cambiato la visione della mia vita.
Com’era la Parigi di quegli anni?
Ho una proiezione dettata dal lavoro, dai quotidiani impegni con la danza, dalle prove: studiavo tantissimo, inizialmente vivevo in una pensione per ragazze, dopo mi ha raggiunto mamma. Quindi non l’ho vissuta (sorride, lieve) in qualche modo la Parigi di allora è identica a quella di oggi.
Parla sempre francese?
Non solo.
Quante lingue conosce?
Cinque, ma non ho alcun merito.
Sicura?
Con mamma parlavo in italiano, con papà in serbo; poi abbiamo vissuto due anni in Austria, a Vienna; con i miei fratelli utilizzavamo l’inglese e sono stata a Parigi.
In quale lingue sogna?
Fino a poco tempo fa in inglese, oggi l’italiano.
Cinque lingue è un superpotere.
No, sono arrivate naturalmente, solo perché papà era un diplomatico. Davvero, non ho nessun merito.
Non si autocelebra.
Non so se è un pregio o un difetto.
Da ragazza temeva il palco?
Il nostro è un “gioco” pericoloso.
Qual è il pericolo?
Di perdersi dentro, di non ritrovare la necessaria realtà, quella che ti obbliga a restare saldi.
Quindi le è successo.
E si manifesta nei modi più diversi, anche solo dimenticando una battuta quando si è in scena.
Si è portata casa il personaggio…
È un’altra delle manifestazioni e lì si deve avere la pazienza di lasciarlo svanire; (pausa) credo sia normale, è una questione di convivenza con un personaggio che contribuisci a far crescere, gli dai una forma, e questo personaggio a volte ritorna. A volte delle battute mi tornano in testa senza alcun motivo particolare.
Qual è il destino dell’attore?
Vivere da vagabondo, perennemente in giro; ai tempi di Shakespeare erano dei bohémien o dei personaggi da circo.
Si sente una bohémienne?
È necessario.
Il set cos’è?
Delle famiglie a tempo con l’obiettivo di andare d’accordo; l’ultimo set è stato quello con Ozpetek (Diamanti) ed è stato bello perché Ferzan ama i suoi attori in maniera eccezionale.
Perché non ha mai curato una regia?
Per il momento mi interessa ancora recitare, poi non credo di avere le giuste qualità; (sorride) ho recitato per Fellini…
Fellini è la sua luce.
No, lui era un genio.
Con Fellini ha recitato anche Paolo Villaggio…
(Abbassa leggermente una voce già non proprio chiassosa) Ancora oggi mi fermano per strada per il ruolo di Pina (in Fantozzi), a seguire per quello di Enrica in Un medico in famiglia e aggiungo i complimenti che ricevo per aver partecipato a Ballando con le stelle.
Con Ballando è tornata a “casa”…
Mica tanto, arrivo dal balletto tradizionale, mentre nella trasmissione ho faticato tanto perché non era il mio genere. E poi c’erano i giudizi dei giudici…
Alla lista dei suoi personaggi aggiungiamo la moglie del Mascetti in Amici miei…
Ero stata scelta da Pietro Germi, poi è morto, sostituito da Mario Monicelli, altro gigante, come Ugo Tognazzi; con Ugo ho girato anche in Venga a prendere il caffè… da noi, film bellissimo, basato su una storia vera scritta da Piero Chiara (un uomo che ha contemporaneamente un rapporto con la moglie e le sue due sorelle, ndr).
Storia scabrosa.
Noi tre attrici giustissime nel ruolo; (sorride) secondo il copione dovevamo essere tre mostri, ma le mie due compagne erano belle, quindi le hanno imbruttite. Io sono stata lasciata nature.
Questa storia che non era bella l’ha portata a posare nuda per Playboy…
(Ride) Anche; tante, troppe volte hanno rimarcato il fatto che non corrispondevo ai canoni dell’epoca.
Andavano le formose.
Appunto.
Le pesava?
Renato Castellani mi disse che per occuparsi di cinema è necessario avere un certo fisico o almeno una personalità pari a quella della Magnani. “Lei non ha né l’uno né l’altra. Lasci perdere…”.
Ha mai avuto il dubbio di mollare?
Neanche una volta.
A quali certezze si è aggrappata?
Solo a una: sapevo di non poter fare altro.
La regia di Venga a prendere… era di Ettore Scola.
Magnifico, sia come regista che umanamente. Uno dei pochi con il quale si poteva costruire un rapporto, e quel rapporto ti portava a dare il meglio di te. Come lui anche Dino Risi o Bolognini..
Dino Risi viene spesso descritto come cinico.
Eh, ma non ho quasi mai recitato parti ampie, quindi non ho mai vissuto in pieno certi personaggi.
Monicelli per lei.
Tipo burbero, chiuso, riservato, ma un fuoriclasse; (ci pensa) anche in quell’occasione la mia parte non era ampia, piccole cose, non un ruolo centrale.
Come in Bianco, Rosso e Verdone…
Non mi rendevo bene conto. Il nostro lavoro prevede la sorpresa e la creatività; certe situazioni si sviluppano sul set; poi nella scena del nudo non sono neanche io ma una ragazza scelta dalla troupe (Carlo Verdone ha recentemente raccontato che era una reale prostituta, ndr).
Il pubblico come la tratta?
Mi sorride e mi ringrazia per le emozioni; in realtà dovrebbero ringraziare solo Paolo Villaggio, è lui ad aver creato quelle maschere, è lui ad aver generato quel tipo di emozioni forti su personaggi tristissimi.
Siamo tutti un po’ Fantozzi?
Credo sia così.
Secondo la figlia di Villaggio lei è l’unica collega con la quale il padre usciva volentieri…
Perché siamo andati oltre, siamo diventati amici; (sorride) ricordo quella volta che sono andata a casa loro, ho citofonato, ha aperto la donna di servizio e dopo avermi visto ha annunciato: “Signora, è arrivata la moglie di suo marito”. Paolo questa battuta la raccontava sempre…
Quindi vi frequentavate.
Anche insieme a Fellini e a Giulietta (Masina). Per Paolo provo un rispetto e una stima rara, e nonostante i suoi modi chiusi, spesso impenetrabili. Ma era pieno di umanità.
Eppure chi lo ha conosciuto e vissuto, spesso racconta dei suoi eccessi…
Era parte del suo linguaggio, della sua cifra poi riportata nei libri. Nient’altro.
Com’era Buñuel?
Con lui ho girato solo tre film.
Continua a sminuirsi.
Ma è così, sono pure i suoi ultimi (per la cronaca: “Il fascino discreto della borghesia”, “Il fantasma della libertà” e “Quell’oscuro oggetto del desiderio”).
Va bene, ma lui?
Tipo giocoso, divertente ed estremamente rispettoso di tutta la troupe; non voleva neanche che l’autista lo aspettasse troppo a lungo oppure per alleggerire le infinite attesa del cinema, si cimentava con degli scherzi…
Esempio?
Anche cose minime, come contraffare il piano di lavoro della segretaria e mandarla nel panico…
In carriera a cosa ha detto “no”?
Non lo so bene, ho accettato tanto, a volte magari troppo…
Nel troppo ci sono i B Movie?
Però con quelli sono arrivata a Fantozzi e poi alcuni dei presunti B Movie sono girati bene, da un bravo regista come Sergio Martino…
Uno insieme alla Fenech.
Donna intelligente, brava, era presa anche dalla sua vita, in particolare dal figlio; poi essendo bella percorreva solo quel registro…
Ha mai provato invidia?
Solo dei rimpianti.
Quali?
Non poter ambire a certi ruoli perché non adatta.
A quale si riferisce?
Il mio sogno sarebbe stato quello di interpretare Mary Poppins; però per la televisione sono stata Alice e avevo già 37 anni, ma quella in realtà è una favola per adulti, affrontata da studiosi e filosofi.
Un suo amico.
Sempre Federico e Giulietta: a loro potevo, pudicamente, rivolgermi per un semplice consiglio.
Con Fellini condivideva la parte esoterica?
Ero e sono ancora molto attratta da quel lato, ma è una questione intima.
Lei chi è?
Un clown che cerca di ricreare continuamente me stessa e i personaggi.