Il Messaggero, 14 giugno 2025
La barriera araba per difendere Israele La Giordania frena il primo contrattacco
Né con l’Iran, né con Israele: la cintura araba e sunnita che circonda lo Stato ebraico, alla guerra preferirebbe adesso una svizzera neutralità. Da anni le relazioni di Tel Aviv con i vicini arabi hanno imboccato la via della normalizzazione. L’Iran sciita, con il suo braccio armato Hezbollah, è da tempo il nemico comune che ha fatto da collante. L’Iraq, la Giordania e le monarchie del Golfo, che ospitano basi americane sul loro territorio, paventano da ieri le rappresaglie da parte di Teheran, già chiaramente preannunciate dal ministro della Difesa iraniana, il generale Nasirdazeh, che, in caso di attacco israeliano, un paio di giorni fa aveva minacciato «punizioni severe» contro tutti i paesi che ospitano basi americane, le quali «sono tutte a portata dell’Iran». La guerra è di sicuro lo scenario da evitare per la Giordania, che con i suoi 480 chilometri di frontiera con Israele è il corridoio principale per attaccare lo Stato ebraico dall’Iran. Subito dopo la prima offensiva notturna di Israele, Damasco ha chiuso il proprio spazio aereo, intercettando «un certo numero di missili e droni», senza precisarne l’origine. «La Giordania non sarà un campo di battaglia per alcun conflitto», ha avvertito il portavoce del governo.
LA COLLABORAZIONE
I Paesi del Golfo avrebbero da parte loro autorizzato ad aprile americani, britannici e francesi a utilizzare contro Teheran le loro basi nella regione, in particolare per dispiegare il dispositivo aereo e navale, mettendo anche a disposizione le intelligence locali. Ma da ieri l’antagonismo viscerale contro l’Iran sciita, che ne fa degli alleati naturali di Tel Aviv, non ha impedito loro di escludere una «alleanza strategica contro la minaccia iraniana», teorizzata dall’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. Questo spiega la diplomatica condanna dell’Arabia Saudita dell’«aggressione israeliana» contro l’Iran, rivale storico ma ieri definito «Paese fratello». Una posizione sostenuta anche dagli interessi economici, che convergono tutti a favore della stabilità nella regione. Con i suoi 438mila chilometri quadrati di superficie, l’Iraq è il territorio più vasto e più esposto nella guerra tra iraniani e israeliani. Oltre alla lunga frontiera con l’Iran, si trova, come la Giordania, sulla traiettoria delle offensive di entrambi gli schieramenti. Se negli ultimi anni l’Iraq ha svolto un ruolo di mediazione tra Iran e Arabia Saudita, e continua formalmente a vietare qualsiasi relazione con Israele, da ieri si è ben guardato dall’annunciare aiuti o sostegni materiali a Teheran, limitandosi a una condanna di prassi «dell’aggressione» israeliana». Baghdad ha anche annunciato un ricorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per «la violazione» del proprio spazio aereo e «il suo utilizzo» da parte di Israele per compiere attacchi militari contro l’Iran. Se la cintura attorno a Israele appare desiderosa di neutralità, decisamente isolato appare l’Iran, con l’antico «asse della resistenza» semidistrutto.
GLI EX ALLEATI
La capitolazione del sistema di potere siriano, incarnato per più di mezzo secolo dalla famiglia Assad storica alleata della Russia e dell’Iran è stato il primo colpo inferto all’Asse. La dissoluzione, sei mesi fa, del regime di Damasco ha accompagnato il collasso del sistema-Iran in tutto il Medio Oriente. Teheran ha a lungo potuto contare sull’appoggio dei ribelli Houthi in Yemen, che ieri hanno infatti rapidamente affermato «il diritto completo e legittimo dell’Iran a difendersi». Ma se oggi gli Houthi, e anche le milizie filo-iraniane in Iraq, conservano le loro capacità militari, appaiono comunque isolati e costretti a decidere se continuare a ranghi sparsi la guerra contro Israele e Usa. Praticamente ormai azzerate dalla guerra israeliana, invece, le strutture di Hamas e dei libanesi di Hezbollah.